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Svolgimento di interpellanze urgenti.
(Processo di privatizzazione della Fincantieri - n. 2-00579)
PRESIDENTE. L'onorevole Burgio ha facoltà di illustrare la sua interpellanza n. 2-00579 (Vedi l'allegato A - Interpellanze urgenti sezione 4).
ALBERTO BURGIO. Signor Presidente, la mia sarà una breve illustrazione, poiché la vicenda è ben nota anche al Sottosegretario Tononi, che saluto. Si tratta di una vicenda industriale, che mi permetterei di definire sorprendente e, forse, temo anche paradigmatica di questa fase della storia del nostro Paese.
In breve, si tratta di una grande impresa industriale, di proprietà pubblica, sana, leader mondiale nel settore della cantieristica, che occupa poco meno di trentamila persone - se consideriamo anche l'indotto - in tutto il Paese (dal nord, comprendendo la Liguria, il Friuli, fino alla Sicilia).
Si tratta, dunque, di un «non problema», che rischia invece di tramutarsi in un problema drammatico, in primo luogo per l'occupazione di queste persone. Ciò è davvero stupefacente se si considera che, invece, la nostra economia di problemi ne presenta molti, e seri. Perché tale questione rischia di trasformarsi in un problema? Perché la Fincantieri rischia di essere privatizzata attraverso la quotazione in borsa di un pacchetto azionario sostanzialmente eguale a quello che rimarrebbe nella mano pubblica, cioè il 48 perPag. 80cento. Abbiamo già visto cosa può succedere: la vicenda di Alitalia lo ha insegnato.
La Fincantieri rischia di essere esposta alla speculazione finanziaria e immobiliare, con le conseguenze che deriverebbero, da queste premesse - lo lascio immaginare a lei, Presidente, e ai colleghi -, non solo sul terreno dell'occupazione, ma anche sul terreno della dispersione di saperi e di capacità produttive della nostra industria.
Entro nel dettaglio soltanto su quelli che, a mio avviso, sono gli elementi di fondo, essenziali, di tale quadro: lo stato dell'impresa.
Leader mondiale, Fincantieri detiene quasi il 60 per cento degli ordinativi mondiali della cantieristica e ha segnato un incremento degli ordinativi, dal 2005 al 2006, di poco meno del 40 per cento, per un totale di dieci miliardi di euro. Per farvi un'idea: oggi Fincantieri ha quattordici navi in ordinativo - anzi quindici perché se n'è aggiunta una ieri - a fronte di nove dell'immediata concorrente (l'azienda finlandese Aker); detiene il 43 per cento del mercato delle navi da crociera; è in continua espansione, ultimamente ha comprato un cantiere di riparazione e trasformazione navi in Germania; non ha alcuna esposizione debitoria verso le banche; detiene un ottima accumulazione delle riserve. Sul terreno industriale del cosiddetto know-how, della proprietà dei brevetti e prototipi, ci è invidiata nel mondo; tra l'altro, si tratta di prototipi e brevetti che interessano anche settori sensibili per la sicurezza del Paese. Il numero degli occupati totali (elemento, peraltro, socialmente rilevante) è di poco inferiore ai trentamila, distribuiti in maniera omogenea lungo tutto lo stivale, da Trieste (sede della direzione generale) a Monfalcone, Sestri Ponente, Genova, La Spezia e Marghera, ma anche a Palermo e Castellammare di Stabia, passando per Ancona, e ne ho citati soltanto alcuni!
In tali luoghi, signor Presidente, questi operai lavorano - con paghe tra le più basse d'Europa! - e chiedono soltanto di poter continuare a fare il loro lavoro in sicurezza, come stanno facendo e come si sono guadagnati sul campo il diritto di fare. Fincantieri, infatti, ha attraversato anche periodi difficili, ma ha riconquistato la propria funzione di leader con il lavoro e con la capacità imprenditoriale e, soprattutto, produttiva.
A fronte di questo quadro, cosa succede? Succede - per tale motivo abbiamo presentato la nostra interpellanza urgente - che il Governo, anzi i Governi (perché questa è una storia che dura da quindici anni, fin dall'inizio degli anni Novanta) reiteratamente, anzi - per usare un'espressione del sottosegretario Letta - testardamente, perseguono la finalità di dismettere per fare cassa, perché si tratta di un'operazione in larga misura di cartolarizzazione, e di privatizzare, secondo la teologia per la quale lo Stato non si deve interessare di produzione, anche quando la produzione va bene e le industrie pubbliche funzionano e stanno sul mercato senza essere assistite: tutto ciò con il rischio (riconosciuto esplicitamente Governo perché anche questo è stato detto, dal sottosegretario, nell'incontro di lunedì scorso con le organizzazioni sindacali) e la prospettiva di una finanziarizzazione.
Infatti, poiché si tratta di un settore a scarsa redditività nell'immediato, rischia di essere interessato soltanto il sistema creditizio e, sullo sfondo, si profila anche il rischio della totale dismissione e di una speculazione edilizia immobiliare sulle aree eventualmente dismesse.
Non voglio soffermarmi ulteriormente sui numeri, né sul fatto che, per ammissione dell'amministratore delegato, l'eventuale ricavato di tale collocazione in Borsa - che noi chiediamo non avvenga! - sarebbe destinato solo per il 10 per cento ad una ricapitalizzazione, perché il restante 90 per cento andrebbe all'azionista (cioè al Ministero dell'economia e delle finanze) e, dunque, si tratterebbe - come dicevo - di una cartolarizzazione! Non voglio, altresì, soffermarmi ulteriormente sui rischi di speculazione.
Osservo ciò: ci lamentiamo continuamente, quando parliamo all'opinione pubblica, del fatto che abbiamo un'economiaPag. 81che stenta e fa fatica. Parliamo, addirittura, del problema che il nostro apparato produttivo «perde colpi»! Qualcuno, addirittura, parla del declino industriale di questo Paese! Quando, però, abbiamo a che fare con veri e propri gioielli del nostro apparato industriale, cosa facciamo? Dismettiamo!
Conosco la vicenda, signor sottosegretario, perché la seguo da anni e da vicino, conosco la motivazione, e cioè il fatto che questo nuovo piano industriale richiederebbe ottocento milioni.
So anche che lei ha personalmente dichiarato che - se non ho letto male o se le fonti di cui dispongo non sono male informate - il Governo stanzierebbe 400 di tali milioni per la ricapitalizzazione, ove si realizzasse l'ipotesi di andare in borsa.
Però - me lo consenta - ho qualche dubbio su tali cifre, perché qualche mese fa tali importi indicati dal management, e non dai sindacati, erano inferiori e di molto: si parlava di 200, 250, massimo 300 milioni di euro per la ricapitalizzazione a fronte del medesimo piano industriale e il management affermava che tali cifre potevano essere autofinanziate.
All'improvviso si parla di ottocento milioni e, allora, si comprende che si tratta di una cifra funzionale a giustificare la necessità di quotarsi in borsa; insomma, una situazione che davvero lascia qualche perplessità.
Dunque, chiediamo a lei, signor sottosegretario, e per il suo tramite al Governo, quali siano le vostre valutazioni al riguardo e se quella testardaggine qualche volta non sia forse mal investita.
Chiediamo come giudicate il rischio di una delocalizzazione delle attività come prodromo ad una eventuale dismissione. Chiediamo, insomma, se non riteniate che sia il caso di rivedere la strategia adombrata, che tra l'altro nel piano industriale che conosciamo, non sarebbe neanche all'altezza di un turn over dei pensionamenti (si parla di 1.500 nuove assunzioni in cinque anni, cioè largamente sotto il turn over), e ciò a fronte di numerosi accordi disattesi dall'attuale management.
Mi riferisco soprattutto all'adeguamento degli organici e al turn-over: reiteratamente l'amministratore delegato attuale non ha mantenuto gli impegni assunti.
Chiediamo, infine, se non sia il caso che il Governo ci ripensi per conservare un pezzo importante del nostro apparato industriale e garantire la possibilità di continuare nella sua attività produttiva.
PRESIDENTE. Il Sottosegretario di Stato per l'economia e le finanze, Massimo Tononi, ha facoltà di rispondere.
MASSIMO TONONI, Sottosegretario di Stato per l'economia e le finanze. Signor Presidente, credo di dover capire fino in fondo le ragioni sottostanti tale processo di privatizzazione che il Governo ha già, peraltro, espresso e che oggi ribadirò.
Se necessario farò una premessa che riguarderà non soltanto quello che Fincantieri è oggi - come vedrà su molti punti siamo in assoluto accordo - ma anche sulle prospettive di Fincantieri, alla luce del mercato in cui opera.
Innanzitutto, partiamo da ciò che Fincantieri è oggi. Si tratta di un'azienda sana, l'ha detto anche lei e lo condivido pienamente, è un leader di mercato, ma non ha purtroppo, come lei ha ricordato, il 60 per cento del mercato della cantieristica: ha quote tra il 30 il 40 per cento di alcune nicchie di mercato quali le navi da crociera e le navi da trasporto. È però, un'azienda che esporta molto, è un campione nazionale, per usare un termine un po' controverso ma che non mi dispiace, capace di realizzare importanti sinergie tra il settore civile e militare, i suoi segmenti principali di attività, con il civile che, come sappiamo, è preponderante.
Si tratta di un'azienda che ha conseguito un posizionamento così apprezzabile nel corso degli anni, progressivamente conquistando nuovi clienti, nuovi ordini. Lei ha citato un dato che ribadisco: 10 miliardi di portafoglio ordini alla fine del 2006, che vale quasi quattro anni di fatturato, quindi un importo molto significativo.Pag. 82
Tutto ciò l'ha ottenuto facendo leva sulle sue prerogative in termini di competenza sul design, sulla tecnologia, sulle capacità di assemblaggio. È, insomma, un'azienda che in questi anni ha ben operato e che oggi rappresenta una realtà molto sana. Ha dovuto anche fronteggiare delle variabili obiettivamente negative negli anni, quali, ad esempio, il venir meno degli aiuti pubblici alla cantieristica, piuttosto che il deprezzamento del dollaro o, ancora, il forte aumento dei prezzi delle materie prime e dell'energia elettrica.
Quindi, sono stati anni positivi per una realtà che oggi indubbiamente possiamo ritenere tra le più brillanti nel panorama manifatturiero italiano.
Quali sono, però, le prospettive per questa azienda nei mercati in cui essa opera? Sono prospettive incoraggianti perché, per la maggior parte, i settori di attività di Fincantieri sono caratterizzati da tassi di crescita significativi.
Mi riferisco, in particolare, alla crocieristica, ma anche alle navi da trasporto, i ferry. Meno promettenti sono le prospettive del settore militare, come sappiamo, perché i budget della difesa sono in calo un po' dovunque, anche in Italia, e tale settore rappresenta di gran lunga il principale mercato di sbocco per questa azienda.
Poi, vi sono interessanti potenzialità in nicchie di mercato contigue al core business come il cosiddetto refitting cioè l'ammodernamento delle navi esistenti o il business dei mega yacht che, per motivi che sarebbe interessante esplorare, è in grandissima espansione a livello mondiale.
L'azienda, a fronte di queste prospettive così incoraggianti e promettenti del mercato, di grande crescita, per consolidare e mantenere la propria posizione di leadership, ha ritenuto di formulare un piano industriale di forte sviluppo delle proprie aree di attività, che segue varie direttrici, a cominciare dall'acquisizione di nuovi clienti nel core business della cantieristica.
Come lei sa, il rapporto privilegiato con il gruppo Carnival, che è il principale operatore mondiale del settore, è un punto di forza di Fincantieri, ma è anche un limite, per certi versi. Quindi, acquisire nuovi ordini e nuovi clienti è importante, e in questo senso l'azienda si è mossa bene. Anche recentemente, ha conseguito nuovi ordinativi da parte di altri operatori del settore.
Un'altra direttrice importante è certamente quella di occupare nicchie di mercato ad oggi inesplorate o quasi, come i mega yacht, sul quale segmento Fincantieri si è affacciata da poco, oppure di costruire una rete globale di servizio al cliente.
Parlavo prima di refitting: la Fincantieri è presente nel mediterraneo, a Palermo; è presente, con una quota di minoranza, in un cantiere tedesco per il nord Europa; non è presente nei Caraibi, che è il terzo grande mercato, che va sviluppato. Naturalmente, Fincantieri ambisce a consolidare queste presenze.
Nel campo militare, l'obiettivo prioritario di Fincantieri è di diversificare il livello geografico, entrando sul mercato americano e acquisendo ordini anche da altri Paesi, che magari non possono sfruttare una capacità produttiva locale. Noi crediamo che questo piano industriale, che abbiamo discusso per mesi con l'azienda, sia un buon piano, basato su un'analisi realistica del contesto di mercato e impostato su linee di azione convincenti e credibili, che conduce a risultati importanti e positivi da un punto di vista finanziario, ma anche e soprattutto strategico.
Del resto, riteniamo - e lo riteniamo davvero - che se Fincantieri rimane ferma, se non investe nel suo futuro, che deve necessariamente essere di sviluppo, data la dinamica di mercato, corre il serio rischio di perdere la sfida del mercato globale, dove sempre più la massa critica, la capacità di innovare costantemente il prodotto e la capacità di fornire ai propri clienti servizi globali sono fattori critici di successo.
Questo è il percorso di sviluppo che noi condividiamo; naturalmente, tale percorso presenta un'altra faccia della medaglia: quella delle risorse finanziarie necessarie per poterlo intraprendere ed attuare.Pag. 83
Lei, onorevole Burgio, ha citato alcuni numeri, che io in buona misura confermo, ma vorrei menzionare alcuni altri aspetti. Innanzitutto, gli investimenti: sono stati ipotizzati per investimenti sui cantieri circa 600 milioni di euro nell'arco di piano, quindi fino al 2011. Di questi, 525 in Italia. Si tratta di una cifra molto considerevole.
A ciò si aggiungono gli investimenti che la società ha ipotizzato per le acquisizioni di cui parlavo prima, che consentiranno di rafforzare quel business e di espandersi in segmenti contigui al core business. Si aggiungono gli investimenti in ricerca e sviluppo, che sono circa 50 milioni annui. Si aggiungono le esigenze finanziarie che derivano dal forte aumento del circolante in questa azienda, sia dall'incremento del fatturato, com'è fisiologico, ma anche e soprattutto da un trend di mercato inarrestabile, volto all'aumento delle dimensioni delle navi, con il conseguente allungamento dei tempi di realizzazione e la necessità di finanziare un capitale circolante crescente.
Vi è, poi, un forte impegno - lei lo ha menzionato, ma io vorrei dare una luce un po' diversa - sul fronte occupazionale, per valorizzare le risorse esistenti in azienda, e anche per assumere nell'arco di piano 1.500 persone, che, in base ai numeri a mia disposizione, sono più del turn over fisiologico, che è pari a 250 unità all'anno. Si tratta di 1.250 persone all'orizzonte di piano per un saldo netto positivo di 250 persone.
I risultati attesi a fine piano sono molto positivi e incoraggianti: forte aumento dei ricavi e dei profitti. Si tratta di un grande rafforzamento per quest'azienda, che le consentirà di mantenere la leadership di mercato che ha conseguito in questi anni.
Quello di Fincantieri è un piano che condividiamo, perché salvaguarda l'unitarietà dell'impresa, evitando smembramenti, anzi, investendo nel business in cui Fincantieri è attiva oggi, e rafforzandolo. È un piano che non contempla alcuna delocalizzazione delle attività svolte nei cantieri italiani, per i quali, anzi, come dicevo prima, si prevede di investire in modo significativo per l'ammodernamento nei medesimi.
In conclusione, si tratta di un piano industriale convincente e credibile da parte di un'azienda sana e dinamica, che vuole crescere e svilupparsi, perché è chiamata ad affrontare e vincere la sfida di un mercato in crescita.
È un piano industriale però che presuppone risorse finanziarie importanti, che Fincantieri da sola non è in grado di garantire con il suo autofinanziamento. Riteniamo, quindi, che per non pregiudicare l'equilibrio economico, patrimoniale e finanziario soprattutto dell'impresa, siano necessari nuovi capitali, che abbiamo quantificato (e tale numero è noto perché l'ho già menzionato in altre circostanze) in circa 400 milioni di euro. Lo Stato non intende e non può provvedere, anche perché esistono norme sugli aiuti di Stato che ben conosciamo a livello comunitario.
Crediamo quindi che la soluzione più logica sia il collocamento in borsa di Fincantieri, destinato prevalentemente a reperire risorse finanziarie per l'azienda. Lei ha menzionato una citazione, se ho ben capito, dell'amministratore delegato Bono che certamente, se l'ha fatta, è sbagliata. Dubito che l'abbia fatta: non può aver detto che il 90 per cento del capitale reperito in Borsa sia destinato all'azionista, perché non è così. Semmai è più probabile il contrario. Non voglio fare numeri perché è difficile, ma certamente la maggior parte di quanto reperito attraverso il collocamento in borsa è destinato a Fincantieri per i suoi investimenti, per il suo futuro, non per l'azionista venditore.
Un altro punto fondamentale è che lo Stato conserverà una quota non inferiore al 51 per cento. Ciò anche in considerazione del fatto che questa azienda ha una valenza strategica molto importante per il Paese, data la sua presenza nel settore militare. Quindi è il collocamento di una quota di minoranza, non una privatizzazione, volto ad ottenere i capitali necessari all'azienda per crescere, per creare occupazione, per rimanere leader di mercato.Pag. 84
Siamo consapevoli che su queste ipotesi non c'è convergenza di vedute, che forti sono state e sono tuttora le perplessità , come lei ha espresso. Devo dire che il processo che abbiamo seguito credo sia stato un processo apprezzabile per molti versi; è un confronto che dura da mesi con le organizzazioni sindacali e con i sindaci delle città dove Fincantieri è presente.
Avremo un'ulteriore riunione e un ulteriore confronto la prossima settimana, a Palazzo Chigi, su questo tema. Spero davvero che ne possa scaturire la condivisione di un percorso. Il percorso in cui noi, come Governo, intendiamo attivarci è quello che ha come suoi capisaldi innanzitutto il collocamento in borsa di una quota minoritaria di Fincantieri, finalizzata al reperimento di risorse finanziarie, consentendo a Fincantieri di attuare un piano industriale di crescita e di sviluppo, per il bene dell'azienda, per il bene del Paese, che così non perderà una dei suoi grandi campioni nazionali.
Del resto, se mi consente, onorevole, devo anche dire che il mancato reperimento delle risorse finanziarie che riteniamo necessarie per poter fare quanto ho menzionato prima ridimensionerebbe in maniera significativa le prospettive di sviluppo dell'azienda, mettendo a rischio la leadership di mercato che si è conseguita in questi anni e, quindi, mettendo a rischio anche ciò che Fincantieri è oggi.
PRESIDENTE. L'onorevole Burgio ha facoltà di replicare.
ALBERTO BURGIO. Signor Presidente, il sottosegretario, che ringrazio naturalmente, sa che da questa parte dell'Assemblea il Governo riceve comportamenti leali e costruttivi, ma nessun cedimento alla semplificazione di problemi complessi. In ragione di ciò gli chiedo quindi, e per suo tramite lo chiedo a tutto il Governo, a cominciare dai Ministri interessati, di ascoltare le nostre preoccupazioni, che devo dire rimangono, ahimé, intatte dopo la sua risposta, e gli chiedo altresì di valutare con particolare attenzione le nostre richieste, che poi non sono nostre.
Egli ha detto che il Governo giudica «buono» il piano industriale. Sì, lo giudica buono, però contemporaneamente riconosce che il piano industriale, nella misura in cui implica la quotazione in Borsa del 48 per cento del pacchetto azionario, porterà in Fincantieri le banche. E sappiamo che le banche sono un sistema di vasi comunicanti, che ragionano in termini di redditività finanziaria, e che questo settore non garantisce fisiologicamente una redditività comparabile ai tassi d'interesse, non voglio neanche dire alla speculazione finanziaria. Garantisce sul piano dell'occupazione.
Questo è un classico delle privatizzazioni: ex ante appaiono tutti scenari radiosi; il problema è che storicamente, però, si verifica sempre come minimo una precarizzazione di larghe fette dell'occupazione. Spero naturalmente di essere smentito, ed anzi, in prima battuta, spero che non procederete nella direzione evocata.
Il sottosegretario assicura che non vi saranno delocalizzazioni delle attività produttive; è però un fatto che lo scorso gennaio il management della società ha proceduto all'acquisto di un cantiere low cost in Ucraina: questa notizia non è stata smentita dalla stampa. Occorrerebbe allora chiedere al management di essere più attento nell'interlocuzione con i mass media, poiché la democrazia vive di informazione.
Il sottosegretario afferma, inoltre, che sarebbe pregiudizievole per lo sviluppo dell'impresa il fatto che essa rimanga ferma. Ciò è naturale: ma perché dovrebbe restare ferma? Perché, se in Europa molte aziende pubbliche funzionano e crescono (penso alla Renault in Francia), dobbiamo considerare la dismissione o la privatizzazione come condizioni per il dinamismo del nostro apparato industriale pubblico? È questo che non si riesce a comprendere. Perché dobbiamo lesinare fiducia nei confronti della nostra capacità produttiva quando è in mano pubblica?Pag. 85
La verità è che, in questa storia, vi sono carenze del management che, come dicevo in premessa, non ha onorato precisi impegni e ciò dovrebbe essere un elemento da tenere presente, nell'ambito del rapporto di affidamento che lo Stato mantiene nei confronti dei propri alti dirigenti. Va detto poi che da parte della politica - negli anni ma, ahimè, anche in questi ultimi tempi - è stata adottata una condotta non sempre lineare né sufficientemente esplicita: ricordo, lo ho riportato anche nel testo dell'interpellanza, che lo scorso novembre il Vicepresidente del Consiglio D'Alema, se non ricordo male nel corso di un question time, garantì che non vi erano orientamenti di apertura al mercato del capitale Fincantieri. Oggi, invece, ci troviamo a fare i conti con una prospettiva ben diversa. È una modalità che non ci appare consona alla rilevanza dei temi che stiamo trattando.
Vi è poi il tema del rapporto con i lavoratori, signor sottosegretario: è questo il punto che ci preme mettere in evidenza. Sapete che vi è una raccolta di firme che ha coinvolto oltre il 70 per cento delle maestranze della società - operai, impiegati, tecnici, ingegneri, dirigenti - e che vi richiede di fermarvi. È curioso che persino la dirigenza, non il vertice del management, ma la dirigenza, gli ingegneri, cioè coloro che progettano e costruiscono le navi, vi dicano che ce la possono fare e vi chiedono di non procedere in tale direzione, ed invece si continua a risponder loro che ciò non è vero. Bisognerebbe essere più cauti.
E vi sono poi i sindaci e gli amministratori locali che sono preoccupati: non vogliamo prendere in carico le loro preoccupazioni? Non avranno una qualche ragion d'essere? State attenti, perché non si può governare contro o senza un contatto diretto e un ascolto attento in primo luogo delle persone che lavorano.
Signor sottosegretario, lei sa che domani, qui a Roma, vi sarà uno sciopero ed una manifestazione: naturalmente, una risposta positiva alle nostre istanze e preoccupazioni avrebbe contribuito ad una facilitazione, ma giocoforza le cose faranno il loro corso.
Su una questione, però, vorrei richiamare la sua attenzione nel concludere il mio intervento: lei diceva che sarebbe interessante soffermarsi sul fenomeno dei megayacht. È vero, sarebbe molto interessante, perché si tratta di un settore trainante: si vendono e si costruiscono sempre più di questi megayacht. Ebbene, io avrei una piccola chiave di lettura, certamente estemporanea e improvvisata, di questo fenomeno: questo è un settore in espansione perché il modello di sviluppo che chiamiamo «globalizzazione neoliberista» genera diseguaglianza e radicalizzazione della polarizzazione. D'altra parte, è sufficiente leggere i rapporti che l'Istat compila rispetto al nostro Paese.
Temo che la scelta di andare in Borsa, di ricapitalizzarsi attraverso il coinvolgimento del sistema creditizio, di spingere verso una finanziarizzazione vada precisamente in quella stessa direzione. Naturalmente speriamo di no, per quanto riguarda la specifica attività oggetto della nostra interpellanza, ma ho il timore, invece, che le nostre preoccupazioni siano fondate.
Ad ogni modo, signor sottosegretario - e torno a ringraziarla -, lei ha in questa sede proferito impegni molto solenni e si è impegnato a nome del Governo. L'aula parlamentare è una sede che, benché oggi sotto attacco, rimane essenziale per la nostra vita civile e per la nostra democrazia, e gli impegni proferiti in questa sede sono come scritti nella pietra: noi vi chiediamo di assumerli e di considerarli come precisi ed inderogabili obblighi.