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DICHIARAZIONE DI VOTO FINALE DEL DEPUTATO FABIO EVANGELISTI SUL DISEGNO DI LEGGE N. 1780
FABIO EVANGELISTI. Signor Presidente, onorevoli colleghi, la cosiddetta riforma Castelli dell'ordinamento giudiziario fu una delle varie leggi ad personam della scorsa legislatura. Il suo scopo era quello di intimidire una magistratura troppo intraprendente e autonoma. Il messaggio che si voleva inviare alla magistratura e al paese era questo: l'alleanza di centro-destra non teme nessuno, schiaccerà tutti e tutto ciò che si opporrà ai suoi progetti. I progetti erano quelli secessionisti (ne sa qualcosa il giudice Papalia di Verona che si era incaponito a difendere l'unità d'Italia nel procedimento delle «camicie verdi»); quelli di coprire i corrotti e i corruttori; quelli di attenuare la lotta alla mafia. Guai a voi custodi della legalità, era il messaggio.
Un messaggio, si badi, del tutto sincero e veritiero: la vecchia maggioranza non sopporta la Costituzione e le leggi. È per questo che ci appare ancora oggi ipocrita e strumentale la contrarietà dei colleghi della Lega e di una parte di Alleanza nazionale all'indulto. Solo chi crede nei valori della legalità repubblicana e nel diritto dei cittadini alla sicurezza e all'applicazione uguale della legge può criticare l'indulto, non chi a parole l'ha contestato ma nei fatti se ne è giovato e in altri passaggi legislativi vuole fortissimamente mettere la mordacchia alla magistratura.
Quella riforma fu oggetto di un rinvio alle Camere ex articolo 74 della Costituzione, rinvio per il quale la nostra gratitudine al Presidente Ciampi è profonda e duratura.
Tra i primi atti che il nuovo Governo ha voluto e dovuto assumere è questa riforma della riforma: si tratta - Presidente e colleghi - di un primo passo. Si poteva fare di più ma - come si dice spesso - il meglio talvolta è nemico del bene.
Tra le modifiche ai vari decreti delegati seguiti alla legge delega Castelli mi limiterò a citare le più importanti: l'eliminazione dell'invio a fascicolo personale delle dissonanze tra procuratore della Repubblica e sostituto; la soppressione di alcune previsioni disciplinari inutili o pericolose; la restituzione alle sezioni unite civili della decisione sulle impugnazioni dei provvedimenti disciplinari.
A questo proposito, si è svolto in Commissione un vivace dibattito sulla pretesa improprietà della nuova norma: ma come - si è domandato qualcuno - perché decidono le sezioni civili se il ricorso si propone con le forme del ricorso per Cassazione in sede penale?
A ben vedere, si potrebbe trattare di un'obiezione non riguardosa per la magistratura, giacché sarebbe come dire che i magistrati della Cassazione civile non sono professionalmente attrezzati per stabilire se un ricorso steso nelle forme penali è corretto e ammissibile o meno. Ma, più al fondo, vorrebbe dire che la sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura dovrebbe giudicare conoscendo solo di norme penali o solo civili, senza poter mischiare gli ambiti, ciò che davvero non è sostenibile.
Al collega Buemi - i cui stimoli critici sono sempre benvenuti - vorrei dire che certamente occorre una migliore distinzione tra le funzioni nella magistratura. Occorre discuterne con calma e con contezza di presupposti teorici e di prassi. Quanto spesso - onorevole Buemi - il tribunale della libertà ha annullato provvedimentiPag. 138cautelari chiesti ed ottenuti dal pubblico ministero? Potrei citarne qualche decina solo nell'ultimo mese.
E poi: i colleghi certamente sapranno che l'ordinamento in cui la separazione tra giudici e pubblici ministeri è massima è quello degli Stati Uniti. Benissimo, negli Stati Uniti i pubblici ministeri (e spesso, a livello statale, anche i giudici) sono eletti: ve la immaginate in Italia una campagna elettorale di giudici e pubblici ministeri? «Votate per me perché sarò più severo nell'applicare la legge, non concederò le attenuanti generiche!» Non credo che sia questo il modello cui pensano i fautori della separazione delle carriere. Il problema - a mio avviso - sta nella formazione dei magistrati, nel livello professionale e nel profilo complessivo dell'apparato in termini di serietà e di affidabilità. Meglio dunque un libero dibattito sui singoli processi, un reciproco ma trasparente influenzarsi tra magistrati, politica, istituzioni, stampa e opinione pubblica, nello spirito dell'articolo 21 della Costituzione. Non abbiamo bisogno di magistrati eroi, protagonisti della scena mediatica: abbiamo però necessità di magistrati preparati e indipendenti.
Il collega Buemi ha perfettamente ragione quando lamenta inerzie, coperture burocratiche e corporative nella magistratura. Sono quelle che bisogna combattere, non l'efficienza e l'indipendenza.
Ancora una volta - signor Presidente e onorevoli colleghi - il nostro auspicio è che sia questa l'occasione per avviare un serio confronto sul tema delle vittime dei reati. Noi dobbiamo abbracciare un concetto di garantismo a tutto tondo: nessuno è colpevole finché un giusto processo non l'abbia dimostrato; ma le vittime devono essere risarcite.
In questi anni le iniziative sulla giustizia in Italia sono state quasi di segno avverso alla prevenzione e alla repressione dei reati: pali, paletti, zeppe e ostacoli all'esercizio dell'azione penale e alle capacità investigative delle forze dell'ordine; riti premiali; preclusioni probatorie; e da ultimo l'indulto. In tutto questo la vittima, la sua solitudine, la sua impotenza non trovano il conforto dello Stato: vince la sfiducia e sale la voglia di farsi giustizia da sé.
In conclusione, signor Presidente, l'Italia dei valori appoggia convintamente questo disegno di legge. Auspica anche che si avvii seriamente un ragionamento sulle vittime dei reati che guardano ancora allo Stato, alla magistratura, alle forze dell'ordine per sentirsi persone sicure e libere.