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Discussione delle mozioni Lulli ed altri n. 1-00030, D'Agrò ed altri n. 1-00034 e Pedrizzi ed altri n. 1-00230 sulle iniziative per favorire la «tracciabilità» di prodotti importati (ore 21,10).
(Intervento del Governo)
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il Ministro del commercio internazionale e per le politiche europee, Emma Bonino.
EMMA BONINO, Ministro del commercio internazionale e per le politiche europee. Cari colleghi, vi ringrazio per queste mozioni che mi consentono, perlomeno, di fare il punto della situazione sui vari dossier che avete sollevato.
Vi rendete conto e lo sapete perfettamente che, indirizzandovi a questo Governo e a me, come Ministro, in realtà rischiate di predicare a una convertita.
PIETRO MARCENARO. È la cosa migliore!
EMMA BONINO, Ministro del commercio internazionale e per le politiche europee. Sapete bene quanta energia stiamo spendendo, per esempio, sul regolamento «made in». Desidero salutare, in questa sede, il grande apporto dei vostri colleghi di tutti i gruppi al Parlamento europeo e le iniziative che costoro stanno prendendo per una dichiarazione che, se entro il 3Pag. 97dicembre raggiungerà la maggioranza assoluta delle firme, si intenderà approvata.
Questa, peraltro, non sarebbe neanche una novità, perché la risoluzione a sostegno del regolamento «made in» cui lei, onorevole D'Agrò, faceva riferimento, è già passata: non è del Consiglio - magari! -, ma del Parlamento europeo. Abbiamo recentemente avuto a Bruxelles una conferenza stampa con la commissaria Kuneva, la quale si è espressa a sostegno di questo regolamento, non come elemento di politica protezionistica, ma come diritto all'informazione dei consumatori per favorire la loro libertà scelta.
Come sapete, per ragioni che non sono particolarmente oscure, esiste uno scontro abbastanza evidente tra la parte residua dei Paesi manifatturieri e la stragrande maggioranza dei Paesi europei di tipo commerciale o commerciante che si oppongono a questo regolamento.
Quello che stiamo facendo con l'aiuto dei vostri colleghi del Parlamento europeo - ad esempio, io ero a Berlino la settimana scorsa per l'ennesimo incontro - consiste nel cercare di spiegare alle nostre controparti che non si tratta di una misura protezionistica per tutte le motivazioni che lei ha detto, ossia perché l'hanno già adottata gli Stati Uniti, il Canada, la Cina e il Giappone e perché non costituirebbe affatto un aggravio di costi, dato che i produttori cinesi, per esportare i loro prodotti verso gli Stati Uniti, già appongono l'etichetta e quindi, certamente, non costituirebbe un aggravio di costi applicarla anche sui prodotti che esportano in Europa.
Come sapete, tale regolamento è bloccato da più di due anni, perché non raggiunge la maggioranza qualificata necessaria per essere approvato in Consiglio. Abbiamo reso pubblici i nomi dei Paesi contrari.
Vorrei solamente far presente che il nostro impegno non viene meno e che recentemente abbiamo anche riscontrato delle aperture per quanto riguarda la Slovacchia e il Belgio che potrebbero aiutarci almeno a compiere un passo in tale direzione e che stiamo particolarmente insistendo con i colleghi tedeschi - paese chiave in questa direzione - perché riteniamo che in Europa i paesi manifatturieri non siano moltissimi. Credo che una maggiore informazione possa aiutare al riguardo.
È chiaro che la confindustria tedesca ancora oggi è contraria. Tuttavia, ritengo che, almeno a partire dagli incidenti di quest'estate relativi al caso Mattel, l'esigenza di dare ai consumatori uno strumento in più in termini di informazione per poter scegliere comincia ad essere riconosciuta come uno strumento importante non tanto di autodifesa, ma certamente di scelta.
Tuttavia, cari colleghi, rimane la mia profondissima convinzione che quando la Mattel o per essa altre imprese delocalizzano l'attività in altri Paesi, la ditta titolare del marchio abbia il dovere di rispondere per tutta la catena di produzione sui prodotti che vengono immessi nei diversi mercati sotto il proprio brand. Infatti, è troppo facile - cosa che poi è stata riconosciuta - fare economia non investendo in controlli necessari che, invece, è possibile fare, tant'è vero che le imprese italiane, più ligie di molte altre, investono molto e hanno costi per la tutela del brand e la sicurezza dei prodotti.
In breve: se un consumatore compra una FIAT, vuole che questa freni - indipendentemente da dove i freni siano stati fabbricati - e chi ne deve rispondere è, di tutta evidenza, il titolare del brand, cosa che alcune imprese non fanno.
Questo è quello che stiamo facendo: come vedete non desistiamo. Si tratta di un tema che è stato sollevato anche a Lisbona e che, credo, sarà oggetto del vertice italo-tedesco e degli altri vertici che si approssimano, sia quello italo-francese di fine novembre, che quello italo-tedesco del 20 novembre. Speriamo che ciò si possa fare con tutte queste iniziative e con l'appoggio delle campagne di informazione dei parlamentari europei.
Consentitemi - non per burocrazia, che non è una cosa che mi appartiene - di confermare il contenuto della lettera che vi ho inviato. Sono fra coloro che ritengonoPag. 98che, finché se ne ha la responsabilità, le norme che si redigono devono essere aderenti a quelle europee e non si debba lasciare al Governo successivo infrazioni, pene, penalità, sanzioni o altro. Si tratta di un comportamento che trovo particolarmente sgradevole, trovandomi a gestire 270 infrazioni. Quando si parla di credibilità in Europa ci si dovrebbe rendere conto di cosa voglia dire.
Confermo le mie riserve e prego i deputati della Commissione dei vari partiti di compiere, tramite il proprio ufficio legislativo, alcune verifiche in termini di compatibilità comunitaria rispetto al testo di legge che vi accingete a varare.
Per quanto riguarda i diritti sociali, vorrei ribadire al collega, che fin dal 1996 e, successivamente, nel 1999 a Seattle, quando la conferenza del WTO si risolse in un fallimento, in particolare da parte dall'Italia ma anche dall'Europa, tale tema è stato proposto in tutte le sedi e - come lei stesso sa - è stato respinto dal WTO, in particolare per pressioni provenienti dai paesi emergenti. Tuttavia, ricordo altrettanto al collega che nell'anno 2005, sotto il forte sostegno dell'Italia e in particolare del Governo dell'epoca, l'Unione europea ha adottato un regolamento in cui viene applicato uno schema di preferenza tariffaria generalizzata, cioè di agevolazioni daziarie, che prevede specifici incentivi per quei Paesi, la cui legislazione nazionale incorpori la sostanza delle convenzioni sul diritto del lavoro e i diritti sociali, tra cui le convenzioni sul lavoro minorile, che dimostrano di applicare questa legislazione e che, come noto, va sotto il nome del sistema «GSP Plus».
Quindi tutto quello che era possibile fare in termini bilaterali è stato perseguito, con questo importante risultato nel 2005; ma per ora, in ambito WTO, tale tema non riesce a «passare».
Vorrei ora svolgere due considerazioni velocissime sulla sicurezza e sulla contraffazione. Confermo tutte le cifre che lei ha dato, che sono di dominio pubblico; faccio solo rilevare che si tratta di un tema così complicato che una buona parte della contraffazione dei prodotti che lei citava non arriva in Italia dal Sud-est asiatico, ma dall'Italia stessa: facciamo il design vero, quello falso e quello contraffatto. Il nostro spirito di iniziativa è piuttosto creativo.
LUDOVICO VICO. Solo le percentuali sono significative!
EMMA BONINO, Ministro del commercio internazionale e per le politiche europee. Quanto alla percentuale, la nostra quota è piuttosto significativa in alcuni settori. Rimane il fatto che anche per l'Italia il prossimo disegno di legge sulla sicurezza pare che si occupi di questo; in realtà, è già difficile far rispettare le norme, che pure esistono, e che sono delegate, come lei sa, sostanzialmente ai comuni che incontrano una serie di difficoltà ad applicarle. In ogni caso, sui prodotti contraffatti credo vi siano alcune novità per quanto riguarda i diritti di proprietà intellettuale: vi sono alcuni elementi positivi in ambito WTO, e per quanto riguarda il tessile siamo arrivati, vincendo con venti Paesi europei, al sistema del doppio monitoraggio, che spero ci aiuti ad evitare tutto ciò. Il problema della contraffazione non ha però risposte «bianche o nere» molto facili. Stiamo aprendo quattordici desk anticontraffazione - quindi non siamo più «tonti» di altri - in tutti i Paesi sensibili, proprio per aiutare perlomeno tutte le inchieste e le denunce; credo però che un'applicazione rigorosa delle norme intanto nel nostro Paese, ivi compresi le dogane e i porti, che non sono solamente quelli italiani ma anche, ad esempio, Rotterdam ed altri, sia come lei auspicava un fatto importante.
Per quanto riguarda la sicurezza e il problema che lei sottolineava delle sostanze pericolose, sia con riferimento alle calzature che al tessile, come attestano alcune recenti inchieste, il Ministero della salute, a partire dal 2005, ma anche recentemente, ha rafforzato, sulla base di una denuncia dell'Associazione nazionale dei calzaturieri italiani, le misure per far fronte ai rischi sanitari. Attualmente, il Ministero della salute ha istituito l'OsservatorioPag. 99nazionale per la valutazione dei rischi sulla salute non solamente dei prodotti tessili, ma di altri prodotti. Con l'entrata in vigore del regolamento Reach, tutti gli articoli che contengono sostanze pericolose, come il collega sa, devono essere registrati presso l'Agenzia europea di Helsinki, ovunque essi siano prodotti. Si tratta di capire se riusciamo a fare applicare queste norme, perché la mia preoccupazione è che, fra la norma e la sua applicazione, si crei anche in questo settore una zona grigia in cui il problema non è tanto rafforzare la legislazione, ma farla applicare (questo è il problema critico).
Infine, lo scorso 22 marzo è stato firmato un memorandum d'intesa tra i Ministeri italiani della salute e dell'economia per l'attivazione di specifici profili di rischio e mirate campagne di controlli sulle merci. Su questa base è stata rappresentata la necessità all'Agenzia delle dogane di richiedere anche il rilascio di nulla osta sanitario per le partite di merci importate contenenti cromo, nichel, piombo, tutte sostanze spesso presenti in numerosi capi di abbigliamento, giocattoli, lacche, pitture, bigiotteria. Anche gli assessorati alla sanità sono stati sollecitati per la verifica di eventi acuti, attribuibili all'uso di articoli contenenti le sostanze di cui ho parlato.
Infine, per quanto riguarda l'attività degli uffici delle dogane, si segnala che negli spazi doganali vi è un'attività di contrasto, che viene svolta da parte dei reparti operativi, ed un'attività di individuazione dei centri di produzione e dei canale di distribuzione. Questa attività è attuata dalla Guardia di finanza nel quadro di una collaborazione informativa tra pubblici poteri, sulla base di specifici protocolli di intesa firmati non solamente con il Ministero dell'attività produttiva, ma anche con Confindustria e l'Alto Commissario per la lotta alla contraffazione.
Queste sono iniziative che abbiamo appena avviato e che spero daranno risultati. Dico ciò, naturalmente, tenendo conto della complessità della questione della contraffazione, che è altra cosa rispetto a quella dei prodotti pericolosi. Si tratta, infatti, di due fattispecie diverse, anche se entrambe hanno un grandissimo rilievo ed un grandissimo impatto l'una sulla salute dei consumatori, l'altra sull'apparato produttivo, come emerge anche dai dati che lei citava.
Ci auguriamo che questo rafforzamento delle iniziative riesca a limitare ulteriormente il danno che tali fenomeni producono, non solo al nostro Paese, ma intanto al nostro Paese.
PRESIDENTE. Il seguito del dibattito è rinviato ad altra seduta.