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Svolgimento di interpellanze urgenti (ore 17,16).
(Vicende relative all'attacco alla stazione di pompaggio dell'ENI in Nigeria - n. 2-00639)
PRESIDENTE. Il deputato Cacciari ha facoltà di illustrare la sua interpellanza n. 2-00639 concernente vicende relative all'attacco alla stazione di pompaggio dell'ENI in Nigeria (Vedi l'allegato A - Interpellanze urgenti sezione 3).
PAOLO CACCIARI. Signor Presidente, ringrazio il Viceministro Franco Danieli. Si tratta del terzo atto di sindacato ispettivo che Rifondazione Comunista presenta in pochi mesi sulla questione della presenza ENI in Nigeria. Credo, quindi, che non serva girare intorno al nodo della questione. Sento il dovere di essere diretto e franco. Oggi, per fortuna, non c'è nessun italiano nelle mani dei ribelli, e possiamo quindi parlare senza timore di nuocere a trattative e di mettere in pericolo la vita di qualcuno.
Ciò che sta accadendo in Nigeria è un'escalation drammatica di uno scontro sociale, politico e finanche armato, tra lePag. 58popolazioni indigene, da una parte, e le compagnie multinazionali che da quarant'anni stanno sfruttando le immense risorse naturali fossili (gas metano e petrolio) che si trovano nella regione del Delta del Niger.
La Nigeria è il settimo esportatore di petrolio nel mondo. Nella regione del Delta del Niger vivono poco meno di 20 milioni di persone di etnie diverse con antiche civilizzazioni e con livelli di vita eccellenti fino alla comparsa del petrolio. Vi era un ecosistema estuariale delicatissimo di straordinario valore e generosità (foreste di mangrovie) prima che venisse aggredito dalle trivelle, avvelenato dagli spargimenti di greggio, scosso dalle esplosioni che generano per accumulo i gas, inquinato dalle ricadute della fuliggine e delle polveri di combustione dei pozzi e dei gas flaring che vengono selvaggiamente bruciati a cielo aperto.
Osservatori internazionali obiettivi parlano di danni ambientali irreversibili ed estesi: perdita di fertilità dei suoli, riduzione della pescosità, impoverimento della biodiversità. Le poche osservazioni epidemiologiche che sono state condotte parlano di gravi affezioni alle vie respiratorie nei bambini e anche di insorgenze cancerogene.
Amnesty International riferisce di gravi violazioni dei diritti umani da parte dei corpi di sicurezza delle compagnie petrolifere. Parliamoci chiaro: nel Delta del Niger si sta consumando una vera e propria guerra a bassa intensità, con l'esercito dello Stato della federazione della Nigeria che è chiamato a difendere le installazioni, ma non solo. Il Governo e lei, signor sottosegretario, sapete bene che le forze navali USA - i cui comandi di zona sono stati unificati con quelli del Mediterraneo e sono in Italia - sono state sollecitate dalle compagnie petrolifere e, sembra, anche dallo stesso Governo nigeriano, per proteggere le rotte che collegano i pozzi.
La tragica e contraddittoria vicenda di cui parliamo nell'interpellanza in esame si è consumata il 21 giugno nella flow station di Ogboinbiri, un impianto di pompaggio della consociata nigeriana dell'ENI, nello Stato di Bayelsa, con la morte di almeno dodici giovani nigeriani. Si tratta soltanto dell'ultimo scontro avvenuto, anzi, il penultimo. È di ieri la notizia del rapimento di altri cinque lavoratori della Shell.
Ho qui l'elenco, che l'Osservatorio Nigeria, creato da una ONG italiana, tiene aggiornato quotidianamente, degli scontri che si susseguono, e sono impressionanti: una lunga serie di occupazioni di impianti, di sabotaggi di pipeline, di attacchi con distruzione di istallazioni, sequestri di tecnici stranieri, combattimenti con forze militari regolari e irregolari, uccisioni.
I tecnici italiani e i dipendenti di qualsiasi nazionalità della società del gruppo ENI hanno dovuto subire sofferenze e ingiurie intollerabili, che nessun lavoro al mondo dovrebbe contemplare. Chiedo al Governo se nei nostri codici etici è contemplato, per il bene della nostra economia, il sacrificio di vite umane. Poco importa se siano vite italiane o nigeriane, alle dipendenze dirette delle imprese italiane o vincolate da contratti di subfornitura di forza lavoro, se siano ben pagati o malamente sfruttati.
Qui non siamo nel campo del rischio imponderabile, dell'incidente imprevedibile: qui siamo ad operare in una zona di guerra. Credo che il Governo debba accertare direttamente se ci sono le condizioni accettabili per poter svolgere normali attività produttive ed economiche.
Nostro preciso dovere è evitare che possa accadere l'irreparabile. La sicurezza dei cittadini italiani all'estero deve essere attestata da valutazioni impegnative e responsabili dell'autorità di Governo. E questo vale in assoluto, sia che si tratti di turisti attratti da agenzie «avventure», sia che si tratti di lavoratori alle dipendenze di imprese pronte a sfruttare convenienze economiche in capo al mondo.
In questo caso, tuttavia, c'è qualcosa in più che richiede l'intervento del Governo. Voglio essere il più chiaro possibile: l'ENI non è una compagnia business qualsiasi, ma la principale multinazionale italiana, ed è controllata dallo Stato. È la compagnia energetica di bandiera: lavora per noi, guadagna per noi. Abbiamo, quindi, dellePag. 59responsabilità politiche dirette, se non vogliamo parlare di doveri morali, per tutto quello che l'ENI fa. Scaricare le scelte ENI sull'autonomia del management è operazione pilatesca e, soprattutto, stupida. L'ENI è il nostro biglietto da visita in giro per mezzo mondo, è l'immagine e la politica internazionale concreta dello Stato italiano in tante parti del mondo.
Serve ricordare Enrico Mattei e la sua formula del 75 per cento degli utili nei paesi possessori di materie prime? Le strategie imprenditoriali e i comportamenti aziendali dell'ENI e delle sue consociate in Africa o in Sudamerica, in Nigeria o in Venezuela, in Algeria o in Russia, segnano e qualificano, in positivo o in negativo, le scelte geopolitiche dell'Italia nel mondo. Non credo che l'immagine dell'Italia ci guadagni, quando i dirigenti ENI dichiarano (leggo da il Corriere della Sera del 14 maggio): «noi non cederemo ai ricatti del Governo venezuelano», a proposito della legittima e giustificata volontà del Venezuela di ripristinare piena potestà e libertà d'uso delle proprie risorse naturali. Non è solo una questione politica, che consiglia le compagnie multinazionali che operano nei paesi fornitori di materie prima a favorire gli interessi delle comunità ospitanti.
Anche in Nigeria serve, quindi, una svolta. È necessario voltare pagina. Il nuovo Governo nigeriano - insediatosi con elezioni inattendibili, non avendo avuto la conferma da parte degli osservatori internazionali - aveva suscitato speranze e aspettative anche tra le varie organizzazioni della guerriglia - il Mend (il Movimento per l'emancipazione del Delta), il Joint revolution council, i giovani dell'etnia ijaw - ma la rottura della tregua annunciata l'altro ieri non fa sperare nulla di buono. Serve che il Governo italiano compia dei passi per il riconoscimento politico dei movimenti che da trent'anni lottano per il riconoscimento del debito ecologico maturato nei confronti delle compagnie petrolifere e per la piena sovranità delle popolazioni locali sui loro territori. È necessario avviare un percorso politico di rinegoziazione e ripacificazione dell'area e, per farlo, è necessario dare la disponibilità, pratica e di principio, all'azzeramento e alla moratoria delle attività di estrazione. Servono gesti distensivi. È necessario superare la percezione, che le popolazioni hanno, di una presenza straniera colonialista e predatoria.
Del resto, il loro sviluppo economico e la loro emancipazione da una situazione di miseria - stiamo parlando del paese più popoloso dell'Africa - è l'unica condizione vera, anche per raggiungere uno sviluppo equilibrato nel mondo intero, per evitare migrazioni ed esodi, profughi ambientali e rifugiati in fuga dalle guerre locali. È davvero miope pensare, in un mondo globalizzato ed interconnesso, di poter diventare ricchi noi, portando al nord e in Occidente il petrolio e il gas, magari con l'aiuto delle più sofisticate e costose tecniche di trasporto criogenico, lasciando impoverite le popolazioni autoctone.
È troppo stridente, credetemi, anche per i nigeriani che non sono potuti andare a scuola, vedere prendere la via del mare e dell'esportazione due milioni e mezzo di barili al giorno - tale è la produzione complessiva della Nigeria - e poi non avere la benzina per alimentare il gruppo elettrogeno del proprio villaggio. Voi lo accettereste, noi lo accetteremmo? E se qualcuno di loro tenta di seguire la via del petrolio e del gas, noi li fermiamo e diciamo: il tuo petrolio lo vogliamo, ci serve, ma di te non sappiamo cosa farcene.
Sono molto contento dell'aumento delle disponibilità finanziarie che con il DPEF, signori del Governo, avete stanziato per la cooperazione internazionale, specie in direzione dell'Africa. Tuttavia, mi chiedo, c'è qualche coerente coordinamento tra le azioni politiche del Governo dei diversi dicasteri?
C'è un vecchio motto, che si racconta tra chi fa cooperazione allo sviluppo internazionale, che dice: ad un povero non regalare un pesce, ma una canna da pesca. Vandana Shiva, una biologa indiana grande esperta delle economie di sussistenza, ha perfezionato il concetto, e haPag. 60detto: per aiutare i paesi poveri sarebbe sufficiente che i paesi ricchi la smettessero di pescare tutti i pesci del mare.
PRESIDENTE. Il Viceministro degli affari esteri, Franco Danieli, ha facoltà di rispondere.
FRANCO DANIELI, Viceministro degli affari esteri. Signor Presidente, risponderò in maniera articolata all'interpellanza dell'onorevole Cacciari, per cercare di fornire risposte puntuali ai quesiti che ha posto e alle preoccupazioni che ha sollevato.
I frequenti sequestri di dipendenti delle società petrolifere e gli assalti armati alle installazioni dell'ENI nella regione del Delta del Niger sono da sempre seguiti con la massima attenzione dal Governo italiano e costituiscono un tema centrale nei rapporti con le autorità nigeriane.
A seguito degli episodi di sequestro dei nostri connazionali, abbiano intrattenuto intensi contatti con l'ex Presidente della Repubblica nigeriana, Obasanjo. Lo stesso Presidente del Consiglio, Prodi, ha incontrato il Presidente nigeriano in occasione del vertice dell'Unione africana, ad Addis Abeba nel gennaio scorso, e successivamente in marzo, durante una visita di Obasanjo a Roma, a margine di un evento organizzato dalla FAO.
Anche il Ministro D'Alema e chi vi parla hanno ripetutamente sensibilizzato l'ex Presidente Obasanjo sulla questione. Da ultimo, negli incontri a margine del vertice del G8 del 6-8 giugno avuti dal Presidente del Consiglio, vi è stato il colloquio con il neoeletto Presidente nigeriano Yar'Adua, incentrato soprattutto sulle sfide che attendono quest'ultimo sul piano sia politico che economico, con particolare riferimento alla grave situazione in cui versa il Delta. Yar'Adua ha voluto, a questo riguardo, non solo fornire le più ampie dichiarazioni di impegno, aggiungendo che il Delta è al primo posto tra le priorità del suo Governo, ma anche soffermarsi sulla strategia che sta impostando, basata sul dialogo con tutti gli stakeholders e sulla creazione di un indispensabile clima di fiducia reciproca.
In tutte queste occasioni non abbiamo mancato di sensibilizzare le autorità nigeriane al fine di indurle ad intensificare gli interventi a favore delle popolazioni del Delta del Niger, sostenendone l'emancipazione mediante un'effettiva partecipazione ai vantaggi derivanti dall'estrazione del petrolio, di cui quest'area è ricca e da cui la popolazione riceve pochissimi ricavi.
Secondo quanto è stato riferito dall'ENI, la sua filosofia per l'attività estrattiva in Nigeria è stata, fin dagli anni Settanta, quella di migliorare le condizioni di vita delle popolazioni indigene, offrendo la possibilità alle comunità di svilupparsi attraverso un processo di auto-sostentamento costantemente supportato, fornendo le risorse e gli strumenti essenziali quali la disponibilità di energia elettrica e la relativa distribuzione, know-out e tecnologia per i prodotti agricoli. Soprattutto a partire dagli anni Ottanta, l'ENI, attraverso la sua consociata NAOC, ha avviato una politica di sostegno alle comunità locali, nell'ottica di ridurre la loro dipendenza dal petrolio e creare le condizioni necessarie per l'auto-sostentamento nel più lungo periodo.
Allo stesso rispetto per le popolazioni locali si ispirano anche le nuove linee guida sulla politica di sicurezza che l'azienda ha emanato nel 2004. Tali linee richiamano la necessità di gestire il rischio in maniera responsabile, attraverso la diffusione interna di un adeguato livello di consapevolezza, specifiche attività di prevenzione attiva e passiva e la formazione del personale addetto alla vigilanza. Queste linee di condotta estendono l'insieme di principi e norme di comportamento aziendali alle forze di sicurezza che svolgono attività di tutela dei dipendenti e del patrimonio aziendale. E proprio per formalizzare il loro carattere cogente, i principi e i criteri applicativi della politica di sicurezza della società vengono sempre inseriti in tutti i contratti con i fornitori.
Quanto alla lunga e dettagliata lista di domande che l'onorevole interpellante pone sulla dinamica dell'assalto alla flow station (stazione di pompaggio) Agip di Ogboinbiri del 17 giugno scorso, faccioPag. 61notare che, in molti casi, si tratta di quesiti a cui può rispondere la sola azienda. Riporterò, comunque, gli elementi che abbiamo chiesto e che sono pervenuti al Ministero degli affari esteri, anche in virtù dei consolidati rapporti di collaborazione e del regolare scambio di informazioni esistenti con l'ENI.
Per quanto riguarda la prima domanda, sulle norme di sicurezza adottate dall'ENI in Nigeria, la società ci segnala che tutte le sue installazioni sono protette con recinzioni parziali o totali perimetrali e con sistemi anti-intrusione di tipo passivo (filo spinato). È presente, inoltre, un servizio di guardia privata non armata, normalmente impiegato per la gestione del controllo degli accessi, sotto contratto dell'impresa (la consociata NAOC). La sorveglianza armata, invece, viene curata dal Governo federale, che impiega esercito e marina, stabilendo il numero di risorse da utilizzare e le regole di ingaggio.
Al momento dell'attacco del 17 giugno erano presenti nell'impianto cinquantuno militari, tutti assegnati dal Governo federale nigeriano. Com'è il caso per tutti i distaccamenti militari assegnati alla difesa di impianti petroliferi, essi non rispondevano in alcun modo, da quanto ci è stato segnalato dall'ENI, a funzioni della società, ma rispondevano agli ordini di comandanti militari alle dirette dipendenze dei diversi ministeri. Al momento dell'attacco sono giunti dieci uomini armati a bordo di un'imbarcazione. Nel corso dell'occupazione il numero degli aggressori armati è arrivato ad essere pari a cinquanta. Dopo un breve scambio di colpi d'arma da fuoco (gli aggressori hanno aperto il fuoco per primi), quarantasette soldati sono fuggiti insieme ad alcuni operatori. Lo scambio di colpi d'arma da fuoco durante l'attacco dimostra come l'assalto fosse stato pianificato con l'obiettivo di condurre un attacco armato finalizzato a prendere il controllo dell'impianto e non un'occupazione pacifica.
Come accaduto in altri casi, i miliziani hanno attaccato l'installazione petrolifera e ne hanno preso il controllo per poi avanzare richieste al Governo federale per il rilascio degli impianti. Non conosciamo, ad oggi, le ragioni della permanenza degli assalitori nella stazione, che sembrerebbero collegate al protrarsi dei negoziati fra gli occupanti e le autorità locali.
Il 18 giugno ultimo scorso vi è stata una telefonata tra le autorità dello Stato del Bayelsa ed il management NAOC, nel corso della quale l'ENI si è dichiarata contraria all'uso della forza, per non mettere a rischio l'incolumità dei propri lavoratori. Le autorità hanno assicurato l'impegno a cercare una soluzione pacifica e negoziata della vicenda.
L'esercito nigeriano ha tuttavia deciso, dopo cinque giorni di trattative, di entrare in azione e liberare gli ostaggi. Lo scontro a fuoco sarebbe durato, secondo quanto ci viene comunicato dall'ENI, circa quattro ore, durante le quali gli occupanti hanno opposto soltanto una debole resistenza. Non conosciamo il dato relativo alle vittime tra i militari, pertanto il bilancio definitivo degli scontri non è noto. Gli ostaggi liberati sono nove. Altri due sono rimasti uccisi poiché utilizzati dagli occupanti come copertura per la propria fuga. Buona parte degli operatori e dei minatori erano infatti riusciti a scappare al momento dell'attacco. Nei giorni seguenti, si è potuto verificare che, con la fuga dei quarantasette militari e dei tredici operatori, erano rimasti nella flow station quattro militari e undici operatori.
Quanto all'impatto che hanno avuto le azioni armate e i sequestri di personale sulla produzione petrolifera dell'ENI in Nigeria, l'azienda ci comunica che la NAOC ha dovuto attualmente chiudere quattro flow station, tutte nella zona delle paludi, con una perdita di produzione giornaliera pari a 53 mila barili (di cui in quota ENI circa novemila barili).
Nell'ambito dei futuri contatti con il Governo nigeriano, non si mancherà, ad ogni modo, di continuare a tenere presente la questione del Delta del Niger, anche al fine di sollecitare una riflessione, nell'ambito del nuovo programma di Governo, sui modi migliori per assicurare le indispensabili condizioni di sicurezza degli impianti delle compagnie petrolifere e dellePag. 62attività delle società italiane che vi operano, che non sono solo società petrolifere, poiché ve ne sono molte altre che lavorano in diversi settori.
Voglio dire in maniera molto chiara all'onorevole Cacciari che una sicurezza può essere assicurata in maniera stabile soltanto con un approccio integrato che consenta un'effettiva partecipazione delle popolazioni locali ai vantaggi derivanti dall'estrazione del petrolio ed una riduzione dei forti contrasti sociali ed economici che caratterizzano la regione.
PRESIDENTE. Il deputato Cacciari ha facoltà di replicare.
PAOLO CACCIARI. Signor Presidente, ho cinque minuti?
PRESIDENTE. Ha dieci minuti di tempo per replicare.
PAOLO CACCIARI. Intanto ringrazio molto il Viceministro Danieli per il suo sforzo di ricostruzione di una vicenda avvenuta in una terra così lontana e così, evidentemente, poco trasparente, non solo per questioni di nebbie estuariali, ma anche per difficoltà di comunicazioni ufficiali. Evidentemente, fatti così gravi non riescono ad essere nemmeno monitorati ufficialmente dalle autorità locali, ivi compreso il riconoscimento dei cadaveri. In quell'area la situazione è davvero instabile, per usare un eufemismo.
Spero, peraltro, che il Viceministro Danieli abbia capito le intenzioni delle nostre continue sollecitazioni al Governo.
Chiederemo al Governo di fare qualcosa di più; in particolare, di non fare, per così dire, il portavoce dell'ENI che, pur essendo una grande multinazionale, una compagnia dello Stato, non è propriamente il corpo consolare, e, conseguentemente, non deve e non può rappresentare l'Italia in quel Paese.
Sono convinto che l'attività diplomatica svolta dal nostro Governo con le autorità nigeriane - i contatti in corso, da quanto ci è stato riferito, tra il nostro Governo e quello nigeriano, in particolare tra il precedente e l'attuale Presidente della Nigeria - sia improntata alla massima serietà e al tentativo di garantire davvero un Governo più responsabile della vita delle popolazioni del Delta.
Anch'io penso che, per esempio, la scelta del nuovo Presidente, il neoeletto Presidente Yar'Adua, di nominare come vicepresidente Goodluck Jonathan, che è di etnia ijaw, la principale etnia tra le popolazioni del Delta, rappresenti un segno di dialogo per quel territorio. Credo però che tutto ciò non basti, non sia sufficiente, soprattutto mi preoccupa un po' questa delega - mi lasci dire - alla nostra compagnia di bandiera petrolifera.
Le cose che ci ha riferito sinteticamente e che la compagnia scrive nei suoi programmi non mi convincono. Mi lasci fare un conto banale, ragionieristico: i costi che l'ENI - e quando parlo dell'ENI mi riferisco anche alle quattro compagnie sorelle, che stanno sfruttando i giacimenti fossili nel Delta del Niger - sostiene per la protezione armata e le misure di security, ma soprattutto, in termini di mancata produzione, sulle previsioni di sfruttamento, sono giganteschi. Ho fatto qualche conto: le previsioni autorizzate in quota all'ENI sono pari a 150 mila barili al giorno; dopo la recrudescenza degli scontri armati - e lei me lo confermava - l'estrazione di petrolio stenta ad arrivare a 100 mila barili al giorno.
Ho fatto qualche ulteriore conto: se anche fossero, come lei riferisce, 50 mila i barili in meno che vengono estratti, rispetto a quelli autorizzati all'ENI dal Governo nigeriano, si tratta, al prezzo di 65 dollari al barile, di 3 miliardi e 250 milioni di dollari al giorno di mancato sfruttamento, a causa di questioni che attengono alla sicurezza; somma che è molto di più delle royalties che l'ENI deve pagare allo Stato.
Mi chiedo, anche da un punto di vista meramente contabile, se non sarebbe meglio impiegare queste somme per concordare e co-progettare con la comunità locale interventi a sostegno dell'economia locale. Non mi si venga a dire che l'ENI sta già facendo molto: il programma sull'agricolturaPag. 63che lei ricordava, signor Viceministro, il Green River Project, un programma agricolo integrato, avviato vent'anni fa, è costato quanto la perdita di petrolio di sette giorni, cioè 17 milioni di dollari in 20 anni: sono meno delle briciole, questi aiuti che l'ENI fornisce, mentre è particolarmente antipatico che l'ENI contabilizzi, tra le opere gratuite svolte a fin di bene, il progetto Zero Gas Fleming, per l'eliminazione in atmosfera del gas relativo al combustibile a torce associato al petrolio estratto dai giacimenti.
Tale progetto è stato inserito nei meccanismi flessibili previsti dal Protocollo di Kyoto e permetterà all'ENI di accedere al mercato delle autorizzazioni di emissioni di CO2, consentendole di conseguire un altro bel gruzzolo di quattrini da mettere nel proprio bilancio. Ancora più insopportabile è la propaganda che l'ENI fa dei progetti di difesa della costa contro l'erosione senza tener conto che la subsidenza è provocata proprio dagli emungimenti che compiono le compagnie petrolifere.
Signor Viceministro, ritengo davvero che l'ENI vada convocata, vada messa a un tavolo della cooperazione internazionale e che si miri ad un approccio integrato per far sì che quelle che l'ENI porrà in essere in termini di sviluppo locale, di accompagnamento e di facilitazione dello sviluppo locale possano essere politiche riconosciute davvero come tali.
Quello che conta non è ciò che viene scritto sui giornali, nelle pagine di propaganda dell'ENI, ma quello che viene recepito dalle popolazioni locali. Dato che oggi le popolazioni locali non avvertono questa magnanimità dell'Italia, ma anzi recepiscono un messaggio di colonialismo, di sfruttamento, di depredazione, bisogna compiere un rovesciamento dell'immagine e ciò non può essere compiuto dall'ENI stessa ma deve essere realizzato dal Governo italiano, dalla politica: lo dobbiamo fare noi. Dobbiamo forse accettare quell'invito che varie organizzazioni hanno fatto di creare una commissione indipendente che verifichi la situazione, i livelli di inquinamento, le condizioni di sicurezza, i piani di bonifica, i rapporti di amicizia con le comunità locali, compresi i rapporti informali con le comunità e i villaggi tribali che contano forse di più dei rapporti formali con il Governo federale.
Tutto ciò rappresenta un lavoro politico che andrebbe impostato dal Governo e non dalla nostra azienda di Stato.