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Discussione del disegno di legge S. 635: Sospensione dell'efficacia nonché modifiche di disposizioni in tema di ordinamento giudiziario (Approvato dal Senato) (A.C. 1780) (ore 10).
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge, già approvato dal Senato: Sospensione dell'efficacia nonché modifiche di disposizioni in tema di ordinamento giudiziario.
Avverto che lo schema recante la ripartizione dei tempi è pubblicato in calce al vigente calendario dei lavori dell'Assemblea (vedi calendario).
(Annunzio di una questione pregiudiziale e di una questione sospensiva)
PRESIDENTE. Avverto che sono state presentate la questione pregiudiziale di costituzionalità Pecorella ed altri n. 1 e la questione sospensiva Lussana n. 1, che saranno esaminate al termine della discussione sulle linee generali.
Ricordo che, per prassi costante, i tempi relativi all'esame di tali strumenti sono computati in quelli riservati alla discussione sulle linee generali.
(Discussione sulle linee generali - A.C. 1780)
PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Avverto che il presidente del gruppo parlamentare Forza Italia ne ha chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del regolamento.
Ha facoltà di parlare il relatore, deputato Palomba.
FEDERICO PALOMBA, Relatore. Signor Presidente, ho depositato il testo della mia relazione, ai fini della sua pubblicazione in calce al resoconto stenografico della seduta odierna; ad essa intendo richiamarmi, anche per brevità di esposizione.Pag. 5Vorrei tuttavia significare alla Presidenza ed ai colleghi alcune questioni.
Intanto, informo la Presidenza che questa mattina si è riunito il Comitato dei nove, considerato che l'odierna seduta è prevista senza interruzioni fino alla votazione finale. Si è ritenuto necessario convocare il Comitato dei nove. Tuttavia, intendo far presente che lo stesso Comitato dei nove ha considerato necessario riconvocarsi, o comunque, sospendere la seduta e riprenderla al termine della discussione sulle linee generali, durante la prima sospensione tecnica che potrebbe essere concessa dalla Presidenza della Camera, al fine di poter esaminare gli emendamenti subito dopo la discussione sulle linee generali, così come solitamente previsto.
Nel merito, signor Presidente, vorrei aggiungere soltanto alcune brevi considerazioni alla relazione che ho testè depositato agli atti. Ricordo che quella sull'ordinamento giudiziario rappresenta una delle leggi più importanti dell'intero assetto istituzionale, poiché riguarda la disciplina di un ordine di rilievo costituzionale. Si tratta di un ordine che, a sua volta, esprime un potere indipendente: la Costituzione, infatti, stabilisce che la magistratura rappresenta un ordine autonomo ed indipendente da ogni altro potere. Tuttavia, a prescindere da tale considerazione, si comprende bene l'importanza di un provvedimento di riordino dell'ordinamento giudiziario.
Nella precedente legislatura è stata operata una corposa e massiccia riforma dell'ordinamento giudiziario del 1941, il quale, peraltro, nella vigenza dell'attuale disciplina costituzionale, nel corso del tempo aveva subito numerose modifiche (circa una settantina). La riforma dell'ordinamento giudiziario è stata approvata, nella scorsa legislatura, dall'allora maggioranza con una votazione «autosufficiente», nonché con il forte contrasto manifestato dalle opposizioni (oggi maggioranza).
Credo che l'odierna opposizione dovrebbe valutare favorevolmente alcune circostanze. Infatti, la maggioranza dell'attuale legislatura, che si è presentata agli elettori con un programma che annunciava l'intenzione di rivedere integralmente - se non addirittura di abrogare - alcuni aspetti della normativa previgente, considerati fortemente contrastanti con l'assetto costituzionale, aveva di fronte a sé due scelte.
La prima era decidere se ricorrere alla decretazione d'urgenza oppure se presentare un disegno di legge. Il Governo ha ritenuto di privilegiare la presentazione di un disegno di legge ordinario, e ritengo che ciò rappresenti una scelta che l'attuale opposizione dovrebbe apprezzare.
La seconda scelta cui si trovava di fronte la maggioranza era l'opzione tra l'abrogazione e la sospensione di alcune disposizioni della normativa vigente. Anche sotto questo profilo, dunque, ritengo che la decisione di procedere non all'abrogazione (che avrebbe significato, sostanzialmente, sopprimere perfino quelle parti della riforma dell'ordinamento giudiziario che fossero state considerate favorevolmente), ma alla sospensione di alcune norme, al fine di valutare meglio la situazione, dovrebbe essere apprezzata dalle attuali opposizioni. Ciò, infatti, assume il significato di un invito a collaborare per verificare l'efficacia e l'effettività del funzionamento dell'intero ordinamento giudiziario.
In effetti mi sembra che tale decisione sia stata considerata positivamente al Senato della Repubblica, poiché presso l'altro ramo del Parlamento è stata seguita la linea della collaborazione. Come sappiamo, grazie ad un accordo tra maggioranza ed opposizione, sono state apportate modifiche ad alcuni dei decreti legislativi adottati a seguito dell'entrata in vigore della legge delega n. 150 del 2005 (mi riferisco soprattutto ai decreti legislativi nn. 106 e 109 del 2006).
Desidero intervenire in modo particolare su una di tali modifiche, poiché riguardo ad essa è sorta una questione molto rilevante, successivamente sollevata anche in sede di Commissione giustizia. Mi riferisco alla circostanza per cui, secondo le opposizioni, vi è una presunta discrepanzaPag. 6tra le modifiche apportate dal Senato e le disposizioni in materia disciplinare recate dallo stesso decreto legislativo n. 109 del 2006.
È stato affermato, infatti, che in base alla modifica introdotta dall'altro del Parlamento, la competenza per le impugnazioni spetta alle
ioni unite civili della Corte di cassazione, mentre al contempo è rimasta in vita la previgente disposizione dello stesso decreto legislativo n. 109 del 2006 che prevede che il procedimento da seguire sia il rito penale.
L'opposizione ha sollevato un problema su tale aspetto, presentando non solo alcune proposte emendative, ma addirittura una questione pregiudiziale di costituzionalità, poiché, a suo avviso, vi sarebbe una presunta discrepanza tra le disposizioni. Vorrei evidenziare che su tale questione la Commissione competente ha fornito due possibili interpretazioni, entrambe legittime e convergenti, poiché ha ritenuto che il testo attuale, risultante dalla disciplina recata dal decreto legislativo n. 109 del 2006, non debba essere cambiato.
Le due interpretazioni possibili sono le seguenti. La prima è che sia perfettamente legittimo che le sezioni unite civili della Cassazione giudichino con il rito penale, che, sotto molti aspetti, è più vicino al rito disciplinare. La seconda è che sarà una questione interpretativa da affidare alle stesse sezioni unite civili della Cassazione, che potranno valutare se seguire il rito civile o quello penale. In entrambi i casi, comunque, l'Unione ma, soprattutto, la Commissione è stata concorde nel ritenere che il testo non debba essere modificato.
Sul decreto legislativo n. 160 del 2006 c'è stato un accordo per la sospensione dei suoi effetti, nel senso che non si è fatto in tempo a verificare quali potevano essere le condizioni migliori per intervenire, sia pure limitatamente, al Senato. Come si sa, tale decreto riguarda prevalentemente la questione dell'ordinamento della carriera dei magistrati e, in modo particolare, tra quelle più rilevanti, la questione della distinzione delle funzioni.
Per quanto riguarda la separazione delle carriere, credo che non si ponga alcuna questione, perché neanche l'opposizione ha ritenuto di doverla seguire nella precedente legislatura, in cui aveva una maggioranza corposa. È evidente a tutti quali potrebbero essere le implicazioni, anche di carattere costituzionale, di questa norma, che, probabilmente, alla luce dell'attuale impianto della nostra Costituzione, non sarebbe legittima.
Anche sulla separazione delle funzioni bisogna riflettere, perché rispetto all'affermazione secondo la quale non sarebbe opportuno che un magistrato si occupasse indifferentemente del civile e del penale, ma si vorrebbe che, invece, il pubblico ministero si occupasse soltanto di questo settore, esperienze importanti, che discendono dalla vita quotidiana nella magistratura, inducono a ritenere che la cultura della giurisdizione sia necessaria sia per il pubblico ministero, sia per il giudice. Una trasmigrazione dall'una all'altra funzione costituisce, infatti, soltanto una temporanea differenziazione del modo di essere magistrato, che è orientato alla unicità della cultura della giurisdizione.
Mi sia consentito fare un breve richiamo. In questi giorni va in pensione il procuratore della Repubblica di Cagliari, Carlo Piana, che conosco molto bene. Egli è un magistrato stimato da tutti per la sua assoluta integrità e competenza e ha svolto moltissime funzioni nella sua lunga carriera. La funzione giurisdizionale gli è stata di straordinario aiuto nel momento in cui ha intrapreso il ruolo di procuratore della Repubblica, che ha mantenuto per 12 anni, e quindi di direttore della direzione distrettuale antimafia.
Questo è uno degli esempi, ma ce ne sono tantissimi, che possono essere estratti dalla vita quotidiana dei magistrati, dalla quale risulta che ricoprire ruoli diversi, tramite la trasmigrazione da una funzione all'altra, non comporta minimamente delle difficoltà, anzi le funzioni esercitate si sostengono reciprocamente.
Su questo decreto legislativo, che è stato sospeso, dobbiamo metterci a lavorare; noi auspichiamo che ci sia unaPag. 7volontà di procedere, in maniera concorde, a rivedere alcune parti dell'ordinamento giudiziario e, in modo particolare, tale decreto legislativo. C'è una disponibilità anche della Commissione a lavorare in questo senso.
Nel frattempo, però, è necessario approvare subito il testo, così com'è stato approvato dal Senato, perché la sua adozione eviterebbe il caos nella gestione delle eventuali opzioni, che determinerebbe gravi inconvenienti sia sulla funzionalità del Consiglio superiore della magistratura, sia sulla operatività del Ministero della giustizia.
Queste sono le ragioni per le quali la Commissione mi ha dato mandato per esprimere all'aula un parere favorevole al mantenimento del testo, così come pervenuto dal Senato.
PRESIDENTE. La Presidenza autorizza, sulla base dei criteri costantemente seguiti, la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del testo integrale della relazione.
Ha facoltà di parlare il rappresentante del Governo.
LUIGI SCOTTI, Sottosegretario di Stato per la giustizia. Signor Presidente, il testo sottoposto all'esame di questa Assemblea è frutto di un accordo faticoso, ma convergente, nell'altro ramo del Parlamento; un accordo che ha pienamente soddisfatto anche le forze dell'opposizione, le quali hanno espresso un voto contrario, pur dando atto della bontà dell'intesa intervenuta sul testo dei decreti legislativi relativi all'assetto della procura della Repubblica e alla disciplina degli illeciti disciplinari. Il voto contrario è stato giustificato dal fatto che si è chiesta la sospensione del decreto legislativo n. 160 del 2006, concernente l'accesso in magistratura e la carriera dei magistrati.
Il Governo ritiene che il testo, così come approvato dall'altro ramo del Parlamento, soddisfi appieno le esigenze dell'ordine giudiziario, nel senso che conferisce un assetto più moderno a tale ordine.
Per quanto riguarda la procura della Repubblica, il Governo ha mantenuto l'architettura fondamentale, con la titolarità esclusiva dell'azione penale al capo dell'ufficio, il procuratore della Repubblica, temperandola, tuttavia, per evitare che vi fosse una deresponsabilizzazione completa da parte dei sostituti procuratori, piuttosto che attraverso una delega, con una vera e propria assegnazione del procedimento a ciascun sostituto, salvo revoca motivata per contrasti tra il sostituto procuratore ed il procuratore della Repubblica. Infatti, una limitata, sia pure circoscritta, autonomia funzionale da parte dei sostituti procuratori nella gestione del processo li responsabilizza, in modo da evitare che tutto faccia capo esclusivamente al procuratore della Repubblica.
Allo stesso tempo, è stata disciplinato anche l'eventuale conflitto che si può verificare fra il sostituto ed il procuratore della Repubblica nella gestione del procedimento, risolvendolo nel senso che l'atto di revoca deve essere motivato ed il sostituto, già assegnatario del procedimento, può presentare le sue controdeduzioni al procuratore della Repubblica.
Si prevede questa duplice possibilità: il contrasto si può risolvere all'interno dell'ufficio, così com'è accaduto in passato molte volte, non soltanto negli uffici delle procure; ove non si risolvesse all'interno dell'ufficio, sarà competenza del Consiglio superiore della magistratura risolvere il conflitto stesso.
Per quanto riguarda il regime concernente gli illeciti disciplinari, sono state mantenuti e condivisi i due principi fondamentali del testo dell'ex ministro Castelli - ossia l'obbligatorietà dell'azione disciplinare e la tipicizzazione degli illeciti disciplinari - con alcuni correttivi dovuti alla prima esperienza di applicazione delle disposizioni relative agli illeciti disciplinari dei magistrati. Ciò sulla base di quanto riportato dal procuratore generale presso la Corte di cassazione nel giugno scorso e, poi, dallo stesso Consiglio superiore della magistratura attraverso il suo presidente, senatore Mancino, circa il pericolo di un completo intasamento sia dell'ufficio di indagine del titolare dell'azione disciplinare sia, successivamente, della sezionePag. 8disciplinare del Consiglio superiore della magistratura, considerata l'assenza di un qualunque filtro e l'obbligatorietà da parte di tutti i capi degli uffici di inoltrare qualunque istanza, rapporto, denunzia o esposto nei confronti di un magistrato ai titolari dell'azione disciplinare.
Si è manifestata una convergenza anche rispetto a tali aspetti, nonché sul potere, da parte della procura generale, di procedere all'archiviazione quando il fatto risulti assolutamente inesistente o quando sia di assoluta irrilevanza dal punto di vista disciplinare.
Vi è la facoltà per il ministro di fare opposizione, portando il tutto innanzi alla sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura.
Ulteriori modifiche hanno riguardato la tipicizzazione degli illeciti, per eliminare formule equivoche, ma anche per rispondere alla preoccupazione di incidere sull'indipendenza e sull'autonomia della magistratura. Si è voluto tipicizzare al meglio, escludendo anche qualche formula estremamente vaga e generica, di per sé in contrasto con il principio della tipicizzazione.
Infine, è stata eliminata quella figura che costituiva nel testo dell'ex ministro Castelli la doppia accusa, ossia il rappresentante del ministro nell'ambito del procedimento disciplinare - che poteva suscitare dubbi, fondati, di costituzionalità, tant'è vero che l'eccezione di incostituzionalità è stata già sollevata dalla sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura -, in modo tale da escludere qualunque incertezza rispetto a questo singolare caso di una doppia accusa e di una, invece, singola difesa.
Per quanto riguarda il decreto legislativo n. 160 del 2006, si è chiesta, come esattamente diceva il relatore, la sospensione e non l'abrogazione. Questa formula, per così dire di cortesia letteraria, rispetto al testo dell'ex ministro Castelli ha suscitato qualche perplessità e qualche dubbio, che esaminerò in pochi minuti alla fine del mio intervento. Sostanzialmente, il Governo ha chiesto un periodo di tempo, in quanto si ritiene che il decreto legislativo n. 160 del 2006 non riporti tranquillità e serenità nell'ambito dell'ordinamento giudiziario, anche se una riforma sulla progressione in carriera ed anche sull'accesso in magistratura è estremamente importante, soprattutto per ammodernare questo aspetto dell'ordine giudiziario. Tuttavia, così come è stato formulato, esso appare non soltanto fragile nella sua realizzazione concreta, ma soprattutto oneroso per la macchina giudiziaria, in quanto sottrarrebbe magistrati alla loro attività quotidiana, in prossimità del concorso stesso, anzi con un certo anticipo.
Il ministro più volte, in varie occasioni, ha espresso le idee su come modificare questo aspetto, rispondendo così all'obiezione secondo cui, di sospensione in sospensione, probabilmente vi sarà alla fine l'abrogazione di questo decreto legislativo e tutto resterà come prima. Il ministro ha già enunciato che questo testo del decreto legislativo n. 160 del 2006 per un verso appare troppo burocratico - sembra quasi un ritorno all'ordinamento del 1941, con questi concorsi interni di stampo amministrativo-burocratico -, per altro verso non risponde allo scopo fondamentale di assicurare capacità, idoneità, impegno e professionalità, soprattutto anche aggiornamento del proprio bagaglio culturale, nell'intera magistratura. Ciò in quanto le semplici cadenze concorsuali, collegate all'appello alla Cassazione o a qualche incarico significativo e direttivo, non danno la piena consapevolezza di un controllo costante di quei requisiti fondamentali prima enunciati.
Il ministro ha più volte detto che invece intende introdurre una valutazione, quanto meno quadriennale, sulla base di elementi già raccolti in precedenza in una banca dati tenuta dal Consiglio superiore della magistratura, cioè elementi che costituiscono essi stessi dei parametri di idoneità, capacità e professionalità: i rapporti dei capi degli uffici, l'autorelazione del magistrato, i pareri o le eventuali segnalazioni negative - quelle positive non ci interessano - da parte del Consiglio dell'Ordine forense e le statistiche comparate. Tutto questo viene inviato ogni quadriennioPag. 9alla banca dati in modo da escludere la preoccupazione che siano condizionati dalle correnti i giudizi che vengono di volta in volta espressi in occasione del ricorso in Cassazione.
Questo è il quadro sulla base del quale il Governo chiede il tempo per rigovernare tale materia. Se, poi, non ci riusciremo, dal 1o agosto 2007 riavrà vigore il decreto legislativo n. 160 del 2006. Ecco spiegata la formula che non è abrogativa, ma vuole essere di rispetto verso chi aveva redatto il testo precedente.
Vorrei concludere accennando alle critiche mosse in sede di Commissione giustizia. In primo luogo, è stata sottolineata una grossa contraddizione tra le sezioni unite civili ed il rito delle sezioni unite penali. Vi è sfuggito qualcosa - si è detto - oppure siete in contrasto con voi stessi. Debbo ricordare che le sezioni disciplinari del Consiglio superiore della magistratura, sin dal regio decreto legislativo del 1946, applicavano le norme del codice di procedura penale: era previsto esplicitamente proprio perché più conforme al giudizio disciplinare. Una legge successiva, a ridosso di un anno dal codice Vassalli, indicò come applicabile il codice penale e, addirittura, il precedente codice penale rispetto al codice Vassalli. Dunque, il sistema delle norme penali nel procedimento in Cassazione rientra nel sistema disciplinare tale quale esso è stato nei suoi precedenti storici.
Ciò non deve scandalizzare per il semplice motivo che siamo in una fase di pura legittimità, in cui la piena analogia tra i due sistemi è data dagli stessi motivi del ricorso, dai motivi di cognizione da parte delle sezioni unite, dai poteri di cognizione che hanno le sezioni unite e dai profili di esame che esse possono fare, cioè violazioni di legge, ignoranza della legge, oppure inesistenza, insufficienza o contraddittorietà della motivazione. Quindi, non c'è nulla di preoccupante sia per quanto riguarda l'incolpato che ricorre in Cassazione, sia per quanto riguarda il diritto punitivo da parte dell'amministrazione della giustizia nei confronti dell'indiziato stesso.
L'altra osservazione che è stata espressa e che è contenuta anche della pregiudiziale riguarda i termini. Una lettura piuttosto coerente rispetto al tempo, cioè alle cadenze che hanno avuto i vari decreti legislativi, giustifica la progressione dei termini stessi perché, essendosi svolti nel corso del tempo, è chiaro che l'indicazione di alcuni termini risulta superata.
Ringrazio e, a nome del ministro, concludo auspicando l'approvazione del testo così come è stato approvato dal Senato.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Pecorella. Ne ha facoltà.
GAETANO PECORELLA. Signor Presidente, ho l'impressione che sia il rappresentante del Governo sia il relatore abbiano completamente dimenticato che il nostro è un sistema bicamerale. Dunque, il fatto che in una delle due Camere si voti un testo non significa affatto (altrimenti saremmo qui a mettere timbri su ciò che altri hanno deciso) che in questa sede ci si debba stupire quando si cerca di migliorare una legge che contiene errori grossolani come questa. Per esempio, quando si parla delle sezioni unite civili che possono giudicare con il codice di procedura penale si afferma qualcosa che uno studente del primo anno di giurisprudenza si vergognerebbe a dire. Tant'è che l'interpretazione fornita dal relatore era completamente diversa, evidenziando che, se vi fosse stata una svista, a giudicare sarebbe stata la prassi attraverso un'interpretazione correttiva e sottolineando la stranezza e l'anomalia di un giudice civile che applica il codice penale o di procedura penale.
Ebbene, basterebbe ciò per affermare che non è possibile licenziare questo testo, in quanto se la questione fosse posta nei termini in cui l'ha sollevata il relatore, faremmo un grave torto al primo magistrato che si trovasse ad interporre ricorso in Cassazione: se lo interponesse secondo il rito civile, gli si potrebbe dire che ha sbagliato, che il ricorso è inammissibile perché in realtà il testo è chiaro e fa riferimento alla procedura penale; se loPag. 10interponesse secondo il rito penale, le sezioni unite gli potrebbero dire ugualmente che ha sbagliato, in quanto è evidente che un giudice civile non può che giudicare secondo il codice di procedura civile.
Credo che consegnare al paese un testo nel quale non è nemmeno chiaro se un ricorso in Cassazione si interponga nei termini, con le modalità e nei diversi casi previsti dalle procedure civili e penali lasci nell'incertezza, come d'altro canto è emerso anche in sede di discussione in Commissione. Infatti, l'onorevole Tenaglia - che è un fine giurista - ha affermato che non è possibile che si proceda con il rito penale di fronte ad un giudice civile; sarebbe come se il processo penale si svolgesse con il codice di procedura civile o viceversa.
Si dice che è necessario fare presto per evitare il caos con le opzioni. Ebbene, ritengo che anche su ciò si affermi una cosa non vera. Infatti, una volta che il Senato ha soppresso l'articolo 5, che prevedeva l'immediata entrata in vigore di questa legge, automaticamente il 28 ottobre viene superato, in quanto i 15 giorni ci portano al di là di tale data e pertanto l'opzione dovrà essere compiuta.
Forse si ritiene che se questo testo sarà approvato in prossimità del 28 ottobre interverrà un decreto-legge del Governo. Tuttavia, il Presidente della Repubblica ha già dichiarato che questa non è materia di decreto-legge e inoltre, una volta che entrambi i rami del Parlamento hanno deciso che debba essere superata la data del 28 ottobre per l'esercizio dell'opzione, non vedo come sia possibile che il Governo si ponga in contrasto con il Parlamento.
Pertanto, non vi è alcuna ragione di urgenza, anche perché se questa legge dovesse entrare in vigore dopo il 28 ottobre non vi sarebbe alcun problema, in quanto verrebbe sospesa la norma che prevede l'impossibilità di passare da una funzione all'altra e quindi automaticamente, indipendentemente dall'esercizio dell'opzione, i magistrati tornerebbero ad essere liberi di scegliere una funzione giudicante o una funzione requirente.
Dunque, la vera ragione non è questa, perché non vi è alcuna urgenza di approvare il testo.
Siamo disponibili ad affrontare la questione, ad esempio, correggendo sia l'inaccettabile attribuzione di un rito ad un giudice di altra natura sia la prescrizione dell'azione disciplinare. Ebbene, su questi due punti è possibile trovare un accordo ed è possibile farlo attraverso il recupero nel testo di una norma che ne preveda l'immediata entrata in vigore. Ritengo che nel proporre ciò siamo ragionevoli, posto, tra l'altro, che il Senato avrebbe tutto il tempo di approvare questi modesti, ma fondamentali, cambiamenti. Quindi, perché non introdurli?
I casi sono due: o non vi fidate della vostra maggioranza in Senato (fate anche bene) oppure la verità è che dovete, per così dire, pagare un prezzo previsto alla magistratura, altrimenti, dal punto di vista della dignità di questo Parlamento, licenziare una legge che contiene questi due gravi svarioni è una decisione di cui un po' tutti dovremmo vergognarci.
Il fatto è che avete dovuto riconoscere che la riforma della scorsa legislatura era una buona riforma, e ciò è avvenuto nel momento in cui avete preso atto che almeno sette dei dieci decreti legislativi dovevano entrare in vigore e siete intervenuti con modifiche che non hanno toccato la sostanza - anche se hanno riguardato punti importanti - di due dei decreti legislativi. Tuttavia, avete colpito il cuore della riforma ed ecco perché non si può dire che esisteva un accordo al Senato. Se infatti esiste un punto su cui tutta la Casa delle libertà ha portato avanti le sue battaglie (non solo la Casa delle libertà, ma anche una parte consistente dell'attuale maggioranza), è quello della separazione delle funzioni.
Ma veramente si può fare un passo più indietro rispetto a quello che avevamo compiuto noi prevedendo soltanto l'impossibilità di passare da una funzione all'altra, dopo avere sperimentato l'idoneità rispetto alla funzione a cui si è più adatti? Il passo più indietro è il nulla! Se davvero il ministro pensa di volere introdurrePag. 11come separazione delle funzioni lo spostamento di un pubblico ministero, che da Milano finisce a fare il giudice a Pavia, ritengo che, di nuovo, cada nel ridicolo.
La riforma si proponeva, colpiti questi aspetti fondamentali, di garantire meglio giudici e cittadini. Nel momento in cui la carriera e gli incarichi direttivi erano legati, con questa riforma, al merito e non all'appartenenza di corrente (così era nel momento in cui sono stati previsti, per coloro che intendevano procedere più rapidamente, concorsi dove l'anonimato fosse garantito), in questo modo si svincolava il magistrato dalla necessità di essere gradito alla corrente di maggioranza.
Ecco perché, al di là della grande bugia che è stata detta, secondo cui si voleva toccare l'indipendenza dei magistrati, in realtà questa riforma garantiva l'indipendenza interna dei medesimi, non tanto dal potere politico (non ve ne era bisogno, posto che nessuna norma prevede che il pubblico ministero possa essere condizionato dal potere politico) quanto piuttosto all'interno della stessa magistratura, facendo sì che ogni magistrato, nel momento in cui avesse voluto fare carriera, potesse trascurare il gradimento di questa o di quella corrente. Con questa riforma si garantivano anche maggiormente i cittadini, posto che con la separazione delle funzioni si ricerca proprio l'indipendenza del giudice. Non si può fare il discorso sulla cultura della giurisdizione, che credo tutti possediamo - me lo auguro -, sulla cultura della legalità e del rispetto delle regole. Ciò che si garantisce con la separazione delle funzioni è l'indipendenza, l'autonomia e l'imparzialità del giudice dal pubblico ministero e in tal modo, quindi, si garantisce di più il cittadino. Non è pensabile che un giudice veda sullo stesso piano il difensore e il pubblico ministero quando quest'ultimo è stato il suo compagno in un collegio fino al giorno prima!
Questo è il senso della separazione delle funzioni: indipendenza e imparzialità del giudice rispetto al pubblico ministero e quindi maggiori garanzie per i cittadini.
Il vero grande obiettivo della separazione delle funzioni è l'imparzialità del giudice.
Dicevo che questa controriforma contiene errori gravi sul piano tecnico-legislativo, che mettono in discussione la credibilità del Parlamento. Quando si dice che il procedimento disciplinare davanti al CSM si svolge con il rito penale - e questo, allora, vale anche per la Cassazione -, si afferma cosa che, a mio avviso (e lo sa anche chi lo dice), non ha fondamento. Infatti, un conto è che un procedimento amministrativo, un procedimento che non è regolamentato possa fare ricorso a regole prese, ad esempio, dal codice di procedura penale o dal codice di procedura civile; altro discorso è che il giudice civile applichi il codice di procedura penale. Non sentite che questo ripugna al minimo buonsenso, al senso di legalità? Dite al giudice civile che, siccome il Parlamento si è sbagliato e non si è accorto che era uno «strafalcione», allora lui - che è abituato ad applicare il codice di procedura civile e conosce le sue regole, da domani dovrà applicare in questa materia il codice di procedura penale. Allora, perché non correggere questo errore?
Non mi dilungherò ulteriormente perché, poi, su ciascuna questione, si discuterà in sede di esame degli emendamenti, ma, ancora, ci si rende conto che, avendo introdotto al Senato la prescrizione dell'azione disciplinare in dieci anni, un magistrato accusato di gravi reati potrà restare nelle sue funzioni eventualmente anche dopo la condanna se questa non comporta il carcere? Intanto, può accadere che il giudice o il pubblico ministero sia individuato come autore di un grave reato dopo dieci anni e, siccome l'azione penale si prescrive per i gravi reati nel periodo più lungo di dieci anni, automaticamente non si potrà più iniziare l'azione disciplinare. Certo, egli verrà messo sotto processo, magari accusato di omicidio o di stupro, la cui prescrizione è sicuramente più lunga di dieci anni. Comunque, se si scoprisse dopo dieci anni, sarebbe messo sotto processo penale, ma continuerebbe a fare il magistrato perché non si potrebbePag. 12iniziare l'azione disciplinare. Non solo, l'effetto sospensivo dell'azione penale, se venisse scoperto prima dei dieci anni, si avrebbe soltanto con l'inizio dell'azione penale; quindi, per tutto il periodo precedente all'inizio dell'azione penale non sarebbe possibile sospendere la prescrizione. Di conseguenza, avremo delle situazioni in cui magistrati sotto processo per gravissimi reati continueranno ad esercitare la loro funzione. È accettabile una situazione di questo genere? Non si ha il senso della responsabilità politica e, prima ancora, civile, quando si pretende di far passare una legge - che può essere immediatamente corretta - non si sa in funzione di che cosa, una legge che consentirà di avere in questo paese uno, due, dieci o cento magistrati sotto processo penale per i quali non sarà possibile iniziare l'azione disciplinare. Di fronte a tutto questo, a me pare che, volendo a tutti i costi approvare la legge così com'è scritta, volendo apporre questa controfirma, si compia un atto di grave irresponsabilità politica.
Non si sospende una legge voluta dal Parlamento poco tempo prima solo perché questa non piace ad una nuova maggioranza. Non si sospende una legge senza avere un progetto di quello che si vorrà fare in futuro.
PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE GIORGIA MELONI (ore 10,45)
GAETANO PECORELLA. Non si sospende una legge che prevede la separazione delle funzioni, per la quale hanno votato 10 milioni di italiani quando ci fu il referendum.
Non si richiama in vita una legge del 1941, anno XIX dell'era fascista. È una legge che contiene gravi errori tecnici di cui il Parlamento non potrebbe certo andare orgoglioso. Per questo, se non vi saranno quei cambiamenti anche minimi che abbiamo indicato, che superano gli errori più grossolani che questa legge contiene, noi faremo un'opposizione forte, convinta e, certamente, denunceremo al paese come, non si sa per quale recondito motivo, questa maggioranza vuole approvare una legge che contiene errori di cui dovremo in futuro vergognarci (Applausi dei deputati dei gruppi Forza Italia e Alleanza Nazionale).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Gambescia. Ne ha facoltà.
PAOLO GAMBESCIA. Presidente, onorevoli colleghi, rappresentante del Governo, sugli aspetti tecnici l'onorevole Tenaglia entrerà più specificamente nel merito; da parte mia vorrei ragionare in termini politici, vista la sollecitazione proveniente dall'onorevole Pecorella. Egli ricorda che ci muoviamo in un regime bicamerale. Ciò è vero, e la discussione sul disegno di legge ne è un esempio: quando si vuole veramente risolvere i problemi e non usare argomentazioni che, pur essendo pienamente legittime, sono pretestuose e solo politicamente rilevanti, quando ci si confronta come si è fatto al Senato, si tende a ritenere logicamente che le posizioni emerse nell'altro ramo del Parlamento siano espresse seguendo una linea politica. Mi rifiuto di credere che al Senato Forza Italia, Alleanza Nazionale e Lega abbiano una posizione, e alla Camera ne abbiano un'altra, apparentemente, diametralmente opposta, come si potrebbe evincere dai lavori in Commissione.
Quando si sceglie una linea, si presume che si tratti di una scelta ragionata che porti all'affermazione di alcune posizioni condivise almeno all'interno degli schieramenti. Il discorso sul bicameralismo appare, quindi, più un pretesto politico. Vorrei, invece, andare alla sostanza del problema: i tre decreti erano in un certo senso necessitati; per due si è giunti ad un accordo - e dirò poi qualcosa sull'accordo - per l'altro si è proceduto invece con la sospensione degli effetti. Quando al Senato - ritorno alle posizioni divergenti tra Camera e Senato da parte dell'opposizione - vi è stato un accordo bipartisan, il padre della riforma, il senatore Castelli, ed il senatore D'Onofrio hanno sottolineato l'importanza dell'accordo sostenendo che il Parlamento in questo modo si riappropriavaPag. 13della propria funzione. Può essere questa una dichiarazione di opportunità, per non dire di opportunismo politico, nel momento in cui l'opposizione portava a casa qualche risultato.
In realtà - così voglio augurarmi - le due dichiarazioni sottolineavano, come hanno rilevato anche il relatore ed il rappresentante del Governo, una posizione che aveva questo senso preciso: noi manteniamo l'impianto della riforma Castelli (perché così è), la correggiamo in alcuni punti e facciamo in modo che le conseguenze più gravi di alcuni decreti legislativi non producano i loro effetti, dopo di che ricominceremo a discutere. A mio avviso, si tratta di una posizione politicamente corretta.
In Commissione, il sottosegretario Scotti ha ricordato che Enrico Redenti aveva proposto di elaborare un codice dell'ordinamento giudiziario già nel 1938. Ebbene, la proposta (per non dire la provocazione) che da questo banco viene all'opposizione è: perché non utilizziamo i nove mesi che abbiamo a disposizione fino alla fine di luglio del prossimo anno per metterci intorno ad un tavolo - maggioranza ed opposizione -, allo scopo di verificare, in collaborazione con il Governo (se il Governo riterrà di avanzare proposte), se sia possibile rivedere tutta la materia?
È vero (l'ha affermato anche il ministro Mastella): nei decreti della riforma Castelli ci sono molti punti sui quali bisogna riflettere (tanto è vero che sette di essi sono rimasti in piedi). Riflettiamo, ma complessivamente! Non credo di dire qualcosa di nuovo, per quel che mi riguarda, quando affermo che esiste il problema della preparazione dei magistrati e del loro ingresso nella carriera: c'è! C'è il problema della progressione di carriera: è vero! Ad esempio, io nutro dubbi sul fatto che il sistema attuale renda la maggioranza, per non dire la totalità, dei magistrati adeguatamente preparata alle funzioni da svolgere.
Si può discutere, ma non sotto la pressione esercitata da termini in scadenza, perché ciò provocherebbe quanto meno grande confusione negli uffici giudiziari. Bisogna parlarne. Bisogna parlare, ad esempio, del ruolo che può svolgere l'avvocatura nell'esame della professionalità dei magistrati. Non è commistione: ci sono i consigli giudiziari, il cui ruolo può essere rafforzato. È possibile discutere, ad esempio, se, in materia di procedimenti disciplinari, la competenza debba essere attribuita soltanto al Consiglio superiore della magistratura. Mi sono posto il problema tante volte, durante la mia precedente attività, di fronte a casi che hanno suscitato in me qualche perplessità in ordine alla bontà del sistema. Possiamo e dobbiamo discutere. C'è stata un'apertura da parte dei magistrati nell'audizione svoltasi in Commissione: cogliamola! Certo, i magistrati non accettano la separazione delle funzioni, ma hanno cominciato a ragionare intorno alla possibilità di soluzioni diverse.
Credo che dobbiamo partire dalle cose positive: non possiamo dire che va sempre tutto male, che abbiamo fatto male, perché tutto si può fare meglio! Io parto da due dati: dall'apertura che tanto la magistratura quanto l'avvocatura hanno mostrato, in sede di audizione, nei confronti di questo processo, nonché dall'accordo bipartisan che, al Senato, ha indicato la possibilità di mettersi intorno ad un tavolo per discutere seriamente dell'ordinamento giudiziario. Lo strumento legislativo non viene utilizzato né per punire (come da qualcuno è stato fatto nella precedente legislatura) né per difendere in maniera apodittica le posizioni dei magistrati. No, onorevole Pecorella, non è così! Nessuno impone alcunché a nessuno! Mi vergognerei, come parlamentare, se qualcuno mi contestasse che «esterni» al processo di formazione delle leggi possano impormi di fare qualcosa.
Io rispondo alla mia coscienza e agli elettori. Credo - e l'ho detto molte volte nel passato - che vi sia un percorso virtuoso che può essere perseguito con l'accordo dei magistrati, della avvocatura, degli operatori del diritto e attraverso un confronto serio - abbiamo posizioni spesso diverse - tra maggioranza e opposizione.Pag. 14L'occasione potrebbe essere quella della discussione del provvedimento all'esame, partendo dai due dati positivi dell'apertura dei magistrati e degli avvocati e del confronto al Senato per iniziare a discutere e vedere se in nove mesi riusciremo a concludere il lavoro: se fossimo un Parlamento agile, forse riusciremmo in nove mesi a redigere un codice dell'ordinamento giudiziario!
Se non vi riusciremo, saremo stati incapaci, ma varrà avere aperto un confronto serio senza pregiudiziali né difese ad oltranza delle posizioni da parte della magistratura né intenti punitivi dall'altra.
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Bongiorno. Ne ha facoltà.
GIULIA BONGIORNO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, vi sono casi in cui «omettere» significa «cagionare». Sono i casi - e vedremo perché ne parlo in questa occasione - in cui un soggetto, che riveste, ad esempio, una posizione apicale in una struttura che sta per crollare, anziché intervenire, provvedere o fare qualcosa, ometta di fare, opti per un rinvio. E perché opta per un rinvio? Perché, di fronte alle crepe non sa cosa fare: non sa se intervenire sulla struttura, oppure sulla facciata, non sa a chi affidare l'incarico. Decide dunque di nascondere le crepe con alcune tele o dipinti: l'effetto ottico c'è, ma la sostanza è che tutto crolla.
Ho richiamato il concetto - giuridico se volete - di equivalenza tra omissione e azione perché un Governo che ignora il pericolo di crollo del sistema giustizia sta - a mio avviso - consumando una omissione pregnante, una di quelle omissioni che equivale a «cagionare».
In questo breve intervento, dimostrerò che il disegno di legge al nostro esame si inquadra armonicamente in una strategia in materia di giustizia, seguita da questo Governo: quella del rinvio, del sospendere, del non fare, dell'attendere, la strategia dell'ignorare le crepe. Tale disegno, infatti, signor sottosegretario, è una di quelle due tele cui facevo riferimento, tele per coprire, per nascondere. Cosa vuol dire? Vuol dire che, se avessi tempo e non temessi di annoiarvi, potrei descrivervi tutte le crepe che vi sono nel sistema giustizia visto che da diciassette anni svolgo dieci udienze al giorno, rendendomi conto che in tutti questi anni il sistema giustizia si sta sgretolando.
Se dovessi individuare la crepa più profonda, fino a poche settimane fa me ne sarebbe venuta in mente una, ma ora ve ne è un'altra molto più grave, e da pochissime settimane. Quella che tutti - lo sa il sottosegretario con il quale abbiamo partecipato a parecchi convegni - ritenevamo essere la crepa più grave era la durata dei processi.
Oggi, quando un cliente viene e mi chiede di fare una querela, ometto di dirgli che cosa sia una querela oggi. Cos'è una querela oggi? È, come dovrebbe essere, l'atto di impulso di un'azione penale? No. Cos'è oggi una querela? È un fuoco d'artificio di minacce che non serve a nulla, una finzione: inizio un'azione penale che non finirà mai!
Non posso soffermarmi per motivi di tempo sulla durata dei processi, anche se la ritengo una delle più gravi crepe del sistema giustizia.
Voglio dire che in generale si ritiene che tale tipo di problemi siano tali da afferire solo a noi operatori del diritto: non è vero e ciò perché si tratta di problemi che hanno addirittura diretta refluenza sull'economia. Mi risulta personalmente che vi sono degli investitori che non vengono in Italia ad investire perché, quando si rivolgono agli avvocati e si consultano con loro, questi gli dicono che, nel caso di una controversia, ad esempio se il suo fornitore non invia il materiale, la giustizia non assicura assolutamente una tutela se non dopo dieci anni: è chiaro che l'investitore non viene ad investire in Italia!
Ma, se questa, per me, è sempre stata la grande crepa del sistema giustizia, vi posso dire che avrò nostalgia dei processi lenti, per il semplice fatto che, da poche settimane, abbiamo scoperto che probabilmente non faremo più processi. Infatti,Pag. 15ancora una volta, - non so se il sottosegretario abbia avuto modo di leggere ciò (io ho parlato con questi magistrati) -, è stato lanciato da Milano, e non da magistrati che possano essere accusati di protagonismo, un grido di allarme chiarissimo. I magistrati hanno detto che, se non si fa qualcosa subito, ma proprio subito (ora, invece, parliamo di sospendere, di rinviare, per darvi tempo), «chiuderanno».
Vi chiederete per quale motivo dovrebbero chiudere ora. Ebbene, sono sopraggiunti due fattori nuovi rispetto ai soliti problemi della giustizia: da un lato - e, questo, il sottosegretario dovrebbe saperlo -, il ritardo nei pagamenti delle consulenze di tecnici, interpreti, giudici onorari, dovuti a questi nuovi meccanismi introdotti dal cosiddetto decreto Bersani: prima gli uffici postali anticipavano le spese, adesso la competenza è passata ad altri organi, quindi, non si paga più nessuno da tre mesi; dall'altro lato, vi è stato l'aumento del carico di lavoro dovuto all'indulto, di cui tra poco parlerò nell'ambito di questa strategia attendista per la quale ha optato il Governo.
In tutto questo, una serie di magistrati, che sta organizzando gli uffici, ha lanciato un grido di allarme e ha fatto un'altra cosa di cui, secondo me, pochi si sono accorti.
Voi sapete che, nel nostro paese, c'è un'amnistia? No? Ma come, vi chiederete, non abbiamo votato l'indulto? Invece, c'è un'amnistia a chiazze, un'amnistia non votata. Cosa vuol dire amnistia? Questi magistrati - accanto ai quali mi schiero -, poiché non riescono più a fare i processi, hanno preso una decisione. Un processo alla fine del quale si può beneficiare dell'indulto, di fatto, è finto, perché alla fine del processo il giudice afferma: applico la pena, ma la cancello. Questo accade, perché avete scelto l'indulto (Alleanza Nazionale, a cui va un grande merito, non l'ha scelto ed era facile scegliere l'indulto in quel momento). Cosa hanno deciso gli organizzatori degli uffici giudiziari di Milano? Hanno deciso di posticipare i processi alla fine dei quali si può beneficiare dell'indulto (dai quali, quindi, non si riceve la pena), e procedere con gli altri. Ciò significa che vi è stata un'opzione e che quei processi non si faranno mai. Ma attenzione! Questo è stato fatto, perché lo hanno deciso i magistrati di Milano. E se a Palermo non decidono nello stesso modo? Cosa accadrà? Che il cittadino sarà o non sarà giudicato a seconda del luogo in cui si svolge il processo? Ci saranno processi che si concluderanno e alla fine dei quali sarà applicato l'indulto e ci saranno processi che non avranno questa amnistia (Applausi dei deputati del gruppo Alleanza Nazionale)! Vi siete fatti fare un'amnistia! È questa la cosa gravissima! C'è l'amnistia nel nostro paese! Vorrei che qualcuno se ne rendesse conto!
Vi è un'amnistia gravissima, perché è a chiazze! Vi siete fatti supplire! Avete una supplenza da parte della magistratura! Su questo, sono state emesse circolari nei tribunali! Io le ho lette! C'è una circolare che è una perla. Non ci credevo, quando l'ho letta sui giornali. Sono andata a Milano a leggerla e l'ho qui con me. Si dice: attenzione, visto il carico di lavoro, bisogna cercare di limitare il numero di quanti vengono arrestati...
PIETRO ARMANI. Accidenti!
GIULIA BONGIORNO. ...per essere scarcerati il giorno dopo, come gli extracomunitari e i clandestini. Non ci sono soldi per costituire una nuova sezione per la direttissima.
Non ci sono i soldi per arrestare! Allora, è facile per tutti dire che questo magistrato è un pazzo scatenato! No, no, non è un pazzo, è una persona abbandonata a se stessa! Io sono dalla sua parte! È chiaro: è una situazione allucinante. Un poliziotto sta per compiere un arresto e deve domandarsi: ci saranno i soldi per fare l'udienza? No, forse non ci saranno, non arrestiamolo, non si sa mai!
In questo quadro, tragico-comico, cosa succede? Succede che le opzioni che voi ci proponete, quelle proposte dal Governo, sono a dir poco gattopardesche: cambiamoPag. 16per non cambiare. Cosa facciamo? Anzitutto, la prima opzione che avete deciso è quella dell'indulto, sulla quale mi limito a dire che noi di Alleanza Nazionale parleremo sempre, sempre, sempre. Perché sentirete parlare di indulto? Perché era facile, allora, farsi travolgere da quell'ondata di clemenza che c'era in giro. Era facile, era facilissimo lasciarsi convincere. Perché? Perché c'era la parola del Papa e tutti sventolavate quella bandiera. Era facile lasciarsi prendere dal moto di pietà verso quei detenuti. Dicevate: vi è il sovraffollamento delle carceri, abbiate pietà. Era facilissimo sbagliare. Noi non abbiamo sbagliato. Noi non abbiamo sbagliato quando era facile sbagliare. Noi non abbiamo sbagliato. Perché? Perché abbiamo capito che era nella vostra strategia il differire: per ora facciamo uscire i detenuti, perché non sappiamo fare altro. E, poi, cosa è successo? A chi ha dato ragione questo indulto? A noi. Cosa hanno fatto i detenuti? Alcuni detenuti, sostanzialmente, hanno compiuto un tour, delitto: sono usciti, hanno commesso un reato e sono tornati in carcere...
PIETRO ARMANI. Porte girevoli!
GIULIA BONGIORNO. ...altri, invece, si sono semplicemente lamentati del fatto di essere usciti. I magistrati, a loro volta, si sono arrabbiati, perché hanno avuto ulteriori fascicoli. A tutto ciò cosa si è aggiunto? Si è aggiunto soltanto che, tra poco, le carceri saranno affollate come prima. A cosa serve questa strategia? A nulla. Oggi, cosa proponete? In questo quadro, ciò che voi proponete è un ulteriore rinvio.
Questo disegno di legge ha un titolo vergognoso, ed era ancora più vergognoso il titolo che esso aveva quando è stato esaminato dal Senato. Infatti, oggi si chiama «Sospensione (...) nonché modifiche (...)». Al Senato si chiamava «Sospensione» e basta. Sospendiamo. Visto che non abbiamo i soldi per arrestare, sospendiamo ancora, sospendiamo sempre...
Ora, posso dire che personalmente non sono mai stata tenera - ed il sottosegretario lo sa bene - con la riforma dell'ordinamento giudiziario. Vi sono alcune parti che non mi piacciono - affatto! - e non cambio i miei gusti giuridici oggi! Vi sono parti migliorabili, vi sono lacune da colmare. Non mi piace assolutamente la parte in cui si parla di esami.
Però, attenzione: se non ero entusiasta della riforma, oggi sono allibita di fronte alla vostra richiesta di sospensione e sono allibita perché, comunque, era una riforma che si attendeva dal 1941. Era una riforma frutto di un dibattito parlamentare, migliorabile quanto vogliamo, ma era, comunque, l'inizio di una riforma. In ogni caso, se la volevate cambiare, a quel punto, perché non avete proposto qualcosa? Perché non avete proposto una controriforma? Perché non avete detto: così non ci sta bene; vi proponiamo quest'altra cosa? Invece, non proponete nulla. Proponete un disegno di legge (di cui, tra l'altro, non so se vi siano precedenti), in cui si dice: non mi piace, ergo sospendo. Cos'è, una logica politica o una logica del dispetto? Non mi piace quel castello di sabbia, non lo so fare: tac...lo distruggo? Non mi piace. Non mi piace questa vostra tecnica di legiferare. Non esiste questa tecnica di legiferare. Qual è la prova di ciò? Dopo che avete parlato di sfaceli se fossero entrati in vigore questi provvedimenti, alla fine cosa è successo? È successo che, con un breve accordo, due su tre sono entrati in vigore. Quindi, di tutti questi sfaceli cosa succede? Ora ci saranno?
Per avviarmi alla conclusione, debbo parlare molto brevemente della separazione. L'unico - guarda caso! - provvedimento sul quale non si è trovato l'accordo è quello che proponeva un accenno - un mero accenno, ricordate? - di separazione. In tema di separazione, voglio dire che, di solito, quando si discute di separazione - di carriere o delle funzioni - si dice che il mondo si divide in due: amici e nemici dei giudici. Gli amici sono quelli che ammettono la possibilità di transitare indifferentemente da un plesso all'altro della magistratura. I nemici, invece, vogliono separare giudice e pubblicoPag. 17ministero. Conclusione: gli avvocati normalmente sono i nemici. Il centrodestra, che ha fatto questa riforma con un minimo di apertura, è nemico della magistratura. L'errore che condiziona questo ragionamento è pensare che sia una questione di fiducia o sfiducia nella magistratura. Non c'entra nulla! Non è un problema connesso all'individuo magistrato. Non è questo il tema! È sbagliato il presupposto del ragionamento. Personalmente, non ho alcuna diffidenza. Ho detto ad alcuni miei amici magistrati, proprio perché li conosco - e questo è il punto - che sarei disponibile a farmi formulare un capo di imputazione ed a farmi giudicare da loro. Perché? Perché io li conosco. Ho stima e fiducia in quelle persone. Il mio cliente non li conosce.
Ecco perché dico che il problema non è la fiducia, ma il giudizio: poichè il mio cliente non conosce il giudice, non può sapere mai come giudicherà. Allora, il problema è superare, superare e ancora superare questo tipo d'impostazione attuale. Ciò significa che, sul banco degli imputati, non deve esservi il giudice bensì il giudizio.
È importante, ancora, ricordarci questo: cos'è una norma? La norma ha un nucleo di certezza, come affermano noti studiosi; il resto è penombra. Ogni giudice è chiamato a giudicare in quella penombra che altro non è che la discrezionalità; e nell'ambito di quest'ultima fa del suo giudizio, in ogni secondo, un'opzione se fare o non fare in un certo modo.
Cos'è l'imparzialità? È la necessità di garantire che nell'ambito di quell'opzione e di quella penombra ci sia imparzialità. Tanti giudici nell'azione di penombra della norma potranno giudicare diversamente, ma il cittadino giudicato saprà che nell'ambito di quell'opzione il giudice sarà ispirato da imparzialità. Quest'ultima presuppone l'indipendenza, la quale è solo strumentale all'imparzialità.
So che questi ultimi sono concetti molto dibattuti e sui quali non ha senso continuare a ragionare. Vorrei soltanto dire che, a questo punto, l'unica domanda che si profila è una: per realizzare l'imparzialità tra giudice e pubblico ministero che distanza ci deve essere tra i due? Ebbene, l'Unione delle camere penali ci ha detto che vuole la separazione delle carriere; la riforma Castelli voleva la separazione delle funzioni; l'ANM propone l'incompatibilità territoriale; cosa propone questo Governo di fronte tutte queste alternative? Sospendere, sospendere, sospendere e ancora sospendere (Applausi dei deputati del gruppo Alleanza Nazionale).
La conclusione di tutto ciò qual è? Che voi potrete avere ragione perché è chiaro che voi avete spostato tutto a luglio, secondo me, con una sola incertezza: a luglio non ci arriveremo, a luglio i tribunali saranno chiusi (Applausi dei deputati dei gruppi Alleanza Nazionale e Forza Italia).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Crapolicchio. Ne ha facoltà.
SILVIO CRAPOLICCHIO. Signor Presidente, prima di iniziare il mio intervento vorrei fare una considerazione su quanto esposto dalla collega Bongiorno. L'indulto è stato votato anche da Forza Italia!
GIANFRANCO FINI. Chi se ne importa!
SILVIO CRAPOLICCHIO. Comunque, com'è noto, il Senato della Repubblica, in data 4 ottobre 2006, ha approvato il disegno di legge presentato dal ministro della giustizia, onorevole Mastella, di concerto con il ministro dell'economia, dottor Padoa Schioppa, recante sospensione dell'efficacia nonché modifiche di disposizioni in tema di ordinamento giudiziario.
Preliminarmente, intervenendo nel presente dibattito, non si può fare a meno di evidenziare come il gruppo parlamentare, rappresentato in questo momento dal sottoscritto, avrebbe ritenuto opportuno - e in realtà lo ritiene tutt'oggi - che anziché ad una sospensione della riforma varata in tema di ordinamento giudiziario dal precedente Governo Berlusconi, si procedesse all'integrale abrogazione della stessa. Infatti, stante il carattere meramente punitivoPag. 18nei confronti delle categorie dei magistrati della normativa in commento, un'integrale abrogazione della medesima avrebbe consentito, da una parte, di porre un immediato rimedio agli effetti sfavorevoli della riforma - come detto vessatoria ed espressione di evidenti interessi di parte -, dall'altra, di dare vita ad un ampio dibattito in seno al Parlamento, in ordine ad una materia così strategica e complessa, come quella della riforma dell'ordinamento giudiziario.
Ad ogni modo, essendo prevalse - pur a seguito di un serrato dibattito tenutosi presso il Senato della Repubblica sia in Commissione sia in Assemblea -, differenti soluzioni, peraltro più complesse e variegate rispetto all'ipotesi della mera sospensione della riforma inizialmente ventilata, appare a questo punto opportuno soffermarsi sugli aspetti di maggior rilievo desumibili dal disegno di legge approvato dal Senato della Repubblica ed oggetto del presente dibattito.
In primo luogo, una volta prevalsa - come appena osservato - la linea della sospensione, anziché dell'abrogazione, sembra che non si possa non concordare con l'indirizzo espresso dal Senato della Repubblica in relazione alla disciplina di cui al decreto legislativo 5 aprile 2006, n. 160, recante la nuova disciplina dell'accesso in magistratura, nonché in materia di progressione economica e di funzione dei magistrati, emanato in attuazione della delega di cui alla legge 25 luglio 2005, n. 150, visto e considerato che, alla luce del voto espresso sul punto dal Senato della Repubblica, è stata stabilita la sospensione dell'efficacia di tutte le disposizioni del decreto legislativo 5 aprile 2006, n. 160, sino alla data del 31 luglio 2007.
Si è dunque ritenuto, con valutazione condivisibile e nonostante la riserva appena espressa, di accantonare integralmente la parte della riforma che, presumibilmente, visto l'intento meramente punitivo che l'animava, avrebbe arrecato irrimediabili, irreversibili ed immodificabili aspetti pregiudizievoli per la categoria dei magistrati, sia nella fase di accesso alla magistratura, sia nella scelta obbligatoria - a scadenza tra breve - tra funzione requirente e funzione giudicante, sia nella fase della progressione nella carriera, sino a scardinare totalmente l'impianto costituzionale che prevede la figura di un magistrato liberale, terzo e indipendente.
Rispetto alla questione della progressione nella carriera, è peraltro evidente che la previsione di una serie infinita di concorsi e verifiche per i magistrati, di cui al decreto legislativo n. 160 del 2006, lungi dal rappresentare un elemento positivo per gli stessi, li avrebbe posti semplicemente nella paradossale condizione di essere quasi continuativamente distolti dal primario fine dell'amministrazione della giustizia, come è stato autorevolmente osservato, in sede di dibattito presso il Senato, dal senatore D'Ambrosio.
A fronte della menzionata sospensione, dunque, una apposita norma transitoria garantirà l'applicazione della previgente normativa, di cui al regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, nonché delle altre disposizioni in materia di ordinamento giudiziario, sino alla scadenza del periodo di sospensione del decreto legislativo n. 160 del 2006. Sembra, pertanto, che la scelta dell'integrale sospensione del citato decreto legislativo n. 160 non possa che essere condivisa.
Nel medesimo contesto, il disegno di legge approvato dal Senato della Repubblica ha dato luogo a rilevanti modifiche al testo di due ulteriori decreti legislativi, emanati dal Governo Berlusconi, in tema di ordinamento giudiziario, vale a dire il decreto legislativo 20 febbraio 2006, n. 106 ed il decreto legislativo 23 febbraio 2006, n. 109.
In relazione al primo dei due provvedimenti legislativi, recante disposizioni in materia di riorganizzazione dell'ufficio del pubblico ministero (anche in questo caso, adottato in attuazione della delega di cui alla legge n. 150 del 2005), le modifiche apportate dal Senato della Repubblica sono state finalizzate a porre rimedio al pericolo derivante dalla forte e rigorosa gerarchizzazione dei rapporti all'internoPag. 19dell'ufficio del pubblico ministero, voluta proprio dal decreto legislativo n. 106 del 2006.
Pur ritenendo che, anche in tal caso, l'integrale abrogazione delle disposizioni varate dal precedente Governo avrebbe garantito un più adeguato conseguimento degli obiettivi posti alla base del programma del presente Esecutivo, è tuttavia chiaro come le modifiche introdotte con il disegno di legge al nostro esame, approvato dal Senato della Repubblica, appaiano consentire di ovviare agli inconvenienti che sicuramente si verificherebbero qualora entrasse in vigore il decreto legislativo in questione.
In primo luogo, appare di assoluto rilievo la novella legislativa finalizzata a stemperare l'eccessiva gerarchizzazione all'interno dell'ufficio del pubblico ministero, insita nella riforma precedentemente approvata. Infatti, in sede di esame presso il Senato, modificando la precedente normativa, si è stabilito che il procuratore della Repubblica, titolare esclusivo dell'azione penale, la eserciti personalmente o mediante assegnazione ad uno o più magistrati dell'ufficio; si tratta di un'assegnazione che può riguardare anche uno o più procedimenti, oppure singoli atti di essi.
Sostanzialmente, dunque, è stato sostituito, al fine anzidetto, l'istituto della delega con quello dell'assegnazione, rimanendo inalterate, per il resto, le rimanenti previsioni, tra le quali, correttamente, quella riguardante la facoltà per il procuratore della Repubblica di stabilire, con l'atto di assegnazione per la trattazione di un procedimento, i criteri ai quali il magistrato deve attenersi nell'esercizio della relativa attività, nonché di revocare l'assegnazione nel caso in cui il magistrato non si attenga ai principi stabiliti, oppure insorga un contrasto tra i due circa le modalità di esercizio dell'attività stessa.
Infine, degna di rilievo appare, altresì, l'abrogazione della disposizione che prevedeva che di ogni contrasto insorto tra il procuratore della Repubblica ed i magistrati assegnatari di incarichi si dovesse fare menzione nei rispettivi fascicoli personali.
Ebbene, le menzionate modifiche apportate dal disegno di legge approvato dal Senato della Repubblica alla previgente normativa appaiono idonee a garantire, nel contesto di un decreto legislativo di portata minore rispetto a quello integralmente sospeso, l'elisione degli effetti più sfavorevoli della riforma approvata, in tale ambito, dal precedente Governo Berlusconi.
Più rilevanti, invece, sembrano le modifiche apportate al decreto legislativo 23 febbraio 2006, n. 109, recante disciplina degli illeciti disciplinari dei magistrati, delle relative sanzioni e della procedura per la loro applicabilità, emanato in attuazione della delega di cui alla già citata legge n. 150 del 2005, visto che, proprio nella materia disciplinata da tale provvedimento, si erano manifestati in modo più eclatante gli intenti maggiormente punitivi del precedente Esecutivo nei confronti degli stessi magistrati.
In tale contesto, le opportune modifiche approvate dal Senato della Repubblica sono state innanzitutto finalizzate, sulla scorta degli elementi emersi tra le forze di maggioranza in sede di dibattito, a circoscrivere quanto più dettagliatamente possibile le fattispecie disciplinari previste dalla previgente normativa, al fine di ovviare ad insidiose disposizioni normative dal carattere volutamente generico ed aperto e, come tali, suscettibili di applicazione anche arbitraria a danno dei magistrati.
A tale proposito (ma gli esempi potrebbero essere innumerevoli), si consideri una disposizione come quella che stabiliva il generico divieto per il magistrato di tenere, anche fuori dall'esercizio delle proprie funzioni, comportamenti, ancorché legittimi, che potessero compromettere la credibilità personale, il prestigio e il decoro del magistrato od il prestigio dell'istituzione giudiziaria, oppure quella che qualificava come illecito disciplinare il perseguimento, da parte del magistrato, di fini estranei ai suoi doveri ed alla funzionePag. 20giudiziaria, o quella che qualificava come illecito il rilasciare dichiarazioni in interviste, in violazione dei criteri di equilibrio e misura.
Trattandosi di formule eccessivamente generiche nel loro carattere restrittivo e tali da porre il magistrato, in caso di relativa contestazione, nella sostanziale impossibilità di una concreta difesa, è di tutta evidenza che l'abrogazione o una ponderata sostituzione delle stesse non possa che essere pienamente condivisa, così come senz'altro condiviso è l'avvenuto inserimento, sulla base di un non contestabile criterio di buon senso, di una disposizione che esclude la configurabilità dell'illecito disciplinare quando il fatto sia di scarsa rilevanza.
Inoltre, risulta senz'altro di assoluto rilievo che il fatto che, pur essendo stato mantenuto il principio dell'obbligatorietà dell'azione disciplinare, si siano previsti meccanismi di filtro per esposti manifestamente infondati o relativi a fatti non sanzionabili e che sia comunque previsto, in presenza di determinate condizioni, un potere di archiviazione del procedimento disciplinare in capo al procuratore generale.
Ugualmente positivo appare il fatto che sia stata altresì delineata la possibilità, per il ministro della giustizia, di partecipare all'udienza di discussione del procedimento disciplinare mediante un magistrato dell'ispettorato dallo stesso delegato e, per mezzo di questo, di presentare memorie, esaminare testi, nominare consulenti e periti e di interrogare l'incolpato, fatti che, senza dubbio, avrebbero comportato un'indebita ingerenza del potere esecutivo nella sfera di competenza esclusiva del potere giudiziario.
Infine, sembra del tutto congruo che, con disposizione transitoria, si sia stabilito che le disposizioni del decreto legislativo n. 109 del 2006 si applicano ai procedimenti disciplinari promossi a partire dalla data della sua entrata in vigore, con conseguenziale applicazione della normativa previdente, se più favorevole, ai fatti commessi prima di tale data.
Ciò premesso, tralasciando di menzionare ulteriori interventi che, per l'eccessivo tecnicismo e la limitata portata innovativa, appaiono meramente ma correttamente finalizzati ad armonizzare le modifiche di principio apportate dal Senato della Repubblica alle previgenti disposizioni, sembra potersi concludere che il disegno di legge approvato dal Senato della Repubblica rappresenti comunque un fatto per molti versi positivo per il paese.
Infatti, se è vero che, per il carattere strategico, la complessità e la delicatezza, la materia dell'ordinamento giudiziario avrebbe richiesto e meritato una più attenta valutazione di tutti i presupposti, ivi comprese le esigenze del mondo forense, onde dare vita, a seguito della integrale abrogazione di tutti i decreti legislativi in tale contesto posti in essere dal precedente Governo Berlusconi, ad un'ampia e ponderata riforma, è tuttavia altrettanto vero che, per il momento, l'integrale sospensione del decreto legislativo n. 160 del 2006 e le rilevanti modifiche apportate agli ulteriori decreti legislativi n. 106 e n. 109 del 2006, con la previsione, peraltro, di specifiche disposizioni transitorie, rappresentano comunque un apprezzabile miglioramento rispetto alla situazione lasciata in eredità dal Governo Berlusconi. Tale miglioramento, tuttavia, dovrà necessariamente produrre, in tempi brevi, una armoniosa ed equilibrata riforma della complessa, ma fondamentale, materia dell'ordinamento giudiziario, che tenga conto, nel contempo, delle esigenze del mondo forense (Applausi dei deputati del gruppo Comunisti Italiani).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Consolo. Ne ha facoltà.
GIUSEPPE CONSOLO. Signora Presidente, onorevoli colleghi, onorevoli colleghe, con questo mio breve intervento desidero sgombrare il campo - come, peraltro, credo in modo univoco abbiano fatto, da parte loro, l'onorevole Pecorella e l'onorevole Bongiorno, che mi hanno preceduto - da un equivoco che è stato fattoPag. 21circolare, spero in buona fede, da quanti affermano che al Senato sarebbe intervenuto un accordo politico sull'ordinamento giudiziario, stipulato, non si sa come, quando e dove, dalla Casa delle libertà con l'attuale maggioranza, che avrebbe fatto scaturire inspiegabilmente - questo sì - un voto contrario della Casa delle libertà al momento della deliberazione finale. Una verifica dei resoconti dell'Assemblea lo possono confermare.
Vi sono stati - è vero, colleghi - dei parziali accordi e delle parziali intese, ma vi siete chiesti perché queste parziali intese sono state raggiunte?
Esse sono state raggiunte, da parte dello schieramento politico di cui fa parte Alleanza Nazionale, a cui appartengo con orgoglio, esclusivamente nella logica di limitare il danno, per non dare al paese quel triste spettacolo di una lotta senza quartiere su un argomento così delicato quale quello della giustizia. Tale accordo cercava di porre fine alla vostra logica di rinviare, rinviare, rinviare... Lo ha già detto, non è un caso, la collega onorevole Bongiorno. Altrimenti, non avrebbe avuto altro significato lo stravolgere una riforma che porta il nome di un esponente della Casa delle libertà, il ministro Castelli, e che aveva come obiettivo quello di riformare l'ordinamento giudiziario con un'azione storica. Non solo: vi sono altre ragioni per cui è stata sospesa l'efficacia del decreto legislativo n. 160 del 2006. L'onorevole Gambescia ha richiamato un'auspicabile intesa nei prossimi sette mesi. Sappiamo bene che le questioni relative alla sistemazione delle carriere dei magistrati e al nucleo centrale della riforma, ossia al principio della separazione tra magistratura giudicante e magistratura requirente, non si possono risolvere nel giro di qualche mese.
In materia di titolarità dell'azione penale in capo al procuratore della Repubblica e di obbligatorietà dell'azione disciplinare di cui ai decreti legislativi n. 106 e 109 del 2006, ci si limita a mantenere i principi generali, ma di fatto essi sono svuotati. Per riprendere un'espressione usata, in materia economica, dal compianto Guido Carli, tali principi sono svuotati da una serie di lacci e lacciuoli che riportano la situazione al punto di partenza: si cambi tutto, affinché nulla si cambi! È una irresponsabilità, di fatto, da parte della magistratura.
Si è, dunque, persa una grande occasione, un'occasione di portata storica, che ci ha visto - il collega Forlani lo ricorderà bene - discutere per tre anni e mezzo nelle aule del Senato.
Ma quale accordo? La realtà è assai triste; la realtà è che l'attuale maggioranza politica ha inteso pagare una cambiale all'ordine giudiziario. Anzi, non tanto all'ordine giudiziario e nemmeno a tutti i magistrati, bensì a una parte della magistratura associata, che rappresenta solo formalmente i magistrati. Ciò è avvenuto in totale disprezzo - giova dirlo - del sentimento della pubblica opinione, nonché del suo stesso programma elettorale, ove ci si richiamava al principio della separazione.
Signor Presidente, vorrei svolgere un'osservazione sul piano costituzionale. È molto grave che si instauri sul piano costituzionale una logica per cui, ad ogni tornata elettorale, la nuova maggioranza cancella tutte le riforme portate avanti dalla precedente maggioranza, senza neanche consentire la verifica della prima applicazione. Ciò è grave: si tratta di un vero e proprio stravolgimento estremistico del principio dell'alternanza democratica.
Ecco perché, colleghi, rimaniamo di stucco nel leggere la relazione che accompagna il disegno di legge del Governo, in cui si afferma che le ragioni della sospensione vanno cercate nella necessità di avere un Consiglio superiore della magistratura pienamente operativo. Ma questo si scriveva a giugno. Oggi, il Consiglio superiore della magistratura ha recuperato la sua funzionalità e, quindi, non vi è alcun motivo per cui non possa affrontare il carico di lavoro derivante dalla riforma.
Un Governo coerente con se stesso avrebbe, quindi, ritirato il disegno di legge. Ma questo lo avrebbe fatto un Governo coerente con se stesso!Pag. 22
Non è invece il caso che vede questo Governo come maggioranza politica. La verità è che questa maggioranza politica ha preferito nascondersi dietro pretesti di natura tecnica, senza avere il coraggio di assumersi la responsabilità di dire, davanti al popolo italiano che con uno scarso margine di vantaggio l'ha votata: vogliamo abdicare nei confronti di una parte, una piccola parte - questo poi è quello che duole! -, della magistratura. Se infatti ciò fosse stato deciso nei confronti di tutti i magistrati, avrei anche potuto capire, ma qui si tratta solo di una piccola parte della magistratura, che non opera, come invece fa la stragrande maggioranza dei magistrati, in modo encomiabile e con zelo, rappresentando quindi solo formalmente la volontà dell'intera magistratura italiana.
Tutto questo, cari colleghi, lo sapete bene e lo sa bene il presidente della II Commissione giustizia, onorevole Pisicchio, dal quale è stato imposto ai nostri lavori un ritmo inusuale per la II Commissione permanente - un ritmo incredibile e soprattutto inusitato per i lavori parlamentari -, per l'applicazione e l'approvazione immediata, senza modifiche, del testo trasmesso dal Senato. Un testo che, peraltro, contiene gravi errori e contraddizioni, che sono stati rilevati non dall'onorevole Pecorella, che li ha ricordati prima - dal momento che egli può essere sospettato di partigianeria per la sua appartenenza ad una parte politica -, bensì dal Comitato per la legislazione, e tuttavia del tutto ignorati dalla Commissione in sede referente.
Si tratta di un'accelerazione dei lavori, colleghi, che stride, cozza, fa a pugni con i tre anni e mezzo che nella scorsa legislatura la maggioranza ha impiegato per varare la riforma. Di fronte ad una così illogica, incredibile modalità di comportamento, i gruppi dell'opposizione sono stati costretti, ahimè - i presenti lo sanno -, ad abbandonare i lavori della Commissione giustizia, per denunciare pubblicamente la violazione dell'ordinaria prassi parlamentare del bicameralismo: una prassi che, è bene ricordarlo, assegna il potere di intervenire a ciascun ramo del Parlamento. E ricordate che il Comitato per la legislazione ha rilevato tre abnormità nel testo trasmesso dal Senato. La prima è l'introduzione di un termine che di fatto è già scaduto. La seconda, la più grave, è la mancata uniformazione del rito rispetto alla scelta di affidare alle sezioni unite della Corte di cassazione l'esame dei ricorsi avverso le decisioni disciplinari del Consiglio superiore della magistratura: una Corte di cassazione in sede civile che dovrebbe giudicare applicando il codice di procedura penale. La terza è la scorretta formulazione circa la reviviscenza dell'ordinamento del 1941.
Si tratta, colleghi, di questioni assai rilevanti, che non possono essere tralasciate e che creeranno inevitabilmente un complesso contenzioso applicativo. A questo punto, delle due l'una. O la maggioranza di quest'aula si riappropria delle sue competenze e modifica il testo, così come indicato dal Comitato per la legislazione, oppure, signora Presidente, una proposta: sciogliamo questo Comitato per la legislazione! Mandiamolo a casa! Ma cosa ci sta a fare il Comitato per la legislazione - che non mi risulta essere composto da una maggioranza politica diversa da quella che governa i lavori di questa Assemblea - se poi non viene ascoltato? Allora mandiamolo a casa!
Vi è di più: mi riferisco alla relazione della II Commissione, peraltro autorevolmente presieduta, ove si legge che nel nostro ordinamento costituzionale non esiste un primato di alcun potere sugli altri. Sulla base di un fumoso concetto di policentralismo vengono, così, messi sullo stesso piano il potere legislativo, quello esecutivo e quello giudiziario. Ma cosa ci importa - stavo dicendo un'altra frase che avrebbe causato il suo legittimo richiamo, signor Presidente - della sovranità popolare prevista dal primo articolo della nostra Carta fondamentale? Dove è andata a finire la centralità del Parlamento? Dove è andata a finire la forma di Governo parlamentare? Dove è andata a finire la primazia del potere legislativo fondato sulla rappresentanza? Forse, inavvertitamente, alcuni colleghi hanno calato laPag. 23maschera: questa è la cultura giuridica, questa è la cultura politica della maggioranza di Governo.
La stessa relazione presenta, poi, un altro punto assai sgradevole, a mio modesto avviso, in cui si richiama l'intervento dell'allora Presidente della Repubblica nell'iter legislativo della riforma. Spiace dover rilevare come, ancora una volta, si brandiscano come una sorta di clava le prerogative del Quirinale senza quel dovuto rispetto verso le prerogative istituzionali. Però qualcuno diceva che a pensare male si fa bene: il sospetto è che dietro i suddetti richiami vi sia un monito verso l'attuale Capo dello Stato. La relazione pare dire che il Capo dello Stato non si deve sognare di fare la stessa cosa di fronte ad un disegno di legge così scorretto ed impreciso. Faccia pure - sembra evincersi dalla relazione - ma deve far finta di niente, vada comunque avanti, Comitato per la legislazione permettendo. Ecco il messaggio in codice diretto, a mio avviso, alla più alta istituzione della Repubblica, che siede nel più alto colle, un colle che - ne sono sicuro - respingerà con sdegno questo messaggio.
Signor Presidente, concludo sottolineando che l'evidente pataracchio che si va determinando porta anche noi di questa parte politica ad una riflessione di autocritica: l'autocritica ogni tanto fa bene, bisogna farla. Avremmo dovuto sin da allora - ed avevamo i numeri per farlo, oltre che la convinzione - separare le carriere dei magistrati, non limitarci alla separazione delle funzioni. Oggi, infatti, abbiamo avuto la prova provata di quanto sia importante il peso che una piccola parte della magistratura ha sulla maggioranza politica. Ecco perché saremmo dovuti andare fino in fondo e perché gli obiettivi che la riforma Castelli si proponeva sono ancora attuali. Si dava risposta a quella responsabilizzazione della magistratura invocata - onorevole Gambescia, lei richiama i sette mesi - dal corpo elettorale sin dal 1987.
A tale riguardo salta agli occhi il drastico ridimensionamento operato al Senato circa gli illeciti disciplinari dei magistrati. Ad esempio, è stato abrogato il divieto per il magistrato di tenere comportamenti anche al di fuori dell'esercizio delle proprie funzioni che ne compromettano la credibilità, il prestigio ed il decoro. È stato del tutto vanificato il principio secondo cui una magistratura, oltre che essere imparziale, deve apparire imparziale. Perde infatti la qualifica di illecito disciplinare il perseguimento di fini estranei alla funzione giudiziaria e si restituisce piena libertà di parola nelle relazioni con la stampa. Insomma, si ricostituisce quel nesso perverso tra inchiesta giudiziaria e campagna mediatica che tanti danni ha provocato al paese.
Si giunge infine - mi rivolgo agli spiriti liberi presenti in aula - a toccare il ridicolo quando si stabilisce che l'iscrizione ai partiti politici possa qualificarsi come violazione disciplinare solo quando sia sistematica e continuativa. Vale a dire che non basta la tessera di partito a compromettere l'indipendenza del magistrato, quindi il magistrato può iscriversi ad un partito purché lo faccia senza continuità; questa è la riforma che volete?
Inoltre, non si può non rilevare l'incostituzionalità della previsione della richiesta di archiviazione da parte del procuratore generale, il quale poi viene chiamato a sostenere la tesi contraria presso la sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura se il ministro della giustizia si avvale della facoltà di ricorrere avverso l'archiviazione. Dunque, in ipotesi, un procuratore generale chiamato a recitare due parti in una commedia.
L'attento ritaglio normativo effettuato ai decreti legislativi nn. 106 e 109 elimina o riduce sostanzialmente ogni riferimento a poteri o competenze nuove assegnate al ministro della giustizia, che di fatto viene riportato a quella funzione meramente ausiliaria che la prassi ha consolidato e che sottrae al controllo democratico l'amministrazione della giustizia.
Nessuno ha mai inteso, né intenderà mai - valgano i resoconti stenografici -, sottoporre la pubblica accusa al potere esecutivo. Alleanza Nazionale è semprePag. 24stata, è e sarà sempre contraria a tale punto, ma questo bersaglio polemico è stato agitato strumentalmente - e, purtroppo, con successo - per ricacciare indietro il guardasigilli e fargli ricoprire un ruolo che non trova riscontro in nessun paese democratico.
Concludo con un appello che mi sento di rivolgere all'Assemblea: riappropriamoci, colleghi, del nostro diritto di emendare. Vi siete battuti - e su ciò troverete note critiche alla mia maggioranza da parte di chi vi parla - contro un bicameralismo imperfetto; allora, cerchiamo di non cedere all'oggettivo ricatto del prendere o lasciare, interveniamo sui vistosi errori presenti nel provvedimento, recuperiamo il senso della riforma non sospendendo l'efficacia del decreto riguardante la separazione delle funzioni e della progressione di carriera dei magistrati.
Quale può essere, colleghi, la credibilità della giustizia nella pubblica opinione se il suo esercizio, grazie ad alcune norme che la maggioranza si appresta ad approvare, viene associato alla logica del privilegio, della casta o della pretesa di costituire una rappresentanza alternativa alla politica? Siamo ancora in tempo per intervenire, facciamolo prescindendo dagli schieramenti politici, facciamolo senza remore, senza pagare pegno ad interessi occulti! Riaffermiamo, colleghi, la dignità di questo ramo del Parlamento (Applausi dei deputati del gruppo Alleanza Nazionale)!
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Mario Pepe. Ne ha facoltà.
MARIO PEPE. Signor Presidente, il ministro Mastella, intervenendo al Senato, ha dato atto al suo predecessore - il senatore Castelli - di avere avuto coraggio nel varare questa riforma così difficile e contrastata. Sì, perché per fare le riforme in Italia ci vuole coraggio! È più facile lasciare le cose come stanno e questo provvedimento fa esattamente ciò. Per lasciare le cose come stanno il ministro Mastella si appella alla Costituzione, ignorando che le cause vere della crisi della giustizia sono insite negli ingranaggi di quel sistema nel quale l'ordine giudiziario è stato posto proprio dalla Costituzione. L'Assemblea costituente, signor Presidente, era nata dalla lotta al fascismo ed era preoccupata di garantire l'indipendenza della magistratura. Devo però dire che i giudici durante il fascismo erano più indipendenti di quelli di oggi. Mussolini non si fidava di quei giudici formati dallo Stato liberale, al punto tale che aveva istituito i tribunali speciali.
Diciamo che i costituenti, ma anche i legislatori successivi, si sono preoccupati di garantire l'indipendenza e l'autonomia della magistratura ma, con l'andare del tempo, hanno rischiato di trasformare questa indipendenza e autonomia in sovranità e hanno rischiato di estromettere la magistratura dall'unità dello Stato.
In Italia il potere giudiziario è il solo potere giuridicamente irresponsabile. Sovrani assoluti, dunque, i magistrati: princeps legibus solutus era la formula dell'assolutismo. La Costituzione stabilisce che i magistrati sono soggetti solo alla legge; ma chi controlla il loro modo di essere soggetti alla legge? Questo CSM? Questo CSM che vive un contrasto insanabile fra i compiti puramente amministrativi che la Costituzione gli impone e la carica di passioni, di sentimenti che sono legati all'elettività di gran parte dei suoi membri? Come i partiti organizzano l'elezione dei deputati e dei senatori, così le correnti organizzano l'elezione dei propri membri, i quali, poi, devono rispondere al corpo elettorale che li ha eletti!
Signor Presidente, con la crisi della giustizia in Italia, questo corpo elettorale non è stato mai punito dal CSM. I provvedimenti disciplinari sono rarissimi: era questa la vera riforma che, secondo me, doveva introdurre il ministro Castelli.
Durante il dibattito in aula, nella scorsa legislatura, ebbi modo di ribadire al ministro Castelli che potevamo incidere più profondamente su questa riforma. Alcuni miei emendamenti che sancivano l'incompatibilità dei magistrati caddero. Oggi i magistrati possono essere comandati. I numeri parlano chiaro: ci sono mille incarichi giudiziari! Mi chiedo: con la crisiPag. 25della giustizia in Italia, con sei milioni di processi pendenti, come si può comandare fuori ruolo otto magistrati al Ministero delle pari opportunità? Come si può comandare 54 magistrati presso la Corte costituzionale?
Signor Presidente, qualcuno ha detto che ci sono uomini che si fanno guidare dalla storia e uomini che si fanno trascinare dalla storia. Il ministro Mastella, in questo caso, si è fatto trascinare dalla storia.
La storia del suo comportamento è un esempio di rinunce, di resa al potere giudiziario, il quale non esce bene da questa vicenda. Si è rinunciato a cercare le cause vere, contribuendo a mantenere quel sistema nel quale i problemi della giustizia si sono annidati: il sistema precedente. Con l'approvazione di questo provvedimento la crisi della giustizia diventerà più grave. Gli italiani continueranno a salire e scendere le scale dei tribunali italiani. I magistrati continueranno a disertare le corti e i tribunali ma, soprattutto, aumenterà il numero dei reati impuniti e, con essi, il clima di insicurezza dei cittadini, delle persone, dei loro beni, nell'esercizio delle attività professionali e produttive.
Signor Presidente, quando non viene garantita la sicurezza individuale contro il crimine e contro l'arbitrio, manca uno degli elementi essenziali per l'esercizio della libertà. Per tali motivi, esprimeremo un voto contrario sul provvedimento di questo Governo, che ormai non rappresenta più la maggior parte degli italiani.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Forgione. Ne ha facoltà.
FRANCESCO FORGIONE. Signor Presidente, colleghi deputati, rappresentante del Governo, resisto alla tentazione di rispondere a tante delle argomentazioni pretestuose e ad alcune arringhe poco parlamentari ascoltate in quest'aula, mentre nel mio intervento cercherò di tenere un profilo politico.
Come sapete, la bussola che ha sempre mosso l'iniziativa politica e parlamentare del gruppo di Rifondazione Comunista-Sinistra Europea in materia di giustizia e di riforma dell'ordinamento è sempre stata rappresentata dalla Costituzione repubblicana, dall'equilibrio di poteri e dal principio per noi irrinunciabile dell'autonomia e dell'indipendenza della magistratura. La riforma Castelli e i suoi tre decreti avevano scardinato proprio questo impianto costituzionale. Per tale ragione, ne abbiamo modificato le disposizioni e per altri versi vogliamo sospenderne l'efficacia. Credo che bene abbia fatto il Governo ad assumere un'iniziativa in tal senso e, a partire da questa sospensione, intendiamo avviare un confronto per fermare il caos nel sistema prodotto da quella riforma, per giungere, invece, ad una riforma vera, che, nell'alveo della Carta costituzionale, sia la più condivisa possibile. Del resto, è l'articolo 104 della Costituzione che definisce la magistratura come ordine autonomo ed indipendente da ogni altro potere, così come l'articolo 112 fa riferimento al pubblico ministero, che ha l'obbligo di esercitare l'azione penale.
Il giudice, come il pubblico ministero, è terzo perché è sottoposto alla legge e queste terzietà non sono previste a tutela di una casta fuori controllo - vorrei dirlo all'ultimo collega che è intervenuto -, come da più parti, purtroppo, si è urlato in questi anni. Queste terzietà sono previste dai costituenti a garanzia del principio - troppo volte, purtroppo, calpestato - dell'uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge. Qualora non sospendessimo l'efficacia dei decreti Castelli, le norme che entrerebbero in vigore determinerebbero una lesione profonda a questi principi costituzionali.
Come è noto, noi di Rifondazione Comunista - vorrei ricordare il lavoro svolto nella passata legislatura anche dall'onorevole Pisapia - non abbiamo mai tenuto, né in passato né in questi mesi nella nuova legislatura, una posizione di chiusura o di rifiuto del confronto, e non lo faremo neanche oggi e nelle settimane che abbiamo di fronte. Anzi, approvate le norme oggi in discussione, crediamo che sia necessario cominciare a ragionare sul chePag. 26fare, con lo stesso spirito che ha mosso l'intera Unione al Senato, per passare nei prossimi mesi ad una fase di carattere costituente in materia di giustizia e giungere, da un lato, ad una riforma complessiva dei codici e delle procedure penali e civili, e, dall'altro, ad una riforma organica dell'ordinamento giudiziario. Forse, onorevole Bongiorno, in questo dibattito, nel quale vogliamo impegnare tutta la nostra intelligenza e la nostra cultura politica democratica e garantista, potremmo anche discutere seriamente e con rigore di indulto - non nei termini propagandistici con i quali ne ha discusso lei questa mattina - degli effetti reali di quel provvedimento, del rapporto reale tra quel provvedimento e la condizione non solo del carcere ma delle pene nel nostro paese.
Ritornando al tema in discussione, su alcune materie della riforma Castelli ritenevamo e riteniamo sia necessario intervenire; lo abbiamo detto e lo diciamo da tempo. Penso alla responsabilità disciplinare dei magistrati, per la quale ritenevamo e riteniamo necessario un codice che, da un lato, non sia frutto di spirito vendicativo - troppe volte, anche questa mattina, lo abbiamo sentito aleggiare - e, dall'altro, non sia vago e incerto, così come si era definito nella riforma Castelli.
Avevamo e abbiamo bisogno di un sistema disciplinare certo, con forme di tipizzazione degli illeciti tali da tutelare i magistrati, che d'ora in poi sapranno quel che potranno e quel che non potranno fare e garantiranno soprattutto i cittadini, che hanno bisogno di ritrovare un senso di fiducia nei confronti della legge e della giustizia. Del resto, proprio questa è una richiesta storica delle componenti culturali e democratiche più avanzate della nostra magistratura.
Lo stesso dibattito sulla separazione delle carriere ci ha visto protagonisti in questi anni di un confronto laico e non pregiudiziale sia nel rapporto con le altre forze politiche del centrosinistra e del centrodestra sia con l'Associazione nazionale dei magistrati. La nostra posizione è nota ed è anch'essa mossa dallo spirito del dettato costituzionale. All'articolo 107, terzo e quarto comma, la Costituzione afferma che i magistrati si distinguono tra loro soltanto per la diversità delle funzioni ed il pubblico ministero gode delle garanzie stabilite nei suoi riguardi dalle norme dell'ordinamento giudiziario.
Noi di Rifondazione Comunista-Sinistra Europea siamo convinti sostenitori di una distinzione rigida delle funzioni, ma senza venir meno a quella osmosi tra giudicanti e requirenti che è fondamento dei nostri principi costituzionali. Sappiamo bene che il passaggio da una funzione all'altra costruito solo sulla progressione delle carriere e sull'età del magistrato non funziona più e sappiamo bene che non regge più un sistema nel quale un giudice comincia nella stessa sede prima facendo il GIP, poi il sostituto procuratore, poi il capo dei GIP, poi il sostituto procuratore aggiunto per poi passare, sempre nella stessa sede, alla carica di presidente di una sezione del tribunale. Un sistema così, per quanto ci riguarda, va necessariamente riformato. Serve una distinzione netta, quindi anche territoriale, regionale, nel cambio di funzione, con un esame serio e rigoroso della valutazione da parte del Consiglio superiore della magistratura.
Proprio per questo, è sbagliato pensare, come fate voi colleghi del centrodestra, ad un ordinamento giudiziario con un corpo di pubblici ministeri a vita, soggetti quindi necessariamente alle pressioni e alle pulsioni di chi governa, sensibili alle maggioranze politiche che si determinano e ad un azione penale che, in questo modo, perde di fatto il vincolo costituzionale dell'obbligatorietà. Basta pensare in un paese come il nostro, che per quasi cinquant'anni ha avuto un partito dominante al potere, quali rischi può portare un sistema di questo tipo.
Ancora più gravi sarebbero gli effetti di una simile separazione a vita tra pubblici ministeri e giudicanti se rimanesse in vigore il principio della gerarchizzazione delle procure così come previste dai decreti Castelli. All'articolo 112 della Costituzione si prevede che il pubblico ministero ha l'obbligo di esercitare l'azionePag. 27penale e ogni sostituto procuratore nel nostro ordinamento è un pubblico ministero, un magistrato, quindi, così come detta la Costituzione, autonomo e indipendente, il quale ha la titolarità dell'azione penale ed è esclusivamente soggetto alla legge e non alla gerarchia, con un capo che esercita su di esso il suo potere esclusivo.
Questa idea di gerarchizzazione ci riporta agli anni bui del nostro paese; come fate a non capirlo? Oppure lo capite bene ed è questo che volete! Ci riporta agli anni delle procure denominate porti delle nebbie, penso agli anni delle denuncie qui a Roma, omogenee quasi sempre ed esclusivamente agli interessi delle classi e del potere politico dominante. Non a caso erano gli anni in cui il Consiglio superiore della magistratura veniva eletto con un sistema elettorale maggioritario e i capi delle procure venivano designati per omogeneità ideologica al potere. Ecco, un capo assoluto, titolare esclusivo dell'azione penale, con un potere assoluto riferito ad una sola persona è per noi inaccettabile e in contrasto con il nostro modello giudiziario che, al contrario, proprio secondo il dettato della nostra Carta costituzionale è un modello di potere diffuso, come si confà ad uno Stato democratico e di diritto moderno, fondato sulle garanzie e sull'uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge.
È vero: nel provvedimento vi sono aspetti (anche discussi in Commissione) in ordine ai quali il ministro potrà intervenire, a chiarimento o ad interpretazione delle disposizioni, in sede di attuazione (come ha detto anche il rappresentante del Governo), ma l'ispirazione di fondo per noi non cambia.
Insomma, colleghe e colleghi, noi pensiamo che occorra partire dalla sospensione dell'efficacia dei cosiddetti decreti Castelli e dall'approvazione del testo pervenuto dal Senato, identico a quello approvato dalla Commissione giustizia, per rendere possibile, da domani, un confronto reale e sereno volto ad ottenere, in tempi ragionevolmente brevi, una riforma la più condivisa possibile, senza schiacciare il Parlamento nello scontro tra le camere penali e l'Associazione nazionale dei magistrati. Qui stanno il recupero e la dignità della nostra funzione di parlamentari e la nostra autonomia di legislatori!
Solo così, signor Presidente, la nostra azione legislativa e di riforma potrebbe, anzi potrà rispondere alla rivitalizzazione di quel dettato costituzionale che nell'autonomia e nell'indipendenza della magistratura, nell'obbligatorietà dell'azione penale e nella terzietà del giudice - soggetto anch'esso esclusivamente alla legge - individua il pilastro di un sistema di garanzie costruito non per questo o quell'altro pezzo delle soggettività interne all'ordinamento giudiziario, ma per l'affermazione del principio di uguaglianza e del diritto dei cittadini ad una giustizia vera e giusta (Applausi dei deputati del gruppo Rifondazione Comunista-Sinistra Europea).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Costa. Ne ha facoltà.
ENRICO COSTA. Signor Presidente, signor sottosegretario, onorevoli colleghi, la riforma dell'ordinamento giudiziario interviene in una materia di forte rilevanza costituzionale, al punto che il legislatore costituente introdusse una disposizione transitoria che prevedeva un termine (naturalmente ordinatorio) per l'entrata in vigore del nuovo ordinamento giudiziario.
Dopo sessant'anni, abbiamo finalmente un nuovo ordinamento giudiziario. La maggioranza di centrosinistra, sia pure con varie sfumature, non ha mai fatto mistero di non condividere la riforma. Ebbene, di fronte a norme che non vengono apprezzate, il legislatore può decidere di abrogarle, di modificarle, di migliorarle, di proporre un nuovo e migliore impianto normativo da discutere in Parlamento. Invece, ci troviamo di fronte ad un provvedimento anomalo: non modifica, né cancella, né contiene una proposta costruttiva. Si sceglie una strada ambigua ed equivoca, quella della sospensione.
Alcuni colleghi hanno criticato il provvedimento sostenendo che si tratterebbe di una controriforma. Non sono d'accordo: per fare una controriforma, bisogna averePag. 28un'idea, un programma, una proposta alternativa e costruttiva; per fare una controriforma, bisogna condividere un provvedimento, mettersi d'accordo intorno ad un testo base. Invece, questa maggioranza non è nelle condizioni politiche di condividere, di proporre, di costruire alcunché; allora, l'espediente della sospensione si è rivelato una mossa obbligata. Fa fine, nel senso che soddisfa chi strilla contro la riforma Castelli, e non impegna, perché non implica un testo alternativo.
Oltre ad una critica politica, l'aspetto ora segnalato comporta anche critiche di tipo tecnico-giuridico: cosa succede se si sospendono le norme in vigore (non dimentichiamo che si tratta di norme vigenti) senza scriverne di nuove? Si fanno rivivere le vecchie? E se entro il 31 luglio non interviene una nuova disciplina? Rimarranno in vigore le norme del 1941? E le norme sospese che fine faranno? Scompariranno? Torneranno in vigore? La cosiddetta legge Castelli ha abrogato una serie di norme del vecchio ordinamento giudiziario; oggi la si vuole sospendere e, contestualmente, si vuole determinare la reviviscenza delle norme precedentemente abrogate. Ricordiamo che le leggi sospensive non possono richiamare in vigore le norme abrogate. È un principio incontestato: la sospensione può certo riguardare la legge in vigore, ma non può ripristinare norme abrogate, a meno che non siano riproposte con un disegno di legge. Oggi invece si vorrebbe determinare la reviviscenza di norme abrogate.
Cito le parole del Presidente Cossiga nell'aula del Senato: «Se uno studente fosse venuto da me a fare l'esame di diritto costituzionale sostenendo tale tesi, l'avrei bocciato e gli avrei detto: non torni alla prossima sessione ma fra tre». Le norme abrogate non possono rivivere a seguito della sospensiva delle norme abrogatrici, stante l'effetto istantaneo dell'abrogazione. Per determinarne la reviviscenza è necessario un nuovo atto legislativo, che non abbiamo. Abbiamo una norma che all'articolo 4 recita: «(...) continuano ad applicarsi (...) le disposizioni del regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12 (...)». Proprio quel «continuano ad applicarsi» evidenzia che si applicano solo quelle che non sono state abrogate dalla riforma Castelli. Si creerà una confusione interpretativa enorme: le sorprese che emergeranno in fase applicativa saranno tante.
Alcuni colleghi ricorderanno la confusione che si generò in un recente passato, quando il testo unico sull'ambiente abrogò talune fattispecie di reato per prevederle in modo più organico. Dopo pochi giorni di vigenza gli effetti del testo unico sull'ambiente vennero sospesi. Si creò un vuoto legislativo. Alcuni tribunali iniziarono ad assolvere gli imputati di reati edilizi sul presupposto che questi erano stati abrogati dal testo unico e che la sua sospensione non ne determinava la reviviscenza. Ebbene, mi chiedo se tale esperienza non abbia insegnato nulla!
Passando poi al merito del provvedimento, mi soffermo per qualche momento sulla sospensione del decreto legislativo n. 160 del 2006. Tale atto normativo ha introdotto un principio fondamentale di civiltà giuridica in un processo di matrice accusatoria: la separazione delle funzioni - si badi bene, «delle funzioni» e non «delle carriere» - tra chi rappresenta l'accusa, e quindi è parte nel processo, e chi svolge un ruolo giudicante, e quindi è terzo rispetto alle parti. Si è estinta un'ambiguità presente nel nostro ordinamento, individuando con definitività percorsi diversi per funzioni diverse e non, come vorrebbero alcuni esponenti della maggioranza, una separazione delle funzioni solo all'interno del distretto di corte d'appello, mentre chi è disposto a trotterellare per l'Italia sarebbe autorizzato a mutare funzione.
Il problema non è territoriale o geografico ma di cultura giuridica, di forma mentis connessa al ruolo, di aggiornamento, di specializzazione: tutte caratteristiche che non possono essere assimilate ad un abito di cui vestirsi o svestirsi.
A proposito del capitolo dei concorsi interni, la maggioranza vorrebbe sospendere anche questi. Sostituiscono le progressioni automatiche e un impianto normativo che punta a premiare chi merita,Pag. 29stimolando ad aggiornarsi e a studiare. I magistrati validi, e ce ne sono tantissimi, auspicano che i concorsi interni vengano introdotti, soprattutto se non hanno protettori o se non sono organici a sindacati e ad associazioni. La regola dell'anonimato delle prove, infatti, sostituisce le valutazioni nominative.
Ho letto con attenzione i resoconti del dibattito al Senato e sul tema mi hanno colpito le parole del senatore D'Ambrosio, che ha detto testualmente su questo punto: «Badate bene che quando si ristabilisce questa carriera per concorso interno, quando si dice che si agevola la carriera di chi fa i concorsi, oltre al fatto che si toglie tempo ai magistrati di occuparsi delle questioni serie per prepararsi ai concorsi, si mostra l'intenzione (...) di creare una classe di magistrati ambiziosi, che sono poi quelli più suscettibili di essere controllati quando diventano dirigenti di un ufficio giudiziario.» Ebbene, il senatore D'Ambrosio ha paventato il rischio che si crei una classe di magistrati ambiziosi; non condivido affatto tale analisi. Certo, D'Ambrosio di magistrati ambiziosi se ne intende più di me, ma non sono spaventato se un magistrato ha l'ambizione di superare un concorso. Al contrario, si tratta di una giusta e legittima ambizione, che lo stimola a studiare, ad aggiornarsi, a lavorare con profitto.
Mi preoccuperebbe invece, e ciò vale per ogni settore della società, se qualcuno avesse l'ambizione di ricoprire ruoli per i quali non è preparato o idoneo, attraverso automatismi di carriera o scelte ispirate non dal merito ma da rapporti e vincoli che da questo prescindano, come magari il numero di fotografie pubblicate sui giornali.
Quando un potere è svincolato da regole che ancorino al merito e alla preparazione il suo esercizio, questo potere si trasforma in prepotere. È un'anticamera della prepotenza istituzionale, una sorta di prepotenza che si è certamente consumata con questa iniziativa legislativa che, incapace di proporre alcunché, smonta e blocca esclusivamente il lavoro altrui (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia).
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Balducci. Ne ha facoltà.
PAOLA BALDUCCI. Signor Presidente, credo che il compito che svolgiamo noi parlamentari nel contraddittorio con l'opposizione sia anche quello di superare contrasti spesso strumentali e di affrontare i temi nella loro esatta dimensione.
Ciononostante, vorrei fare qualche puntualizzazione rispetto a quanto detto precedentemente da alcuni colleghi dell'opposizione. Credo che, rispetto all'oggetto dell'odierna discussione, vale a dire l'ordinamento giudiziario, si sia andati fuori tema. Quando eravamo bambini, se andavamo fuori tema, i professori apponevano un segno rosso, rosso-blu o, peggio ancora, blu. Ho sentito parlare di indulto, della crisi funzionale che vivono i magistrati a causa dell'indulto. Ma ci ricordiamo che l'indulto è uno di quei provvedimenti che, ai sensi della norma costituzionale, viene approvato con la maggioranza dei due terzi dei componenti di ciascuna Camera? Dunque, l'indulto è stato ampiamente approvato non soltanto dall'attuale maggioranza, ma anche dall'opposizione.
Tra l'altro, molti di noi hanno sostenuto che per risolvere il problema del sovraccarico giudiziario amnistia ed indulto sarebbero dovuti andare di pari passo. L'uno senza l'altro non hanno mai visto la luce nella storia dei provvedimenti di clemenza, specie nell'ottica della deflazione dei processi penali. Credo comunque che la questione dell'indulto non dovesse essere sollevata in questo momento, poiché - ripeto - ci porta fuori tema.
Invece, vorrei affrontare il tema per il quale oggi siamo qui, vale a dire l'ordinamento giudiziario ed, in particolare, la questione della sospensione dell'efficacia di alcuni decreti legislativi. Respingiamo l'accusa di «gattopardismo», di cui pure siamo stati tacciati nel momento in cui si è sostenuto che la sospensione celerebbe la volontà di prorogare i termini, per non realizzare le riforme. Non è così!
Una premessa però è indispensabile. Aderire alle proposte di sospensione dell'entrataPag. 30in vigore delle nuove norme sull'ordinamento giudiziario assume un carattere quasi paradossale per chi, svolgendo, tra l'altro, la professione forense, conosce bene il deplorevole stato organizzativo e funzionale della nostra giustizia, segnata da difficoltà, da problemi che, a parte qualche breve periodo, da molto tempo vanno progressivamente aggravandosi.
La situazione è ormai tale che, pochi giorni fa, l'Unione europea è giunta addirittura non soltanto a comunicarci un preavviso di censura, ma anche ad indicarci un termine assai stretto (solamente sei mesi!) per far conoscere provvedimenti diretti, in modo incisivo, ad invertire la tendenza negativa.
Abbiamo, dunque, serissime, convergenti ragioni per mettere in atto, una buona volta, uno sforzo di riflessione e di progettazione che riesca ad avviare concretamente efficaci riforme. E non si può certo escludere che, tra queste, debbano trovare posto anche le innovazioni di carattere ordinamentale.
Tuttavia, non possono aversi dubbi nel prendere posizione contro l'ordinamento giudiziario ostinatamente voluto dal centrodestra; ciò per almeno due ragioni fondamentali.
La prima attiene al quadro generale della nuova normativa che, nel suo insieme, quindi anche al di là dei punti presi di mira, a suo tempo, dal Presidente della Repubblica Ciampi, con il rinvio della legge al Parlamento, si qualifica come espressione di un progetto distante ed antinomico rispetto a quello risultante dalla Costituzione della Repubblica.
La differenza è di quelle che contano, perché il disegno costituzionale della giustizia - nato dalla riflessione critica sulle vicende verificatesi durante il regime fascista - è caratterizzato in senso autenticamente democratico ed è quindi diretto a mettere i giudici nelle condizioni migliori perché possano «dire il giusto», senza alcun indebito condizionamento nei confronti delle persone «modeste» o non abbienti, così come nei confronti delle persone «importanti» o ricche. Centrale e determinante, in questo disegno, è il ruolo del Consiglio superiore della magistratura, come garante dell'autonomia dei magistrati.
L'ordinamento voluto dal centrodestra va, invece, nella direzione di un'organizzazione piramidale della giustizia, con il contestuale ridimensionamento del ruolo del Consiglio superiore della magistratura; si tratta di mutamenti che hanno significati e finalizzazioni di intuibile carattere e di particolare significato. Sul punto non può non considerarsi il generale dissenso che nei confronti di questo progetto è stato manifestato dal mondo dei giuristi, in modo particolare dai costituzionalisti.
La seconda ragione, fondamentale, dell'opposizione all'«ordinamento Castelli» risiede nel rilievo che, in realtà, le modifiche presentate come dirette - e questo è un punto che ritengo insuperabile - ad assicurare una maggiore efficienza, anche mediante la valorizzazione delle professionalità, avranno effetti del tutto opposti. Il riferimento va, in modo particolare, all'enorme dispersione di tempo e di energie che si verificherebbe, ad esempio, per la progressione in carriera dei magistrati basata sui concorsi: esaminandi ed esaminatori, assorbiti dalla grande quantità di esami che dovrebbero essere sostenuti per il mutamento di qualifiche e di funzioni. Per di più, l'idea che la professionalità debba accertarsi mediante prove di esame di carattere culturale appartiene ad un modo vetusto di considerare i profili professionali e i relativi criteri di valutazione. Ciò che conta, nella resa professionale, non è tanto e soltanto il «sapere», quanto il «saper fare» ed «il fare effettivo», elementi che emergono non dagli esami, ma dall'osservazione della resa quantitativa e qualitativa che ciascun magistrato rivela nell'esercizio delle funzioni. Si dovrebbe sapere che pochi lavori sono così documentati e, quindi, così attendibilmente valutabili come il lavoro dei magistrati.
Non credo che quella «concorsualità permanente», così com'è stata definita, potrebbe essere un sistema che giovi all'efficienza. Di efficienza si è parlato moltissimo;Pag. 31lo hanno fatto i colleghi che mi hanno preceduto, e se ne è parlato in tutti questi anni in cui si è aperto il dibattito sull'ordinamento giudiziario. La soluzione del concorso è però rischiosa, perché mette in circolo una serie di problemi relativi alle commissioni esaminatrici, alla loro formazione ed alla loro estrazione. Inoltre, vi sono una serie di altre fortissime controindicazioni. La logica del concorso finisce per valorizzare talenti extraprofessionali, incentiva il conformismo giudiziario, favorisce la fuga dalle giurisdizioni di merito, per limitarsi ai difetti che più spesso sono rimproverati a quel sistema. A cosa serve concentrare, poi, i talenti solamente nelle giurisdizioni superiori? Servono, piuttosto, alte professionalità spalmate su tutti livelli.
Dico cose note a tutti: la giurisdizione di merito non ha dignità inferiore. Lì sono i giudici che vengono in contatto con le parti e che presiedono alla formazione della prova.
Il sistema basato sui concorsi, inoltre, non valorizza - ed è un peccato - il cammino da tempo intrapreso verso il miglioramento e l'affinamento delle tecniche di valutazione dei magistrati. Si tratta di un cammino al quale si sarebbe dovuto - e si dovrebbe - guardare con grande interesse. Il punto d'arrivo sarebbe una valutazione attenta all'attività dei magistrati «sul campo» e questa rappresenterebbe una soluzione equilibrata: il superamento degli attuali automatismi, senza i pericoli del sistema concorsuale. Un esempio per tutti: si pensi, per i giudici di merito o per i pubblici ministeri, ad una valutazione sulle imputazioni, sul modo con cui viene formulata un'imputazione o come viene scritta una sentenza. Questo è uno dei punti, a mio avviso, emblematici di una possibile riforma.
Vorrei aggiungere un'osservazione perché sono stata sollecitata a ciò dagli interventi che si sono succeduti. La riforma dell'ordinamento giudiziario è una riforma alla quale teniamo tutti. L'ordinamento giudiziario risale al 1941 ed è precedente alla Costituzione repubblicana.
Si deve dare atto al ministro Castelli che a quella riforma occorre riconoscere almeno un merito: quello di aver selezionato bene gli aspetti da ripensare. Non c'è profilo tra quelli toccati dalla proposta di riforma, infatti, che non fosse da tempo segnalato come bisognoso di una modernizzazione, di un adeguamento ai tempi e ai riti processuali che mutano. Ciò che pecca è stato - ed è - il radicalismo dei rimedi.
Allora, sinceramente, non riesco a capire l'allarmismo dei colleghi di opposizione alla Camera, dopo che al Senato si era ottenuto un qualche segnale di distensione. Il ministro della giustizia Mastella ha avanzato una proposta assolutamente plausibile, che accontenta tra l'altro le istanze degli avvocati - che abbiamo ascoltato pochi giorni fa - e quelle dei magistrati. In sostanza, egli propone in maniera pragmatica e concreta di sospendere per nove mesi la riforma dell'ordinamento giudiziario nelle parti che sono più delicate (accesso alla magistratura; progressione in carriera; illeciti disciplinari).
Credo che bisogna riconoscere al ministro di aver avuto coraggio quando ha detto che assieme - e sottolineo assieme - maggioranza e opposizione dovranno lavorare sullo stesso telaio istituzionale della giustizia, per individuare i criteri orientativi del nuovo ordinamento giudiziario; ritengo si tratti di una soluzione di grande saggezza e modernità.
Poche parole prima della conclusione: l'ordinamento giudiziario nella passata legislatura è diventato un ibrido senza colore e senza faccia. Nato in un modo, poi, con vari aggiustamenti (ricordiamo tutti il maxiemendamento Bobbio), cambia aspetto, si rimodifica e diventa un'altra cosa. Credo che una riforma così importante come quella dell'ordinamento giudiziario, che viene ad incidere sul nervo più delicato della giustizia per i cittadini, debba essere non solo ponderata, ma anche condivisa. Il momento storico della precedente legislatura, caratterizzato troppo spesso dal «muro contro muro» non è stato il momento ideale per lePag. 32stagioni delle riforme. Riforme ponderate come quelle dei codici - del codice penale e del codice di procedura penale - e dell'ordinamento giudiziario abbisognano di serenità e non di «vendette», in quanto nessuno cerca vendetta. L'obiettivo che si dovrebbe perseguire è che la giustizia venga veramente esercitata a tutela di tutti i cittadini, sia quelli deboli sia anche quelli meno deboli.
Affronterò - e rapidamente giungo alle conclusioni - l'altro argomento che è stato, a mio modesto avviso, utilizzato forse ad arte dai colleghi di opposizione nella nostra Commissione per impedire che la riforma dell'ordinamento giudiziario sia sospesa. Alcuni nostri colleghi, nella riunione svoltasi in Commissione giustizia il 18 ottobre scorso, hanno sollevato la questione del contrasto tra il secondo comma dell'articolo 24, così come modificato dal disegno di legge approvato dal Senato, e il primo comma del medesimo articolo. Si è sostenuto che la contraddizione derivante dall'applicazione delle regole processuali penali in un giudizio sottoposto alla cognizione delle sezioni unite civili della Cassazione potrebbe essere risolta solamente mediante l'approvazione di un emendamento che, modificando in parte qua l'articolo 24, comma 1, del decreto legislativo n. 109 del 2006, stabilisca l'applicabilità ai procedimenti de quibus delle norme del codice di procedura civile.
In realtà, il conflitto tra il primo e il secondo comma dell'articolo 24 del citato decreto legislativo è solo apparente e può essere agevolmente risolto in via interpretativa. Il citato articolo 24, comma 1, del provvedimento in questione fa infatti espresso riferimento ai termini ed alle forme della proposizione del ricorso e si limita, dunque, a richiamare le sole norme del codice di procedura penale che regolano la fase introduttiva del giudizio di Cassazione. Mi riferisco, ad esempio, all'articolo 585 del codice di procedura penale, che disciplina i termini per l'impugnazione della sentenza, o all'articolo 606 del medesimo codice, che regola i motivi di impugnazione.
Al riguardo, richiamo la disciplina dei motivi di ricorso per Cassazione - contemplata, rispettivamente, nel codice di procedura penale, all'articolo 606, e nel codice di procedura civile, all'articolo 360 - che tende sostanzialmente a coincidere, anche alla luce della più recente interpretazione giurisprudenziale sui motivi di impugnazione, riducendo, di fatto, le differenze che derivano dall'applicazione dell'uno o dell'altro rito.
Quanto alla disciplina delle restanti fasi del giudizio di Cassazione, in particolare, quelle del giudizio e della decisione - si tratta di un punto che mi preme sottolineare -, troveranno applicazione le corrispondenti norme contenute nel codice di procedura civile, sulla base dell'assorbente rilievo che la natura dell'organo decidente (nel caso di specie, le sezioni unite civili della Corte di cassazione) determina il rito applicabile alle controversie sottoposte alla sua cognizione.
Eventuali differenze rispetto alla corrispondente disciplina processualpenalistica (si pensi, ad esempio, alla previsione della lettura del dispositivo in udienza, contemplata dall'articolo 615 del codice di procedura penale, ma non prevista nel rito civile) non incidono, in alcun modo, sulla piena attuazione del diritto di difesa dell'incolpato.
Per tutti questi motivi, sostengo fermamente l'importanza di disporre la «sospensione» di questo decreto di delega, affinché la tanto auspicata riforma dell'ordinamento giudiziario - parliamo di una normativa risalente al 1941! - possa essere condivisa «effettivamente» da tutti i soggetti che vivono nel pianeta giustizia - avvocati, magistrati, operatori e cittadini - per l'affermazione di una giustizia con la «G» maiuscola (Applausi dei deputati dei gruppi Verdi, L'Ulivo e Italia dei Valori - Congratulazioni)!
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Laurini. Ne ha facoltà.
GIANCARLO LAURINI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, qualcuno ha affermato (se ricordo bene, si tratta diPag. 33Benjamin Constant) che la giustizia non è scesa dal cielo, ma è opera degli uomini e porta l'impronta delle loro imperfezioni, delle loro debolezze e delle loro perversità. Quasi come dire che tutti invocano giustizia, ma ognuno la vuole a modo suo!
Ora, se è comprensibile che il personale concetto di giustizia corrisponda alla propria visione della società, dobbiamo necessariamente cercare un punto di incontro tra le opposte visioni, stando attenti, ovviamente, a che le questioni di giustizia non diventino un coacervo di compromessi e vengano vissute, come è avvenuto anche nel corso del dibattito svolto presso il Senato, essenzialmente come un problema di rapporti tra i poteri dello Stato.
Mi auguro, pertanto, che il dibattito che avrà luogo in questa Assemblea si ispiri ai doveri che tutti abbiamo nei confronti dei cittadini che ci hanno eletto, i quali si aspettano da noi un atto di responsabilità che vada oltre le diverse parti politiche o il proprio sentire e sia altresì espressione di attenzione verso l'interesse generale, di senso dello Stato e di lealtà alle istituzioni.
Noi, infatti, dobbiamo puntare ad una costruzione della giustizia che risponda ad una concezione che, in tutti questi anni, si è andata perdendo rispetto alla Costituzione della Repubblica, travisata dalle esigenze di comodo di alcuni gruppi presenti sia nel mondo politico, sia in quello giudiziario. Si tratta di una costruzione che deve partire dalla giustizia intesa come servizio pubblico essenziale per la collettività e che come tale deve essere amministrata.
Se, come è scritto a grandi lettere in bella vista in tutti i tribunali e come ha ricordato testé l'onorevole Balducci, la legge è uguale per tutti, è anche vero ormai che non tutti sono uguali di fronte alla legge, perché si è persa quella legalità che è sinonimo di affidabilità, credibilità e responsabilità, portando il nostro sistema giudiziario al limite del collasso, con una contrapposizione forzata e forzosa tra poteri dello Stato che la Costituzione ha voluto tenere separati.
Lo Stato di diritto ci ha insegnato che la giustizia è conformità alla legge. Giustizia, quindi, è fatta quando si rispetta la legge, facendo coincidere giustizia e legalità. Legalità vuole che i cittadini sappiano bene cosa è lecito e cosa non lo è e che vi sia la certezza che, se esistono certe norme, esse vengano applicate nella giusta misura, a prescindere da dove e da chi vengono applicate. È questo ciò cui propendevano i nostri costituenti quando hanno scritto la Carta costituzionale: l'esistenza di norme precise e stabili che pongano i rapporti giuridici fuori da ingerenze meta o extra giuridiche e che da quelle norme emerga con chiarezza ciò che è giusto e ciò che non lo è, almeno in un determinato contesto sociale e in un certo periodo storico.
Se partiamo da queste considerazioni, possiamo affermare con soddisfazione che con la riforma Castelli ci siamo messi sulla buona strada, su cui dobbiamo proseguire partendo dalla prova di saggezza che, obiettivamente, questa pur rissosa e conflittuale maggioranza ha dato accettando l'idea (concretatasi nel testo approvato con ampia condivisione, anche se faticosamente, come ha ricordato il sottosegretario Scotti, al Senato) di limitare l'intervento innovatore alla sospensione del decreto legislativo n. 160, apportando alcune modifiche ai decreti legislativi n. 106 e n. 109 del 2006, senza quindi stravolgere la riforma nel suo impianto generale, come pure sembrava avesse intenzione di fare e come ha testé ricordato il relatore Palomba.
Dato doverosamente atto di questo, dobbiamo chiederci perché si vuole la sospensione. Se andiamo oltre le giustificazioni formali contenute nella relazione di accompagnamento al disegno di legge proposto dal Governo e che si riferivano all'esigenza di procedere prima alla elezione dei membri del Consiglio superiore della magistratura, affinché esso potesse procedere all'attuazione dei decreti nel pieno dei suoi poteri, esigenza venuta meno con l'elezione nello scorso luglio, si intravede comunque nel fondo l'ostinata volontà politica della maggioranza di colpire al cuore la riforma Berlusconi.Pag. 34
Per fortuna, il ministro Mastella e il sottosegretario Scotti hanno fatto il possibile per trovare una convergenza tra le rispettive posizioni, raggiungendo un accordo con l'opposizione e lasciando intatto l'impianto della riforma, attuando degli aggiustamenti e, devo dire, anche dei miglioramenti rispetto a quanto di buono era stato fatto dall'ampia maggioranza politica che l'ha approvata nella passata legislatura con il consenso della stragrande maggioranza dei cittadini.
PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE CARLO LEONI (ore 12,30)
GIANCARLO LAURINI. Sono personalmente convinto che la separazione delle funzioni, su cui non siamo ancora riusciti a trovare un accordo e, di qui, la sospensione fino al 31 luglio 2007 del decreto legislativo n. 160, non solo porterà maggiore credibilità al sistema, ma costituirà anche un significativo passo in avanti verso quella legalità che oggi stenta a farsi sentire e che i cittadini reclamano a gran voce, anche come indispensabile premessa e supporto della sicurezza.
Quindi, è veramente un peccato che si sia perduta questa occasione per evitare, anche per questo decreto, una moratoria che, come ha lamentato l'onorevole Bongiorno, temo, nonostante le affermazioni di consenso e di buona volontà di larghe fasce della maggioranza e della stessa parte più consapevole del Governo - mi riferisco evidentemente al dicastero di via Arenula -, potrebbe essere foriera di soluzioni pasticciate e inadeguate a risolvere con chiarezza e precisione, una volta per tutte, un problema di fondo del nostro sistema giudiziario.
A conclusione di questo mio intervento, che ho volutamente mantenuto, per lo spirito costruttivo che lo anima, su linee generali, non posso esimermi da un riferimento preciso ad un aspetto del disegno di legge sottoposto al nostro esame, sul quale già si sono soffermati altri colleghi. Mi riferisco alla lettera o), comma 3, dell'articolo 1, nella quale si prevede che i ricorsi avverso le decisioni della sezione disciplinare del CSM debbano essere presentati alle sezioni unite civili della Cassazione.
È una modifica importante e significativa che, come è stato detto, doveva però necessariamente recare con sé la modifica del primo comma dello stesso articolo 24 che, quanto al rito processuale da utilizzare, rinvia al codice di procedura penale.
Si tratta di un palmare errore - come è stato sottolineato da tutti -, di una svista dovuta alla fretta e all'evidente atmosfera convulsa nella quale il testo trasmessoci è stato redatto. È un errore meramente tecnico, che può creare incertezze e problemi seri, al di là delle affermazioni svolte in questa sede e in Commissione.
Si tratta di problemi seri e delicati nella fase applicativa, di cui si è molto discusso mercoledì scorso in Commissione giustizia nell'ambito di un dibattito che ha messo in luce macroscopiche contraddizioni fra esponenti dei gruppi della stessa maggioranza, che hanno cercato invano di minimizzare tale errore. Taluni hanno affermato che si trattava di scelta precisa e non di errore, altri hanno sostenuto che nella pratica i giudici utilizzeranno comunque il rito civile in via interpretativa, altri ancora che si potrà porre rimedio a tale errore successivamente.
Si sono prospettate, così, interpretazioni talvolta stravaganti, con argomenti spesso in contrasto non solo con la sensibilità dei giuristi, ma anche con il buon senso comune, al punto che qualcuno della stessa maggioranza ha sentito il bisogno di richiamare i colleghi al senso di autonomia e responsabilità, che devono prevalere sui diktat di partito. Ciò è avvenuto stigmatizzando un ingiustificato atteggiamento di rifiuto di qualsiasi intervento riparatore. Mi riferisco a quell'intervento proposto con un emendamento presentato da Forza Italia e sottoscritto da tutti i gruppi della Casa delle libertà che prevedeva semplicemente la sostituzione del riferimento al codice di procedura penale con quello al codice di procedura civile.
Malauguratamente, il muro innalzato dalla maggioranza ha impedito qualunquePag. 35miglioramento del testo, anche quando si trattava di proposte squisitamente tecniche per il cui accoglimento i gruppi di opposizione avevano dato la disponibilità a rinunciare alla stragrande maggioranza degli emendamenti proposti.
Di fronte a questo atteggiamento, che si spiega soltanto con la preoccupazione di condurre immediatamente e comunque in porto un provvedimento particolarmente gradito a impazienti beneficiari, ai gruppi della Casa delle libertà non è rimasta altra scelta, dopo la bocciatura di quell'emendamento in Commissione, che abbandonare i lavori.
Signor Presidente, siamo giunti ad un passaggio importante della nostra attività legislativa, nella quale la dignità di questa Camera - come ha ricordato l'onorevole Pecorella - non può scadere fino al punto da farle approvare ad ogni costo un provvedimento che l'altro ramo del Parlamento ci ha trasmesso anche riconoscendo l'errore tecnico-giuridico in cui era incorso, come emerge da una lettera che il Presidente del Senato risulta avere inviato, di cui non ci è stata data notizia in Commissione e di cui abbiamo invano chiesto l'acquisizione agli atti.
Mi auguro che questa Assemblea - melius re perpensa - voglia porvi rimedio, approvando la modifica richiesta e tranquillizzando la maggioranza in ordine al fatto che al Senato il provvedimento sarà definitivamente e rapidamente approvato senza ulteriori intoppi.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Capotosti. Ne ha facoltà.
GINO CAPOTOSTI. Signor Presidente, onorevoli colleghi e colleghe, ancora una volta, oggi, potremo discutere di analisi politica, almeno dal mio modesto punto di vista. In effetti, nella scorsa legislatura, forse anche in qualcuna precedente, abbiamo vissuto un fenomeno continuo di lacerazione del paese, un fenomeno di gestione pregiudiziale, di corporativismo e di gestione di un interesse garantito più di tutti gli altri; un fenomeno, in buona sostanza, di gestione non politica. In effetti, una legge fatta per uno contro gli altri non può nemmeno definirsi tale, in quanto - come è noto - la legge ha i caratteri della generalità e dell'astrattezza e dovrebbe perseguire l'interesse comune.
Allora, noi oggi possiamo tornare a servire il paese, cioè a parlare di politica.
Vale a dire, a fare sintesi di tanti interessi diffusi, diversi, singolari, com'è nostro dovere, componendoli in un quadro di interesse comune, certamente secondo le diverse sensibilità che ci ispirano, concorrendo quindi realmente a quel progresso economico e sociale della nazione, a cui la Costituzione ci chiama come forze politiche.
Sembrerebbe quindi oggi che la parabola berlusconiana volga al termine e che possa nuovamente parlarsi di unità politica, cioè di partiti di ispirazione ideale e non più ideologica, che attuano un programma e che in quanto democratici tendono al libero scambio di uomini e di idee, realizzando appunto l'interesse comune. In questo quadro, può agevolmente leggersi un provvedimento di sospensione, necessitato dalla riaffermazione del quadro politico al quale ho fatto cenno. Questa sospensione non vuole dire: cancelliamo tutto quanto fatto precedentemente, perché forse in alcune parti fatto solo a vantaggio di uno contro tutti gli altri. Piuttosto dice: adesso che non ci sono più le condizioni storiche perché sia fatto uno contro tutti, cominciamo a ragionare per fare qualcosa che serva realmente al paese. Cominciamo a ragionare per realizzare una riforma dell'ordinamento giudiziario, che dia risposta alla domanda di giustizia latente, ferma (ed ipersanzionata da svariati organi comunitari), che, com'è noto, affligge la giustizia italiana. Questo lo possiamo fare partendo da una sospensione, perché si tratta di uno dei tre poteri fondamentali dello Stato: un potere costituzionalmente previsto, un potere libero e indipendente, un potere raccordato agli altri due da quel Quirinale, a cui qualcuno prima tentava di tirare addirittura la giacca!
Dunque, penso che la reale portata di questo provvedimento stia nel vedere chePag. 36finalmente si torna nuovamente al centro e si apre una discussione; ciò tenuto conto che i canoni di quella discussione potranno solo essere quelli dell'interesse comune e del servizio ai cittadini. Certamente, anche noi vorremo poi un giudice terzo e imparziale. Certamente, anche noi vorremo una progressione della carriera meritocratica. Certamente, anche noi vorremo l'affermazione di un principio di responsabilità effettivo e forse potremmo sottolineare che in Costituzione è scritto che il giudice è soggetto solo alle leggi: non tutti i magistrati, ma il magistrato che giudica (appunto il giudice).
Tuttavia, questo è un capitolo che appartiene ad un'epoca a venire, alla quale quindi guardiamo con speranza e con fiducia, pensando che il richiamo all'ubi consistam, cioè allo stare tutti insieme tenuto conto delle rispettive estrazioni, lavorando a un progetto che finalmente possa dare una risposta concreta al paese, sia il nostro reale obiettivo. Per questo non posso che considerare con forte perplessità alcuni interventi che mi hanno preceduto, relativamente a chi parla della ragione e del torto, un tema antico e difficile: noi non abbiamo sbagliato!; noi abbiamo ragione e il torto è tutto vostro!. Ecco, io a tratti invidio chi ha queste convinzioni. D'altro canto, forse ne ho timore. Essendo un democratico di ispirazione cristiana, ricordo che San Paolo scrive che la stoltezza è un peccato. Probabilmente, alcune pulsioni di dabbenaggine politica è bene che non entrino a far parte del dibattito, perché non costituiscono elemento di dibattito, bensì sono un qualcosa che sta al di fuori.
In questo quadro, va pure sottolineato - questo lo voglio dire a chi parlava dello strapotere dei giudici - che l'indulto, tra le tante sue peculiarità, è anche e soprattutto in sede politica l'affermazione di un principio, cioè che un certo giustizialismo è finito, perché appunto c'è una separazione dei poteri e c'è una struttura di raccordo, rappresentata dal Presidente della Repubblica.
Pertanto, saluto positivamente questo provvedimento. Mi rendo conto che vi sono singolarità e aporie tecniche - ne prendo atto - e le voglio considerare uno stimolo ulteriore. Poiché questo provvedimento sarà efficace fino al luglio 2007, anche per le suddette aporie tecniche, entro tale data il Parlamento si sarà pronunciato compiutamente su un provvedimento che non sarà più, come quello di oggi, di attesa, di ricognizione e di apertura di confronto, ma che sarà la risposta effettiva a quella domanda di giustizia latente che ci deve assillare quotidianamente. I problemi sono molti - come è noto - ed è tempo finalmente di risolverli.
Tornando al tema della ragione e del torto e della sospensione del percorso che ci porterà da ora al luglio 2007, mi viene da pensare ad un grande statista che sedeva in quest'aula e si chiamava Alcide De Gasperi il quale sovente diceva: non è tanto importante avere ragione oggi, quanto e piuttosto non avere torto domani.
PRESIDENTE. È iscritta a parlare la deputata Lussana. Ne ha facoltà.
CAROLINA LUSSANA. Signor Presidente, intervengo anch'io, come già hanno fatto diversi colleghi dell'opposizione, per fare chiarezza su un vizio iniziale che ha condizionato fortemente i lavori della nostra Commissione giustizia in merito all'analisi di questo provvedimento importante che va ad incidere sulla riforma dell'ordinamento giudiziario. Troppe volte in Commissione, ed anche in quest'aula dal relatore, abbiamo sentito il richiamo all'atteggiamento incomprensibile dell'opposizione che faceva rilievi e voleva intervenire. Si trattava di appunti sicuramente non ostruzionistici ma di merito: tutte le volte ci veniva opposto il riferimento all'accordo fatto al Senato per cui il testo in discussione non doveva essere toccato perché era, appunto, il frutto del suddetto fantomatico accordo politico.
Si è già detto dell'inesattezza di quanto si è voluto dichiarare in più sedi, e dunque vorrei richiamare l'iter di questo provvedimento al Senato ed anche l'iter di tutta la riforma.Pag. 37
Nella passata legislatura abbiamo approvato la riforma dell'ordinamento giudiziario con cinque passaggi parlamentari; addirittura vi è stato un rinvio del Presidente della Repubblica. Abbiamo assistito a due scioperi degli avvocati penalisti ed a quattro scioperi dell'Associazione nazionale magistrati che protestavano per due ragioni diverse. L'Associazione nazionale magistrati era contraria alla separazione delle funzioni; gli avvocati penalisti - li ho sentiti poco citare in quest'aula - invece ci chiedevano di avere più coraggio e di andare nella direzione della separazione delle carriere. Comunque, siamo riusciti, senza alcuna pretesa di essere dalla parte della ragione - lo dico all'onorevole Capotosti - ad approvare un'importante riforma. La riforma sicuramente non è la migliore, ma è la migliore delle riforme possibili. In ogni caso, la ritenevamo una riforma perfettibile in sede di decreti attuativi ed in sede di verifica della riforma stessa.
Abbiamo agito con questo spirito, togliendo dal cassetto in cui l'avevano tenuta i ministri precedenti una riforma che chiedeva di essere portata avanti e discussa non nelle sedi delle assemblee dei magistrati o dell'organo di autogoverno della magistratura, ma nella sede opportuna: il Parlamento, le aule di Senato e Camera. Mai abbiamo agito, come ho sentito dire da qualcuno in quest'aula, con spirito di vendetta. Avevamo un unico obiettivo: quello di riformare la giustizia e dare un servizio migliore ai cittadini anche partendo dal cambiamento della base di tutte le riforme, cioè la riforma dell'ordinamento giudiziario.
Quindi, nessuno spirito di vendetta. Questa non è una riforma contro qualcuno, in particolare contro la magistratura. Certo, è una riforma che incide anche sulla magistratura, ma questo è giocoforza e forse il nostro agire da qualcuno è stato interpretato come l'intenzione di toccare privilegi acquisiti che dovevano rimanere immutati e immutabili per sempre. Addirittura, si sarebbe dovuti rimanere fermi ad una legge del 1941, antecedente alla nostra Costituzione.
Comunque, la riforma l'abbiamo realizzata con umiltà e sulla base di un confronto parlamentare. Da parte nostra vi era disponibilità a discutere, ma da parte dell'opposizione non vi è stata mai la volontà di entrare nel merito delle questioni, di trovare un accordo. Si diceva sempre e pretestuosamente «no» al confronto, «no» al dialogo! Troppe volte, anziché discutere in quest'aula al di là delle ideologie, si preferiva essere presenti alle assemblee sindacali dei magistrati per rivendicare le loro posizioni. E questo era l'atteggiamento che ci attendevamo da parte dell'Unione una volta vinte le elezioni. Pensavamo che sareste andati avanti nel vostro progetto di smantellamento della riforma dell'ordinamento giudiziario. Tuttavia, ci siamo resi conto che il vostro atteggiamento è stato diverso; infatti il ministro Mastella si è presentato al Senato con la volontà di sospendere i tre decreti, dei quali in realtà ne è stato sospeso solo uno - il cuore della riforma -, mentre sugli altri due si sono trovati alcuni punti di incontro.
Dunque, non vi è stato un accordo politico, ma vi è stato finalmente l'abbandono - grazie anche alla ragionevolezza del ministro - dello steccato ideologico, rinunciando ad agitare in aula il parere del 22 giugno 2006 del Consiglio superiore della magistratura, secondo il quale la riforma dell'ordinamento giudiziario realizzata dalla Casa delle libertà è una schifezza e, pertanto, deve essere bloccata prima che produca chissà quali nefandezze.
Mi sembra che questo atteggiamento alla fine non sia prevalso nell'aula del Senato - non so se i numeri un po' risicati abbiano avuto un certo peso in ordine a questo ravvedimento operoso -, che su alcuni punti si sia trovato un certo accordo e che il Parlamento sia ritornato ad essere l'organo sovrano per affrontare tali questioni.
Infatti, la magistratura è indipendente e autonoma - noi, con la riforma, non abbiamo mai pensato di incidere su questi principi riconosciuti alla magistratura dalla nostra Costituzione -, ma rivendichiamo,Pag. 38come Parlamento, anche la nostra autonomia e indipendenza nel legiferare senza i condizionamenti esistenti all'esterno delle aule parlamentari da parte dell'Associazione nazionale magistrati e del Consiglio superiore della magistratura, che troppe volte vuole assomigliare ad un surrogato del Parlamento piuttosto che all'organo di autogoverno dei magistrati.
Allora, quella che era la cattiva riforma, che chissà quali disastri avrebbe dovuto produrre, per quanto riguarda i decreti relativi alla riorganizzazione delle procure e alla tipizzazione degli illeciti disciplinari, ha subito ben poche modifiche, essendone rimasta inalterata la ratio. Abbiamo sentito colleghi dell'attuale maggioranza riconoscere l'importanza di aver finalmente tipizzato gli illeciti disciplinari, a tutela dei cittadini, ma anche a tutela degli stessi magistrati, al fine di sottrarli all'eccessiva discrezionalità della sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura.
Tuttavia, ritengo ci si debba interrogare anche su un'altra questione fondamentale: l'autoreferenzialità della magistratura.
Noi abbiamo scritto quello che potrebbe essere un codice degli illeciti; finalmente, abbiamo dato oggettività laddove prima non vi era, però, comunque, controllore e controllato coincidono e su tutto questo dovremmo interrogarci.
Dovremmo forse anche pensare ad una riforma della nostra Costituzione che vada in tale direzione. È questo che ci chiedono anche i cittadini, i quali tante volte si scontrano con la magistratura e vorrebbero vi fosse la possibilità, anche per i magistrati, di venire giudicati da un organo terzo e imparziale, a garanzia di tutti, magistrati stessi e cittadini.
Quindi, questo è un tema che dovrà essere ripreso anche per quanto riguarda il discorso della valutazione dei magistrati.
A tal proposito, veniamo alla sospensione di quello che era il cuore della riforma. Ho sentito dire che con la separazione delle funzioni noi vorremmo mettere il guinzaglio ai magistrati, minare la loro indipendenza: ma come si fa, ancora oggi, a sostenere concetti come questi? Siamo indietro! Dobbiamo andare anche al di là della separazione delle funzioni. Bisognerebbe avere il coraggio di parlare di separazione delle carriere e questo la magistratura lo deve iniziare a capire e a comprendere: deve fare anch'essa un'operazione di autocritica se vuole dare un immagine di sé che la rappresenti effettivamente come organo imparziale e super partes.
Non si può parlare di attuazione dell'articolo 111, del giusto processo, di assoluta parità tra accusa e difesa se, praticamente, pubblico ministero e giudice, magistratura inquirente e giudicante sono ancora interscambiabili, rappresentando la stessa cosa. Questi sono principi di equità e giustizia: non si mina assolutamente l'indipendenza della magistratura!
È un fatto che rivendichiamo con coraggio. Noi non siamo contro i giudici, che svolgono il loro mestiere egregiamente, spesso, magari in condizioni difficili, critiche. Però, siamo anche per sanzionare o per evitare che magari coloro che non svolgono al meglio i loro compiti abbiano degli avanzamenti di carriera. Siamo anche per sanzionare coloro che - ne abbiamo discusso in Commissione giustizia - dimenticandosi di depositare una sentenza per ben due anni, consentiranno all'ergastolano di tornare in libertà: non vogliamo che ciò avvenga!
Per questo, abbiamo portato avanti la discussione e inteso iniziare a confrontarci con una riforma importante. Ci dispiace che la magistratura sia stata, tante volte, così sollecita a criticare, a commentare i provvedimenti legislativi. Lo abbiamo visto tante volte nella passata legislatura.
Il clima di scontro non l'ha creato questo Parlamento né, tanto meno, il ministro Castelli: si respirava, era impalpabile. Si difendevano prerogative che assomigliano - perché sono anacronistiche - a dei privilegi. Quando la magistratura si arrocca nella difesa di queste prerogative, che dai cittadini vengono viste come dei privilegi, si avvicina più ad una casta che non ad un potere dello Stato.
Vediamo con grande disappunto la mancanza di coraggio di questa maggioranzaPag. 39a confrontarsi anche sul tema della separazione delle funzioni e su quello di come valutare meritocraticamente i magistrati.
Certamente, anche in questo caso, si parlava di abrogazione, mentre adesso si parla di sospensione. Avremmo preferito confrontarci, vedere un progetto. Abbiamo sentito oggi il rappresentante del Governo affermare che si sta pensando a principi con cui si possa effettivamente valutare la preparazione dei magistrati, la loro qualificazione professionale, la loro efficacia ed efficienza: avremmo voluto vedere come intendete realizzare tutto ciò!
Il concorso non va bene (si è parlato tante volte di «concorsificio»)? Noi avevamo trovato uno strumento su cui si poteva discutere per cercare di modificarlo ma, senza meno, non possiamo andare avanti con un sistema di progressione in carriera come quello che attualmente si verifica.
Del resto, ci avete dato la vostra disponibilità, affermando di essere d'accordo e pronti a ragionare per introdurre il criterio meritocratico. Nel disegno di legge finanziaria avevate anche introdotto una norma che sembrava andare in questa direzione ma, adesso, mi sembra che la vogliate sopprimere. Volete sopprimere l'articolo 64, che bloccava gli avanzamenti unicamente vincolati al criterio dell'anzianità.
Mi sembrava, quella, una norma corretta. Avevate anche scritto che, in attesa di ridefinire la carriera dei magistrati su principi meritocratici, intanto si sarebbe bloccato del 50 per cento lo scatto automatico delle indennità: mi sembra che abbiate fatto marcia indietro. Questa marcia indietro, questo volerla sospendere con lo spettro del 28 ottobre - che, poi, è un finto spettro perché, comunque, come è stato detto, i magistrati avranno già scelto la funzione - ci dimostra che, forse, non siete così liberi nel legiferare. Certo, mi aspettavo un atteggiamento di maggior chiusura, che, forse, non c'è stata perché vi state rendendo conto che avreste mantenuto una posizione impopolare nel paese e tra i cittadini. Con questa legge finanziaria state perdendo consensi, a meno che non la stravolgiate. Sicuramente, se sosterrete le posizioni sindacali di alcuni magistrati, perderete ulteriormente consenso, dopo la legge sull'indulto, anche per quanto riguarda la giustizia.
Non volevo toccare il tema dell'indulto perché non riguarda la nostra discussione, però le sollecitazioni sono tante. Volevo rispondere all'onorevole Capotosti, il quale dice che l'indulto è il superamento del giustizialismo: è un concetto veramente innovativo, del quale prendo atto, ma mi piacerebbe confrontarmi con lui su cosa intenda. Ritengo che l'indulto sia stato, purtroppo, un'enorme «schifezza», una resa dello Stato, che non ha avuto solo l'effetto di svuotare i nostri penitenziari, aldilà poi delle effettive aspettative - sono usciti oltre 20 mila detenuti, il tasso di recidiva è in continuo aumento, comunque ne abbiamo già parlato tante volte -, ma anche di incidere su molti procedimenti in corso e su quelli che si apriranno in futuro.
Allora, mi ricollego all'indulto e all'obbligatorietà dell'azione penale perché ho sentito le parole dell'onorevole Forgione. L'obbligatorietà dell'azione penale non è un dogma, onorevole Forgione, ma, siamo d'accordo, un principio fondamentale della nostra Costituzione. Tuttavia, oggi, nonostante ci sia l'obbligatorietà dell'azione penale, nonostante non tutti i reati vengano perseguiti, delle scelte, comunque, vengono operate e tali scelte vengono fatte tante volte dai magistrati, che magari lasciano nel cassetto un'inchiesta perché poco popolare e spettacolare, e ne portano avanti delle altre. Poi, entrano in gioco il meccanismo della prescrizione ed una scelta discrezionale della magistratura, a cui anche noi con questo ordinamento giudiziario abbiano cercato di porre rimedio, attribuendo la titolarità dell'azione penale al procuratore capo, che - prima si è parlato della delega - adesso l'assegna ai sostituti, indicando dei criteri. Abbiamo cercato di dare uniformità fra le varie procure per realizzare il principio secondo il quale tutti i cittadini sono uguali di fronte alla legge, ma anche il principio chePag. 40tutti i reati dovrebbero essere perseguiti - o, almeno, quelli ritenuti più offensivi - allo stesso modo e uniformemente in tutte le procure d'Italia, evitando che in una procura si adotti una linea e in un'altra, invece, una linea diversa perché ciò fa più comodo e conviene.
Tornando al tema dell'ordinamento giudiziario, riteniamo che, purtroppo, si sia persa l'occasione di poterci confrontare. Si è fissato un rinvio al luglio 2007 e non so cosa succederà in questi mesi. Non so se, effettivamente, riusciremo con serenità - magari anche con scontri, reciproche posizioni diverse e distanti, che possono trovare, comunque, dei punti di incontro - ad incidere su questa parte dell'ordinamento giudiziario, che comunque è fondamentale per consegnare al paese una riforma della giustizia che investa anche la magistratura e che la trasformi, la renda più professionale, più preparata, più vicina ai cittadini e che li garantisca maggiormente per quanto riguarda i concetti, questi sì fondamentali, della terzietà e dell'imparzialità.
Speriamo di poterne discutere, di trovare anche nell'aspetto più delicato e fondamentale un punto di incontro e non faremo mancare - come abbiamo fatto anche quando eravamo nella maggioranza, nonostante i toni aspri, tante volte ingiustificati e immotivati se non dall'ideologia, dal dover pagare il dazio a qualcuno - la nostra collaborazione.
Restiamo però scettici circa la possibilità di andare effettivamente in questa direzione, perché purtroppo, quando si parla di riforma della giustizia, quando si toccano riforme che riguardano la magistratura, le resistenze sono tante. In questi cinque anni lo abbiamo visto e non pensiamo che in pochi mesi vi possano essere dei cambiamenti o degli atteggiamenti diversi da parte di chi, appunto, invece di accettare serenamente e costruttivamente il dibattito, presentando anche delle proposte al Parlamento, minaccia lo sciopero o atteggiamenti che possono essere addirittura considerati molto simili, quando provengono da un potere dello Stato, ad atteggiamenti eversivi.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Pisicchio. Ne ha facoltà.
PINO PISICCHIO. Onorevole Presidente, onorevoli colleghi, rappresentante del Governo, io non so quale reale percezione abbia la pubblica opinione più larga delle tecnicalità e dei meccanismi che presiedono nel nostro paese alla organizzazione della giustizia. So però che, interrogati da istituti di ricerca demoscopica sul livello di fiducia nella giustizia, gli italiani che hanno dichiarato di considerarla efficiente ed affidabile sono stati solo trenta su cento.
È forse da questo dato così poco confortante che deve partire la nostra riflessione attorno al provvedimento in esame oggi, cercando nella misura possibile di mettere la giusta distanza tra il soppesamento dei problemi evocati dalla riforma dell'ordinamento giudiziario realizzata nella passata legislatura e le pregiudizialità ideologiche legate alla militanza di ognuno di noi in un'area o nell'altra della dialettica parlamentare, perché la giustizia, è stato ricordato, non è materia riducibile a visioni politiche di parte: la giustizia è la regola del gioco, cui siamo obbligati tutti. La regola che misura la nostra libertà, la nostra eguaglianza, il nostro tasso di civiltà nel consorzio delle nazioni; un consorzio che prende anche forme istituzionali cui ci obblighiamo come nazione e come Stato e che ci mette in mora per inadempimenti di ormai antica data.
È di questi giorni l'ennesimo forte richiamo del Consiglio d'Europa al sistema giustizia italiano per le sue gravi carenze strutturali e per l'interminabile lentezza del suo processo, lentezza che mette in discussione la ragione stessa della funzione giurisdizionale. Qual è infatti il compito della giustizia, se non quello di risolvere le controversie secondo la legge con modi e tempi adeguati? Se la giustizia è lenta, anche la sua più perfetta esecuzione finirà con l'essere un atto inadeguato o, addirittura, iniquo. È dunque da queste concretissime situazioni che dovrà prendere le mosse la nostra riflessione sull'ordinamentoPag. 41giudiziario e sulle sue linee di riforma.
Nel corso dell'appassionato e civilissimo dibattito che abbiamo tenuto in Commissione giustizia, confortato da una serie di audizioni con i soggetti esponenziali dell'ordinamento giudiziario - dibattito per cui desidero quest'oggi esprimere la mia gratitudine ai colleghi parlamentari di opposizione e di maggioranza, perché hanno saputo animarlo con competenza, pacatezza e profondità di argomentazioni -, io ho scelto di evitare interventi di merito. Non è stata soltanto una scelta di ossequio al mio ruolo istituzionale e di garanzia, cui non intenderò mai venir meno nel corso del mandato che mi è stato affidato, ma anche l'esito del convincimento che per questa delicatissima e fondamentale materia occorra ricercare un metodo nuovo di confronto che includa anche altri interlocutori.
Vorrei dire ai miei colleghi dell'odierna opposizione - e lo faccio con grande serenità - che io non appartengo alla categoria dei politici che ritengono doveroso onorare il proprio ruolo nella maggioranza contestando l'azione dell'opposizione «a prescindere», e viceversa. La riforma dell'ordinamento giudiziario varata nella passata legislatura conteneva, a misura della mia sensibilità politica, momenti innovativi interessanti. Penso, in particolare, ai profili legati alla formazione dei magistrati, all'individuazione di una responsabilità certa in sede gerarchica, ad una separazione delle funzioni: profili su cui sarebbe stato possibile trovare disponibilità dialogica.
Ma quella riforma aveva un vizio d'origine: era stata l'esito di una prova muscolare di una maggioranza parlamentare numericamente importante inaudita altera parte. I numeri fecero premio su tutto, generando anche la percezione, nel paese, che la riforma fosse stata allestita «contro» e non «per». Io credo che questo fatto genetico, assai più delle prove di insufficienza offerte da alcuni decreti attuativi della riforma, debba rappresentare, oggi, la ragione di un ripensamento, di una presa di distanza dalla logica della maggioranza numerica, per ripristinare un itinerario di lavoro capace di collocare al centro la logica del lavoro condiviso: colleghi, nella democrazia parlamentare si deve certamente giungere al confronto tra maggioranza ed opposizioni, ma all'interno di un processo dialettico che porta una parte a cedere qualcosa all'altra nello spirito della continuità della legislazione. Sbagliato è, invece, brandire il processo legislativo come effetto e pertinenza della lotta politica, dell'affermazione muscolare di una parte sull'altra, della diade guerresca amico-nemico.
Le leggi sono lo strumento delicato di regolazione della nostra convivenza civile; e lo sono particolarmente quelle che vanno a normare l'esercizio di poteri costituzionali come quello giurisdizionale. Credo che i colleghi del Senato abbiano avuto ben presente questa verità quando hanno scelto di convergere, a larghissima maggioranza, sul testo del disegno di legge governativo sottoposto al nostro esame, accettando un metodo di lavoro che torna a riconoscere, dopo anni di esperienza declinante, il Parlamento come protagonista dell'esperienza legislativa, troppo spesso sottratta a vantaggio dell'Esecutivo.
Il nuovo contenuto dell'ordinamento giudiziario, dunque, dopo l'approvazione del provvedimento in esame, sarà tutto da scrivere; ma dovrà essere scritto insieme e prevedere la partecipazione, al tavolo della progettazione, di tutti i soggetti coinvolti nella giurisdizione: insieme ai legislatori, dunque, i magistrati - certamente -, ma anche gli avvocati, protagonisti, con i magistrati, della dialettica processuale. Penso ad una costituente per la giustizia in cui tutte le parti in causa possano concorrere, con spirito aperto, a scrivere il nuovo orizzonte dell'ordinamento giudiziario, ad una costituente che vincoli il Parlamento agli esiti del suo lavoro di progettazione e chiuda così, una volta per tutte, la stagione dei conflitti tra potere politico e potere magistratuale.
Si potranno discutere i modi della rappresentanza nella costituente per la giustizia, ma ferma dovrà essere la sua missione: redigere, in sei mesi di lavoro,Pag. 42una proposta organica e condivisa per la riforma della giustizia italiana: una giustizia che deve recuperare consenso presso i cittadini, almeno fino alla conquista dell'obiettivo dichiarato da una celebre massima di La Rochefoucauld: «Nella maggior parte degli uomini, l'amore della giustizia non è altro che il timore di patire l'ingiustizia». Può apparire un obiettivo piccolo, ma, in realtà, è quella spinta che tiene in equilibrio la civiltà del diritto (Applausi - Congratulazioni).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Buemi. Ne ha facoltà.
ENRICO BUEMI. Signor Presidente, colleghi, onorevole sottosegretario, il gruppo de La Rosa nel Pugno non ha ancora deciso quale posizione assumerà sul provvedimento in esame. Ci riserviamo di farlo in relazione al prosieguo del dibattito parlamentare ed alle posizioni che verranno assunte sugli emendamenti. Sentiamo certamente il richiamo del vincolo di maggioranza, ma abbiamo difficoltà a comprendere certe forzature dettate da scadenze temporali che non riteniamo così pressanti, e che invece consideriamo derivanti da interessi particolari.
Ci chiediamo per quale ragione non si riesca ad uscire dallo schema per cui quando si è in maggioranza quello che si fa è tutto giusto, mentre quando si è all'opposizione ciò che fa la maggioranza è tutto sbagliato. Ci chiediamo, in particolare, per quale motivo non si mantenga una coerenza di comportamento pur a fronte del mutamento dei ruoli.
Collega presidente Pisicchio, al Senato la dialettica sviluppatasi su questo argomento, e quindi la capacità di trovare con fatica, ma anche con effetti positivi, la sintesi, derivano dalla criticità del risultato elettorale e, dunque, dal sostanziale equilibrio delle rappresentanze parlamentari. Non riscontro, in effetti, un cambiamento sostanziale fra la maggioranza di allora e quella di oggi e ciò mi duole particolarmente, perché mi sento appartenente fino in fondo all'attuale maggioranza di centrosinistra. Non vediamo però atteggiamenti di confronto reale.
Non possiamo accettare, e la Camera non deve farlo, l'obbligo di approvare un provvedimento così importante senza introdurre quelle modifiche tendenti a rimuovere incongruenze evidenti. Non possiamo condividere - lo dico al collega relatore Palomba - il principio per cui anche se la norma scritta prevede alcune cose, qualcun altro poi, nella fattispecie la Cassazione, le interpreterà in maniera coerente: in questa materia la forma è sostanza.
Siamo rammaricati perché si perde un'occasione importante per modificare una legge fondamentale per molti versi sbagliata, ma per altri, seppure timidamente, innovativa di un processo di riforma che da anni attende di essere compiuto, una riforma che deve vedere in primo luogo l'attuazione dei principi costituzionali. Stupisce, quindi la decisione di sospendere l'efficacia della legge in vigore senza introdurre cambiamenti, senza portare avanti quel processo modernizzatore del nostro sistema istituzionale che vede come punto di riferimento fondamentale la nostra Costituzione e, nella fattispecie, la piena attuazione dell'articolo 111.
Si tratta di garantire la realizzazione di un'effettiva terzietà del giudice rispetto a controparti con la stessa posizione nonché il distacco dal giudice dell'accusa e della difesa, evitando di continuare a permanere in una posizione di equivoco, quale è quella che si realizza con la sospensione di quella timida riforma rappresentata dall'introduzione della separazione delle funzioni.
Ci chiediamo perché leggi criminogene, gravi, foriere di fatti di particolare negatività, quale è, ad esempio, la Bossi-Fini, oggi rimangano in vigore e nulla si stia facendo per cambiarle e invece si sia avvertita l'urgenza di far discutere il Parlamento su una legge che aveva certamente scadenze di applicazione, ma la cui realizzazione in termini di cambiamenti organizzativi si va a distribuire nel tempo.
Non pensiamo che si possa agire in questa maniera. Vi sono alcune urgenze derivanti non dalla capacità di lobby o deiPag. 43poteri forti di condizionare il Parlamento, ma dalla necessità generale del nostro paese di apportare delle modifiche, perché in queste leggi vi è una profonda ingiustizia.
Ribadisco la nostra titubanza, la nostra incertezza ad accettare un'impostazione che vede il rinvio di provvedimenti importanti e l'introduzione di cambiamenti sostanziali ed accetta storture tecniche delle quali francamente anche i non esperti si rendono conto.
Non è accettabile che nel provvedimento riguardante l'ordinamento giudiziario vi siano affermazioni così contraddittorie e che un organo - nel caso specifico, le sezioni riunite civili della Cassazione - giudichi i ricorsi sugli illeciti dei magistrati con il rito della procedura penale. Qualsiasi studente comprenderebbe l'incoerenza di questa affermazione. E se errore vi è stato, vi è la necessità della correzione; ma se errore non vi è stato, la situazione è ancora più grave, perché vuol dire che c'è malafede.
Esprimiamo quindi le nostre incertezze e richiamiamo l'attenzione dei colleghi, sia della maggioranza sia dell'opposizione, sulla possibilità di introdurre ancora alcune modifiche. Richiamiamo l'attenzione del Governo sulla necessità di dare comunque attuazione a quelle parti della riforma che sono urgenti. Al riguardo, ribadisco quanto ho già detto in Commissione, ossia l'esigenza di dare un rapido «via libera» alla scuola di formazione per i magistrati. Credo che su questo argomento non vi siano differenze di valutazione; quindi, la necessità di procedere rapidamente è evidente, come è evidente quella di innovare il sistema dei concorsi, che è caratterizzato da lungaggini e che da tempo non produce risultati, creando carenze di organici ormai inaccettabili.
Potevamo dedicare il nostro tempo alle modifiche di alcune leggi fondamentali, certamente della legge Bossi-Fini, ma anche della riforma del codice penale che aspetta ormai da tempo e che, se non realizzata rapidamente, produrrà ulteriori problematiche che abbiamo cercato di affrontare con un provvedimento limitato, quale quello dell'indulto, ma che certamente necessita di ulteriori atti di assunzione di responsabilità.
Pensiamo che il provvedimento concernente l'indulto avrebbe dovuto essere accompagnato dall'amnistia, perché, in questo momento, nel nostro paese vi è un'amnistia per alcuni ma non per tutti; in particolare, vi sono 170 mila casi all'anno di amnistia surrettizia che deriva dalla scadenza dei termini di prescrizione. Noi pensiamo che se provvedimento di clemenza deve essere, esso debba derivare da una scelta esplicita del Parlamento che ha il potere di farlo.
Siamo altrettanto convinti che ci si debba muovere rapidamente per affrontare la questione dell'obbligatorietà dell'azione penale, ormai aperta sul tavolo del confronto. Mi chiedo - e lo chiedo anche ai colleghi che l'hanno citato come esempio - quale rapporto ci sia tra le direttive impartite dal tribunale di Milano in materia di selezione dei processi e il principio costituzionale della obbligatorietà dell'azione penale. È una contraddizione che ormai sta nelle cose e che deve essere affrontata esplicitamente, senza riserve, dal legislatore, dando indicazioni precise con riferimento ai comportamenti dei magistrati.
Sono queste le ragioni per le quali noi manteniamo forti riserve sull'opportunità di questo provvedimento, che non innova ma sospende, anche per le modalità con cui si affrontano alcuni punti su cui si sono realizzate le convergenze al Senato. Ripeto: non ci pare che vi sia una particolare urgenza per approvare questo provvedimento. Vi poteva essere tutto il tempo per apportare le modifiche tecniche che sono evidenti nella loro necessità, a causa delle incongruenze che il disegno di legge presenta al suo interno. In tal modo, avremmo potuto dare anche una lezione all'attuale opposizione, allora maggioranza, su come si affrontano questioni di tale rilevanza.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Vitali. Ne ha facoltà.
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LUIGI VITALI. Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, onorevoli colleghi, vorrei partire dalle conclusioni cui è pervenuto il presidente Pisicchio, il quale ha svolto un intervento molto preciso, ma al quale probabilmente è mancato il coraggio di spingersi fino in fondo nelle valutazioni che - credo - in questa sede dobbiamo esprimere.
Se oggi soltanto tre persone su dieci, nel paese, si ritengono soddisfatte dal sistema giustizia, vi sarà probabilmente un motivo; quest'ultimo, a mio avviso, non può essere attribuito ad istituzioni diverse da quelle dell'ordine dei magistrati. Mi risulta difficile pensare che l'insoddisfazione degli italiani, dei cittadini e degli utenti, di fronte al servizio giustizia, che è esercitato in nome del popolo italiano dai magistrati, possa essere attribuita al Parlamento, al Governo o ad altre istituzioni e mi dispiace - mi rammarico che non sia presente, ma leggerà sicuramente le mie considerazioni nel resoconto stenografico - che il presidente Pisicchio attribuisca questa scarsa considerazione nei confronti dei magistrati alla riforma dell'ordinamento giudiziario che, nella scorsa legislatura, è stata varata dalla maggioranza di centrodestra. Secondo l'opinione del presidente Pisicchio, si tratta di una riforma che va letta come riforma «contro» e non come riforma «a favore», di una riforma realizzata - cito testualmente - inaudita altera parte. Non è assolutamente così!
Credo che la scarsa fiducia e l'insoddisfazione nei confronti dell'ordine giudiziario da parte degli italiani sia dovuta ad una considerazione di fondo, che è la seguente. Perché i magistrati, che pure hanno il diritto di difendere le loro posizioni, che hanno diritto di poterle manifestare, che hanno il diritto di poter e dover interloquire, anzitutto con il Parlamento, deputato ad emanare le leggi, si sono attardati, in maniera esagerata, nella difesa di situazioni corporative, conducendo una battaglia di religione contro una riforma che era fatta nel loro interesse, per la loro credibilità, anziché lavorare di più per dare una risposta più rapida alle aspettative di giustizia degli italiani? Non è assolutamente vero che questa riforma, che viene cancellata con un colpo di maggioranza - sì, cancellata, perché il decreto legislativo è il cuore della riforma Castelli - sia stata fatta senza aver coinvolto soprattutto i magistrati! Non è vero che questa riforma sia stata fatta inaudita altera parte, se è vero, come è vero, che il Parlamento e la maggioranza della scorsa legislatura hanno impiegato non tre settimane, ma tre anni e mezzo e che ci sono voluti sette passaggi parlamentari, tra Camera e Senato!
Questi elementi sono dimostrativi di tutt'altro che di una volontà persecutoria o finalizzata a licenziare una riforma importante in poco tempo e senza il concorso della parte alla quale la stessa soprattutto si rivolgeva, ossia i magistrati.
Mi auguro che vi possano essere le condizioni per costituire un tavolo di discussione della riforma della giustizia, iniziativa alla quale faceva riferimento il presidente Pisicchio; ma se il buongiorno si vede dal mattino, io credo che non ve ne saranno le condizioni, e non per colpa dell'attuale opposizione. Quest'ultima non si è chiusa a riccio su una riforma che è stata studiata, approfondita, modificata, cambiata, votata, rivotata, corretta e ricorretta, e lo abbiamo dimostrato al Senato della Repubblica, dove avremmo potuto «restituire» lo stesso atteggiamento con cui siamo stati pagati nella scorsa legislatura dall'attuale la maggioranza. Tuttavia, abbiamo preferito aprirci ad un confronto per cercare di migliorare il testo: siamo convinti che ogni riforma, ogni legge, soprattutto nel momento in cui viene applicata, possa essere migliorata.
Ebbene, noi non abbiamo detto «no» a tutti i costi, affermando la nostra volontà di far entrare in vigore la riforma così com'è, ma abbiamo invece offerto disponibilità concreta a modificare quelle parti della riforma che, a nostro avviso, potevano essere modificate, avendo attentamente valutato le osservazioni che ci venivano rappresentate. Tuttavia, non si può invocare l'apertura di un tavolo sulle riforme importanti di questo paese - e laPag. 45giustizia è una riforma importante che attende questo paese - quando con un atto non di arbitrio, ma di prepotenza politica, si cancella un decreto legislativo il quale, come ho detto prima, è il cuore di questa riforma. È un decreto che non viene aperto a modifiche, ma congelato e sospeso, ed a cui viene impedito di entrare in vigore.
Allora non vi è la volontà di ragionare sulla giustizia, ammesso che questa volontà sia mancata nella scorsa legislatura, e non è mancata. Dopo tre anni e mezzo, era dovere di un Parlamento e di una maggioranza portare a termine, anche nel settore della giustizia, un percorso riformatore: trentasei riforme elaborate e messe a segno dal Governo di centrodestra.
Il primo disegno di legge sulla giustizia di questo Governo prevede il blocco e la cancellazione di una riforma del centrodestra: e poi si vuole gridare allo scandalo quando si assumono atteggiamenti parlamentari consequenziali! Ritenevamo e riteniamo - e non vorrei che il richiamo all'atteggiamento di collaborazione del centrodestra al Senato induca a ritenere che qui alla Camera sia cambiato l'atteggiamento dell'opposizione - di votare contro questo disegno di legge, così come il centrodestra ha fatto al Senato. Eppure, il centrodestra non si è sottratto alla possibilità di votare a favore di quelle modifiche che erano condivisibili e plausibili. Allora c'è qualcosa che non riusciamo a spiegarci. Diceva qualcuno che a pensare male si fa peccato, ma molte volte si indovina. Io non so attribuire la fretta a tutti costi della maggioranza e del Governo di votare questo disegno di legge: non vi è un danno grave ed irreparabile o una situazione emergenziale che si creerebbe se non venisse approvato. Vi è qualcos'altro che probabilmente emergerà nelle settimane e nei mesi a venire.
Il Governo e la maggioranza vogliono apparire, in ordine a questo problema, come coloro che intendono ascoltare e far partecipare; tuttavia, non è possibile che tale disponibilità venga manifestata solamente in occasione della discussione sulla riforma dell'ordinamento giudiziario, quando prima con il cosiddetto decreto Bersani, e successivamente con la manovra finanziaria, sono state duramente colpite altre categorie di professionisti, senza che nessun esponente dello stesso Governo o della maggioranza abbia avvertito la necessità (io dico il dovere) di concertare, di colloquiare, di invitare, di partecipare e di confrontarsi con i soggetti interessati!
Questo sistema è stato utilizzato soltanto per favorire i magistrati! Si tratta di un'istituzione verso quale nutriamo rispetto e considerazione, ma vorrei ricordare che nella passata legislatura abbiamo approvato la riforma dell'ordinamento giudiziario quando abbiamo percepito, in maniera chiara ed inequivocabile, che i rappresentanti dell'Associazione nazionale magistrati non proponevano un miglioramento, ma volevano «fare melina» per costringere l'allora maggioranza parlamentare a non deliberare un intervento riformatore in un settore che aspettava un adeguamento da sessant'anni!
Quando abbiamo presentato pochissime proposte emendative per correggere alcune distorsioni che la fretta spesso produce, ci siamo sentiti rispondere «no»! Vorrei rilevare che il Comitato per la legislazione è un organismo della Camera ed è retto da una maggioranza simile a quella che predomina in Parlamento. Ebbene, anche il relatore del parere del Comitato sul provvedimento in esame, un autorevole esponente di questa maggioranza, ci ha invitato a prestare attenzione, poiché il Senato ha commesso un errore gravissimo (cui, peraltro, ha fatto riferimento il collega Buemi, ed in tal senso abbiamo presentato un emendamento specifico). Infatti, è stata attribuita alle sezioni unite della Corte di cassazione la competenza a decidere sui procedimenti disciplinari, tuttavia si è stabilito che le stesse sezioni unite utilizzino il codice di procedura penale.
È evidente - nonostante i ragionamenti dotti ed interessanti, ma improbabili, addotti in Commissione giustizia - che si tratta di un errore, e ad un errore si deve porre rimedio attraverso l'approvazione diPag. 46un emendamento, senza ricorrere ad una interpretazione estensiva. Inoltre, non si può esporre il sistema derivante dall'approvazione del provvedimento in esame al rischio della paralisi o della irrazionalità.
Pertanto, quando anche di fronte ad un errore materiale, concreto e reale - indicato, come dicevo, da un organismo del Parlamento retto da una maggioranza di centrosinistra, nonché da un relatore che è un esponente della stessa maggioranza - ci viene risposto che si procederà lo stesso, allora c'è qualcosa che non quadra! Non sappiamo per quali motivi si stia pagando un prezzo, tuttavia abbiamo il diritto di denunciarlo all'opinione pubblica! Non so, infatti, se l'approvazione del provvedimento in esame servirà a far innalzare la considerazione che i cittadini nutrono nei confronti della giustizia o dei magistrati, oppure se farà precipitare ancora di più il consenso e la stima verso tale istituzione.
Voi state intervenendo a colpi di maggioranza: altro che tre anni e mezzo di discussione, come quella che noi abbiamo svolto nella scorsa legislatura! Ricordo che abbiamo cambiato ben tre volte l'impalcatura della legge che volete riformare, modificando le disposizioni ritenute più fastidiose dai settori associati della magistratura e facendo addirittura un passo indietro rispetto ad un principio che, in uno Stato democratico e di diritto, riteniamo sacrosanto.
Mi riferisco alla separazione delle carriere, che non rappresenta un'indecenza o una minaccia per nessuno, se è vero come è vero che nei paesi più democratici di stampo occidentale essa è ormai acquisita da decenni e che autorevoli esponenti del mondo della magistratura non hanno gridato allo scandalo quando si è iniziato a discutere di tale principio!
Ebbene, ricordo che abbiamo abdicato al principio della separazione delle carriere, ma non abbiamo potuto rinunciare a quel minimo di trasparenza e di equilibrio tra accusa e difesa che può essere garantito dalla separazione delle funzioni. Vorrei proprio vedere come gli esponenti del centrosinistra potranno reclamare l'adempimento del contratto elettorale che è stato sottoscritto! Già oggi, infatti, si può osservare cosa sta accadendo a margine della discussione sul disegno di legge finanziaria, un provvedimento che condurrà questo paese non verso la ripresa, ma alla tomba!
Già stiamo verificando - lo state verificando anche voi - che il consenso nei confronti del Governo è precipitato. Certo, chi decide e chi si assume delle responsabilità sicuramente non è molto gradito all'opinione pubblica, ma mai si era verificata una simile caduta verticale del consenso e della credibilità di un Governo, ben maggiore della più pessimistica previsione dei più illuminati esponenti del centrosinistra.
Allora, avete già tradito le aspettative dei vostri elettori. Siete già venuti meno alle promesse e agli impegni che avevate assunto. Lo farete anche rispetto alla giustizia, perché, in quel prolisso programma che avete sottoscritto e che vi ha portato alle elezioni, c'è una parte, alle pagine 50 e 51, in cui ci si sofferma anche sulle riforme necessarie per la giustizia, in cui parlate di separazione delle funzioni.
Oggi, sospendendo l'entrata in vigore del decreto legislativo n. 160 del 2006, non soltanto mettete una pietra tombale sulla separazione delle carriere, ma impedite anche il minimum, ossia la separazione delle funzioni. Per accontentare pochi interessati - l'essere interessato ad una riforma è assolutamente legittimo, ma non è legittimo che pochi possano condizionare molti, che pochi possano condizionare il Parlamento, che pochi possano condizionare una maggioranza e che pochi possano condizionare un Governo! -, vi state assumendo una grande e grave responsabilità nei confronti del paese, dei vostri elettori e dei vostri sostenitori.
Infatti, dal giorno successivo al vostro insediamento, state utilizzando la politica dei due pesi e delle due misure: nei confronti di alcuni vi perdete e vi attardate in riunioni ed incontri, mentre per altri agite e andate avanti come un treno che non si ferma in nessuna stazione intermedia.Pag. 47
Non è in questa maniera che si governa il paese. Non è in questa maniera che si fanno le riforme. Soprattutto, non è in questa maniera che si cerca di costruire le condizioni necessarie ad una partecipazione legittima anche dell'opposizione al momento innovatore e riformatore. Si tratta di una opposizione che rappresenta, nella peggiore delle ipotesi, quanto meno la metà esatta del paese.
Voi non soltanto avete fatto piazza pulita di tutte le cariche istituzionali, rappresentando soltanto la metà del paese, ma vi accingete anche a portare avanti un discorso ed un percorso di riforme con numeri che peraltro non avete, che più volte vi hanno fatto vacillare al Senato e che rappresenteranno l'anticamera della caduta di questa coalizione e di questa maggioranza.
Ho voluto esprimere delle valutazioni politiche in questo intervento. Le valutazioni tecniche saranno svolte nella discussione sul complesso degli emendamenti e sui singoli emendamenti.
Avevamo presentato centinaia di emendamenti in Commissione, ma il nostro non era un atteggiamento ostruzionistico. Il presidente e gli altri rappresentanti della maggioranza ci devono dare atto che siamo intervenuti soltanto ed esclusivamente su quei pochi emendamenti che ritenevamo qualificanti per migliorare il testo, salvo poi abbandonare l'aula della Commissione quando, pervicacemente, la maggioranza (esercitando un suo diritto, ma anche assumendosi delle responsabilità), nonostante al suo interno vi siano state delle voci critiche - non voglio dire «libere», nel senso che chi parla in una maniera è libero e chi parla in un'altra maniera non lo è -, che hanno cercato di far ragionare i più sulla necessità di alcuni ritocchi assolutamente indispensabili, ha deciso di blindarsi e di andare avanti.
Di fronte a questa manifestazione, mi chiedo il senso di ogni invito del presidente e di ogni dibattito ideologico e culturale sulla stampa, sui mezzi di informazione, sulle televisioni, rispetto alla necessità di un confronto, di partecipazione e di aprire un tavolo, quando, sul primo punto qualificante, in presenza di una necessità assoluta, si viene meno ai propositi di dialogo e di confronto. È evidente che, poiché riteniamo di essere coerenti, abbiamo ritenuto di avere una dignità, non soltanto umana, ma politica.
Di fronte a quel gesto, ossia a un atto di violazione che non teneva conto del nostro atteggiamento legittimo di fronte ad un problema reale, abbiamo ritenuto opportuno togliere l'incomodo, accelerando di molto l'andamento dei lavori. Ed essi si sono conclusi, a nostro avviso, in maniera assolutamente non confacente alle aspettative, alle necessità del momento e all'argomento che stiamo trattando.
Esprimiamo quindi valutazioni politiche assolutamente negative. L'atteggiamento della maggioranza è stato assolutamente ingeneroso nei confronti di una opposizione che ha dimostrato di sapere e di voler dialogare, creando quelle condizioni di partecipazione che ci è stato impedito di realizzare nella scorsa legislatura.
Se questi sono i risultati, caro presidente Pisicchio, non credo che il futuro sarà nel senso da te auspicato. Anche io mi sarei augurato che le cose si potessero sviluppare nel senso da te indicato; tuttavia, per rispondere a un diktat esterno al Parlamento, si licenzia un obbrobrio del genere.
Vorrei concludere con una sintomatica affermazione che, probabilmente, è sfuggita durante l'audizione che si è svolta a margine dell'approvazione di questo provvedimento in Commissione giustizia. In quella sede sono intervenuti in maniera massiccia gli esponenti dell'Associazione nazionale magistrati, ai quali abbiamo rappresentato alcune incongruenze ed alcuni aspetti che non andavano bene. Ebbene, un esponente della delegazione ha affermato: ci rendiamo conto che vi sono alcune cose che non vanno, però, piuttosto che lavorare bene, vi chiediamo di lavorare subito. Ciò la dice lunga su cosa si nasconda dietro questa volontà di approvare in fretta e a tutti i costi il provvedimento in discussione. Il ministro della giustizia dovrebbe legarsi sotto palazzoPag. 48Chigi per cercare di far arrivare fondi alla giustizia, quella giustizia che è stata già «setacciata» con la cosiddetta legge Bersani, con una rapina di 350 milioni di euro in tre anni, ed è stata maggiormente martoriata con il disegno di legge finanziaria: infatti, mentre la media dei tagli ai ministeri è del 2 per cento, per il Ministero della giustizia si prevedono tagli del 6 per cento.
Il ministro Mastella, invece di fare la voce grossa, come aveva promesso, invece di adottare quelle iniziative necessarie a fare rinsavire il ministro dell'economia e delle finanze e il Presidente del Consiglio, porta avanti il suo primo provvedimento qualificante, che colpisce al cuore una delle riforme più importanti della scorsa legislatura.
Di ciò vi assumete una grande responsabilità e per questo motivo vi denunciamo all'opinione pubblica (Applausi dei deputati del gruppo Forza Italia - Congratulazioni)!
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Tenaglia. Ne ha facoltà.
LANFRANCO TENAGLIA. Signor Presidente, onorevole rappresentante del Governo, onorevoli colleghi, non voglio replicare alle tante inesattezze dette in quest'aula sul conto della magistratura italiana, ma ritengo che, rispetto ad una considerazione in particolare che ho ascoltato, sia opportuna una precisazione.
È stato detto che, durante la democrazia repubblicana, l'indipendenza e l'autonomia della magistratura in questo paese sono state meno effettive rispetto all'indipendenza di cui la magistratura ha dato prova durante il periodo fascista. Ebbene, questa è una profonda inesattezza, è una menzogna che va sottolineata.
In questo paese la magistratura ha contribuito alla crescita della democrazia, e durante il terrorismo lo ha fatto anche con il sangue; ha contribuito, attraverso l'attività interpretativa, alla crescita di nuovi diritti: l'ambiente, il lavoro, il risarcimento di nuove lesioni alla persona; ha contribuito a ristabilire nuovi limiti alla legalità lesa, soprattutto quella amministrativa. Questo è un tributo che credo vada riconosciuto alla magistratura.
Per quanto riguarda la riforma dell'ordinamento giudiziario, ritengo che tutti siamo d'accordo sul fatto che quest'ultimo vada riformato e modernizzato. Infatti, l'ordinamento giudiziario non è una legge qualsiasi: è la legge strumentale all'effettività dell'autonomia e dell'indipendenza della magistratura; è strumentale al principio di terzietà di magistrati, giudici e pubblici ministeri; è strumentale per favorire le condizioni di effettività e di efficienza della giustizia ed è strumentale alla migliore realizzazione degli obiettivi con i codici di rito.
Però questi obiettivi non possono essere messi in dubbio da affermazioni meramente apodittiche, come quella di pagare cambiali. Qui non si sta pagando nessuna cambiale, non si sta perseguendo l'interesse dell'Associazione nazionale magistrati, l'interesse degli avvocati, o l'interesse della politica. Si sta cercando di far sì che la funzione sia svolta da magistrati sempre più professionalmente preparati con correttezza ed efficacia e che la progressione nelle funzioni e la loro attribuzione sia frutto di congrue e serie valutazioni all'interno di un sistema capace di garantire autonomia ed indipendenza della magistratura, ma anche di sanzionare inefficienze ed irregolarità eventualmente commesse.
Semmai, bisogna ricordare che il condizionamento di pochi è stato la prassi nella scorsa legislatura anche in tema di ordinamento giudiziario. Non dimentichiamoci che il maxiemendamento sull'assetto delle procure è intervenuto immediatamente dopo che la Cassazione a sezioni unite aveva assunto una decisione non condivisa. Con quel maxiemendamento si cercava di porre rimedio dando al procuratore della Repubblica nuovi poteri e nuova gerarchizzazione all'interno delle procure.
Come dicevo, l'impostazione che vede le priorità nell'efficienza e nella cura dell'interesse generale è mancata nella riforma realizzata nella precedente legislatura dal centrodestra. Dunque, è necessario intervenirePag. 49per evitare i guasti che essa poteva provocare in tema di funzionamento del sistema - debbo ricordare la comunicazione del vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura - e soprattutto in tema di condizionamento della magistratura. Quando questi pericoli, grazie al confronto ed all'opera parlamentare, sono stati scongiurati da parte del centrosinistra, non c'è stata alcuna chiusura, alcun preconcetto, ma la voglia di porre rimedio ad un grave vulnus inferto al sistema costituzionale. Ciò è avvenuto al Senato sull'assetto degli uffici di procura e sul sistema della disciplina dei magistrati.
Da parte nostra, quel metodo che afferma la piena sovranità del Parlamento ed un confronto trasparente nella sede propria, attraverso il quale si è giunti a scelte condivise, ha costituito la riaffermazione della necessità di dare conformità nell'ordinamento giudiziario alla Costituzione e di garantire ai cittadini una magistratura autonoma ed indipendente. Certamente non abbiamo agito in stato di necessità, non abbiamo agito per limitare i danni, ma perché crediamo in questi principi, crediamo nella Costituzione e crediamo di dover dare ai cittadini un ordinamento giudiziario che li garantisca fino in fondo.
Sul sistema delle procure la gerarchizzazione era alla base della riforma Castelli, con tutti i poteri al procuratore della Repubblica. Con le modifiche introdotte al Senato si è passati ad un principio totalmente diverso: non più quello della gerarchizzazione, ma quello dell'unicità dell'ufficio garantito dalla direzione del capo della procura e dall'assegnazione da parte del procuratore, con facoltà di revoca motivata, dei sostituti che divengono titolari delle indagini. Così si garantirà l'omogeneità di indirizzo in tutto l'ufficio di procura, ma anche l'omogeneità di indirizzo nella gestione in tutto il territorio nazionale. I criteri che il procuratore dovrà indicare sia per l'esercizio del suo potere di assegnazione, sia per l'esercizio del potere di revoca, impediranno un ritorno al passato di cui nessuno di noi ha bisogno. Mi riferisco al ritorno al passato delle avocazioni, al ritorno al passato dei porti delle nebbie. Questo è un periodo che l'Italia ha vissuto e che non credo abbia voglia di tornare a vivere.
Il sistema disciplinare non è più improntato ad una logica punitiva ed ingiusta nei confronti dei magistrati, ma giustamente, con la tipizzazione piena delle fattispecie disciplinari, aumenta gli ambiti di responsabilità della magistratura di fronte al paese.
Sono state eliminate tutte quelle fattispecie che, per la loro genericità o per il loro richiamo alla limitazione di diritti di espressione riconosciuti dalla Costituzione, potevano costituire un vulnus e un condizionamento per la libertà interpretativa della magistratura. Allo stesso modo, la previsione di un filtro - la cui mancanza avrebbe provocato probabilmente la paralisi del sistema disciplinare e quindi l'impossibilità di esercitare fino in fondo il principio di responsabilità della magistratura di fronte al paese - consentirà alla sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura di dedicarsi alle questioni di maggior rilievo. Io che ho presieduto una delle commissioni del Consiglio superiore della magistratura, quella che curava il paradisciplinare, so quale massa di lavoro può essere costituita dalle denunce manifestamente infondate, che la riforma approvata nella precedente legislatura imponeva di considerare come le denunce fondate, le denunce serie, quelle per le quali i cittadini hanno bisogno di essere tutelati.
Con riferimento al tema disciplinare sono stati evidenziati due problemi che, nella visione del centrodestra, sarebbero insuperabili. Il primo è quello relativo alla previsione del rito penale innanzi alle sezioni unite civili. Ritengo che in questo caso non si sia in presenza di una lacuna normativa, ma di un sistema processuale che ha visto indicato il suo strumento di esercizio del potere di impugnazione e della potestà legislativa, che non dà luogo a lesioni di diritti, in quanto il principio di effettività della tutela giurisdizionale è pienamente garantito. Quindi, da questo punto di vista, vi potrà essere eventualmentePag. 50un problema interpretativo, ma certamente non vedo i problemi sollevati da tanti oratori che mi hanno preceduto. Inoltre, il Comitato per la legislazione, in questo caso, ha deciso a maggioranza dei suoi componenti - cosa abbastanza rara -, anche se il relatore non era favorevole a tale soluzione; comunque, il parere del Comitato non è vincolante. In secondo luogo, in ordine al sistema della prescrizione disciplinare, si trattava di una disposizione della quale si sentiva il bisogno; dunque non ritengo vi siano problemi da evidenziare, tanto più per la previsione del termine di dieci anni dalla commissione del fatto.
Ma non ci dobbiamo fermare a ciò. In quest'aula si è più volte richiamata la necessità di intervenire sugli ultimi due problemi rimasti aperti: quello della progressione in carriera e quello della distinzione delle funzioni.
La valutazione di professionalità dei magistrati non è un qualcosa che attiene al sistema concorsuale e con tale sistema la meritocrazia non c'entra nulla. Infatti, il sistema concorsuale non mira a valutare tutti e tutti in confronto a tutti, ma solo quelli che si sottopongono ai concorsi.
Nella riforma approvata nella scorsa legislatura, addirittura le valutazioni di professionalità dei magistrati sono passate dalle 5 attuali a 4. Quindi, non si vuole una meritocrazia in magistratura, ma un ritorno ad un sistema gerarchico che veda la Cassazione come vertice unico della giurisdizione. Noi delle toghe di ermellino non abbiamo più bisogno, perché sappiamo cosa ha significato quel sistema quando era in vigore! Il cittadino ha bisogno di un magistrato preparato in maniera omogenea, soprattutto nel primo grado, anche in considerazione del fatto che, sia nel sistema civile sia in quello penale, si vede sempre più ampio il ricorso alla decisione di primo grado immediatamente esecutiva. Dunque, il cittadino non ha bisogno di un sistema che tenda a favorire l'esodo dei migliori verso i gradi superiori. Ciò sarà consentito attraverso un sistema di valutazione di professionalità costante nel tempo - ogni quattro anni -, che soprattutto prenda in considerazione l'attività concreta, attraverso la fissazione di standard di produttività e di livelli medi attendibili di produttività.
Di ciò abbiamo bisogno, non di magistrati che lascino il proprio lavoro per dedicarsi allo studio e cercare di passare un concorso in cui dire qualcosa sul retratto successorio o sull'azione possessoria. Non avevamo necessità di questo. Lo stesso Calamandrei, nel suo libro Elogio dei giudici, disegna perfettamente quel sistema e lo rigetta come sistema della conformità e della conformazione.
In merito alla distinzione delle funzioni, ciò che prevedevate nella riforma dell'ordinamento giudiziario nella scorsa legislatura non è una separazione delle funzioni ma una separazione delle carriere, perché impone un'opzione, una volta per tutte, che rimarrà sempre nella vita del magistrato. Non è questo il sistema, perché non favorisce la necessità di acquisire da parte di tutti i magistrati la cultura non solo della giurisdizione, ma della valutazione della prova, del contraddittorio. Il cosiddetto codice del 1989 ha creato troppi danni, avvicinando eccessivamente il pubblico ministero alla cultura dell'inquisizione, della ricerca della prova. Vogliamo continuare a fare danni stabilendo definitivamente l'appiattimento del pubblico ministero su tale sistema? Serve una modalità seria di distinzione delle funzioni, che non sia solo su base territoriale. Confrontiamoci anche sull'individuazione di meccanismi ed opzioni legati all'inizio ed allo sviluppo della carriera, che rendano più effettivo il principio riconosciuto dall'articolo 111 della Costituzione.
Questa è la strada che ci impongono di seguire non solo le regole del giusto processo, non solo le regole della Costituzione, ma anche la sensibilità diffusa dell'opinione pubblica, che pretende non solo l'essere dell'imparzialità della magistratura ma anche l'apparire della stessa (Applausi dei deputati dei gruppi L'Ulivo e Italia dei Valori).
PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.
(Repliche del relatore e del Governo - A.C. 1780)
PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il relatore, deputato Palomba.
FEDERICO PALOMBA, Relatore. Signor Presidente, non svolgerò una replica, anche perché il mio pensiero è stato abbondantemente incluso nella relazione, il cui testo integrale sarà pubblicato in calce al resoconto della seduta odierna. Però devo delle risposte, soprattutto a quegli interventi che hanno fatto esplicito riferimento alla relazione ed alle opinioni del relatore.
In modo particolare, mi riferisco al collega Consolo, che ha mosso alcuni rilievi; mi ha attribuito la definizione della magistratura sullo stesso piano degli altri poteri dello Stato. Non sono io, ma è l'articolo 104 della Costituzione a definire ciò con molta nettezza, quando considera la magistratura come un ordine autonomo ed indipendente dagli altri poteri dello Stato. Ciò significa che essa è considerata un potere dello Stato alla pari degli altri. Forse, si vuole che la magistratura sia sottoposta agli altri poteri dello Stato, in modo particolare al potere politico.
È un dibattito lungo, che è stato caratterizzato anche da aspetti abbastanza dolorosi, soprattutto nella passata legislatura, quando si è compiuta una poderosa azione di delegittimazione della magistratura stessa, in nome di un preteso primato della politica, secondo cui chi vince le elezioni «sbanca» tutto e ha la possibilità persino di dicere jus al posto di chi lo deve fare secondo la Costituzione. È necessario trovare il punto giusto di caduta in merito ai corretti assetti tra poteri dello Stato.
Certamente, il corretto assetto non è quello del giustizialismo, inteso come prevalenza del potere giudiziario sugli altri poteri (nessuno, neanche la magistratura, lo vuole e lo rivendica), ma non è neanche quello di affermare la prevalenza della politica sulla giustizia. Il punto è questo: secondo la Costituzione ciascuno faccia il suo dovere senza invadere le sfere di competenza altrui.
PRESIDENTE. La prego di concludere. Complessivamente aveva quindici minuti di tempo e risultavano ancora tre minuti a disposizione.
FEDERICO PALOMBA, Relatore. In secondo luogo, mi è stato detto che avrei rivolto un monito al Capo dello Stato, quando nella mia relazione ho parlato del fatto che, proprio sulla riforma dell'ordinamento giudiziario, il precedente Capo dello Stato, che è intervenuto su pochissimi punti, ha mosso dei rilievi che poi sono stati accolti. Io ho inteso fare riferimento a questo punto per dire che la riforma era tutt'altro che perfetta, tanto che è dovuto intervenire il Capo dello Stato sotto il profilo della sua conformità alla Costituzione, e mi guardo bene dal rivolgere alcun monito all'attuale Capo dello Stato.
Vorrei trattare un ultimo punto con riferimento all'atteggiamento di alcune delle componenti politiche del centrodestra. Quando gridano alla sgrammaticatura giuridica inaccettabile contenuta nel testo del Senato e a gravi incongruenze, in realtà stanno sgridando i loro stessi colleghi di partito al Senato.
PRESIDENTE. Onorevole Palomba, mi dispiace ma dovrebbe proprio concludere.
FEDERICO PALOMBA, Relatore. Signor Presidente, un solo riferimento e concludo. L'articolo 2 è stato proposto da un parlamentare di Alleanza Nazionale ed è stato votato da tutti. Quindi, se devono prendersela con qualcuno, possono prendersela con i loro colleghi di partito.
PRESIDENTE. Ha facoltà di replicare il rappresentante del Governo.
LUIGI SCOTTI, Sottosegretario di Stato per la giustizia. Signor Presidente, intervengoPag. 52brevemente soltanto su due aspetti e prendo spunto da ciò che diceva il relatore. L'estremizzazione che si fa di certi casi o di certi esempi, tanto che si va per paradossi, mette i non addetti ai lavori - o, comunque, coloro i quali non hanno approfondito certi argomenti - di fronte ad una grave incertezza. Infatti, si è chiesto come sia possibile che un giudice civile possa applicare il codice di procedura penale: in realtà, non è così e si va per paradossi. Se guardassimo le disposizioni che disciplinano il procedimento civile e penale in Cassazione, vedremmo che sono pressoché identiche, sono fortemente analoghe. I motivi, la stesura, la firma, la procedura del ricorso sono gli stessi, tanto in udienza pubblica quanto in Camera di consiglio. La competenza da parte dei giudici delle sezioni unite è la stessa: assenza, difetto, contraddittorietà di motivazione per gli uni e per gli altri, per il codice di procedura civile e per il codice di procedura penale, come per la violazione di legge o, comunque, per la nullità della sentenza impugnata e via dicendo. Dunque, non c'è alcuno «sgorbio» processuale, nessuna grossa anomalia e, soprattutto, queste discrasie e pretese prospettate non ricadono in danno né dell'incolpato né del diritto punitivo dello Stato.
PRESIDENTE. Il seguito del dibattito è rinviato alla ripresa pomeridiana della seduta.
Sospendo la seduta, che riprenderà alle 15.
La seduta, sospesa alle 14,05 è ripresa alle 15,05.