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Discussione del disegno di legge: Delega al Governo per la revisione della disciplina relativa alla titolarità ed al mercato dei diritti di trasmissione, comunicazione e messa a disposizione al pubblico, in sede radiotelevisiva e su altre reti di comunicazione elettronica, degli eventi sportivi dei campionati professionistici e delle altre competizioni professionistiche organizzate a livello nazionale (A.C. 1496); e delle abbinate proposte di legge: Ciocchetti ed altri; Giancarlo Giorgetti e Caparini; Ronchi ed altri; Pescante ed altri; Del Bue (A.C. 587-711-1195-1803-1840). (ore 20)
(Discussione sulle linee generali - A.C. 1496 ed abbinate)
PRESIDENTE. Dichiaro aperta la discussione sulle linee generali.
Avverto che i presidenti dei gruppi parlamentari di Alleanza Nazionale, di Forza Italia e dell'Ulivo ne hanno chiesto l'ampliamento senza limitazioni nelle iscrizioni a parlare, ai sensi dell'articolo 83, comma 2, del regolamento.
Avverto, altresì, che la VII Commissione (Cultura) si intende autorizzata a riferire oralmente.
Il relatore, onorevole Folena, ha facoltà di svolgere la relazione.
PIETRO FOLENA, Relatore. Signor Presidente, giunge in aula il disegno di legge delega presentato dal Governo in materia di trasmissione dei campionati sportivi professionistici, a cui sono abbinate proposte di legge di iniziativa parlamentare del collega Ciocchetti dell'UDC, del collega Ronchi di Alleanza Nazionale, del collega Giorgetti della Lega Nord, del collega Del Bue della Democrazia Cristiana-Partito Socialista e del collega Pescante di Forza Italia.
Voglio ricordare che la VII Commissione sta svolgendo un'indagine conoscitiva sullo scandalo di «calciopoli» nel corso della quale si è inserito l'esame di questo disegno di legge. L'indagine riprende le conclusioni di una indagine molto positiva svolta nella precedente legislatura, le cui conclusioni rimasero tuttavia inascoltate, tanto dalle autorità di Governo del paese quanto da quelle di governo dello sport. Durante questa indagine conoscitiva intendiamo Pag. 98intervenire su due punti. Non intendiamo certamente intervenire sulle sentenze, in quanto la giustizia sportiva ha fatto il suo corso, magari in modo un po' barocco, con una quantità di gradi di giudizio che non dovrebbe fare scuola, ma che purtroppo fa parte delle stranezze del nostro paese.
Il punto che interessa noi legislatori è, da un lato, come il calcio si deve organizzare affinché non si ripetano più fenomeni come quelli che abbiamo osservato - del resto il settore del calcio in questo momento, prima con il commissariamento da parte del professor Rossi e poi con quello da parte del dottor Luca Pancalli, sta procedendo ad una sua forte riorganizzazione - e dall'altro, come il legislatore ed il Governo debbono intervenire per rimuovere le ragioni che hanno determinato la vicenda di «calciopoli».
Ebbene, nelle due indagini conoscitive, tanto quella conclusa quanto quella in corso, la questione di fondo che è emersa, devo dire in modo molto trasversale, è che la ragione delle malattie che colpiscono il calcio, ma potremmo dire anche altri sport professionistici, è lo squilibrio crescente fra alcune realtà di squadre sempre più forti e un gran numero di altre squadre, piccole realtà, sempre più deboli. Questo problema, sollevato trasversalmente, trae - secondo un'opinione molto diffusa, che io condivido - la sua origine nella decisione presa dieci anni fa di passare per le società sportive dal vecchio regime societario a società di lucro, alcune di esse poi quotate anche in borsa. A quella decisione qualche anno dopo, recependo una indicazione proveniente dalla sede comunitaria, seguì la decisione di procedere alla vendita soggettiva dei diritti del calcio, facendo venire meno una forma di riequilibrio attraverso i diritti televisivi.
Il problema che dobbiamo affrontare, quindi, non ha caratterizzato soltanto l'una o l'altra parte politica. Sia nella scorsa legislatura, quando governava il centrodestra, sia in quella precedente, quando governava il centrosinistra, è prevalsa, in modo abbastanza trasversale, un'idea semplificata in base alla quale il calcio e lo sport potevano essere governati semplicemente secondo le regole del mercato. Questa tesi è stata parzialmente contraddetta, poi, o da provvedimenti molto discutibili, come il cosiddetto «spalma debiti» della scorsa legislatura, assolutamente non liberale e non rispondente ad una situazione nella quale le società sono quotate in borsa, o da interventi assai discutibili e parziali sulla violenza negli stadi, che, a mio avviso, non hanno rimosso né le ragioni né le responsabilità che molte società hanno in vicende di questa natura.
Rimanendo al cuore della questione, l'idea che lo sport sia un mercato, che ha bisogno semplicemente di regole di mercato, cozza contro quel principio, molto antico nel nostro paese, teso ad affermare l'autonomia dello sport - bene preziosissimo -, che si è vista minacciata, nel corso di questi anni (il problema non è soltanto italiano, ma internazionale), non tanto dalla politica, dall'invadenza, dall'invasione della politica, quanto piuttosto da una logica affaristica, di mercato, di profitto, che è andata al di là di ciò che si può ragionevolmente accettare di fronte ad un bene che, come lo sport, dovrebbe essere, in quanto bene comune, meritevole di una tutela sociale, di un'attenzione sociale. Voglio dire che l'articolo 41 della Costituzione, che difende in modo sacro la libera iniziativa economica privata, incontra, nella seconda parte, un suo limite (o, meglio, un fattore di equilibrio), a fronte del fatto che esistono beni sociali, contenuti sociali da tutelare: in questi casi si giustifica, com'è scritto nella Costituzione, un intervento di tipo legislativo.
Così non è stato: tutto è stato lasciato ad una sorta di moderna legge della giungla, di legge del più forte che ha visto crescere anche fenomeni abbastanza esasperati. Ricordo il progetto del supercampionato europeo, per fortuna fallito; ricordo le vicende delle plusvalenze - scandalose - con cui molte società hanno aggiustato i loro conti, con veri e propri trucchi contabili; ricordo il progetto di quotazione dei marchi delle società con apposite società scorporate. Soprattutto, Pag. 99voglio ricordare (e credo di interpretare un sentimento non soltanto mio, espresso in modo abbastanza trasversale, in queste settimane, in Commissione) che le società quotate in borsa, in Italia, a differenza di ciò che accade in Spagna o in Gran Bretagna, hanno quotato in borsa esclusivamente il valore dei loro giocatori. Così siamo giunti al paradosso che un infortunio, o la notizia data da un medico circa le effettive caratteristiche di gravità dell'infortunio, è capace di incidere sulla quotazione in borsa di una società. Ricordo che, in altri paesi, sono quotate in borsa società che hanno grandi patrimoni immobiliari (ad esempio, la proprietà degli stadi) o tutta la gestione dei gadget e del merchandising delle società.
In questa logica, si sono formate vere e proprie società trasversali e si sono prodotti fenomeni che hanno assunto rilevanza penale (vi sono procedimenti in corso). Società di procuratori mettono insieme giocatori ed allenatori (appartenenti a squadre che, in teoria, dovrebbero essere l'una contro l'altra, affinché prevalga la migliore) i quali sentono un'appartenenza più forte di quella alla società, ai colori sociali, alla bandiera: quella alla tale o alla tal'altra società di procuratori.
Insomma, la logica del profitto, dell'affare, dell'interesse ha schiacciato la competizione, il gioco, il valore dello sport. Ciò ha a che fare anche con il doping, perché il corpo di un giocatore, alla fine, diviene una macchina che, nella logica del profitto, deve produrre al massimo e ciò conduce alla degenerazione del doping ai livelli alti, ma ha una ricaduta di esempio negativo nella società con una degenerazione del doping che si rintraccia, purtroppo, in tante palestre private. È un problema molto serio, su cui ha messo le mani la criminalità organizzata, come è stato recentemente denunciato negli stati generali della lotta alla mafia, a Roma.
I diritti televisivi incidono su tutto ciò per il 60, 65, 70 per cento nel bilancio delle società e, quindi, è evidente che una vendita soggettiva dei diritti televisivi sia in grado di accentuare lo squilibrio tra alcune società, le più forti, ed altre, più deboli.
Qualcuno, in questi giorni, ha commentato che la vendita collettiva faccia pensare al socialismo reale o al collettivismo. Non è così, non solo perché il gruppo che ha presentato per primo, nella passata legislatura, la proposta, è stato il gruppo di Alleanza Nazionale, che non può essere sospettato di simpatie per visioni di tale natura, ma vorrei aggiungere che vi sono regimi sportivi di natura privatistica, come la Lega basket americana, che hanno regole talmente rigide, al proprio interno, da costringere le società che hanno troppi giocatori bravi a venderli alle società minori.
Avevamo squadre italiane assolutamente competitive a livello internazionale anche quando la vendita non era soggettiva. Quando in questi giorni qualcuno dice che, se passerà la norma, le squadre italiane non conteranno più nulla in Europa e nel mondo, dice qualcosa di completamente privo di fondamento.
Signor Presidente, nel chiedere fin d'ora che la Presidenza autorizzi la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna di considerazioni integrative del mio intervento, una relazione scritta con alcuni dati più precisi, vorrei ora citare i dati di Germania, Francia ed Inghilterra.
In Germania, la vendita dei diritti della Bundesliga è centralizzata in capo alla Lega e le risorse sono così ripartite: il 3 per cento alla Federazione, il 77,5 per cento ai club della I Divisione, il 22,5 per cento a quelli della II Divisione. Per la I Divisione, la serie A, i proventi vengono divisi al 50 per cento in parti uguali ed il restante in base ai risultati sportivi; per la II Divisione il rapporto è di 75 a 25.
In Francia, la vendita è centralizzata, operata dalla Lega. L'87,5 per cento ai club, il 5 per cento allo Stato (cosa che, giustamente, in Italia non ci sogniamo di fare), l'1 per cento all'Associazione calciatori, il 2,5 per cento al calcio dilettantistico ed il 4 per cento al funzionamento della Lega. Per la serie A, le risorse vengono Pag. 100ripartite per metà in parti uguali e per l'altra metà in base ai risultati sportivi; per la serie B, il 91 per cento in parti uguali ed il restante 9 per cento in base alla classifica.
In Inghilterra, la vendita centralizzata porta ad una suddivisione per il 50 per cento in parti uguali, il 25 per cento in base ai passaggi televisivi ed un altro 25 per cento in base ai risultati sportivi. Questi sono i dati ufficiali dei principali altri paesi europei.
Bisogna giungere alla convinzione, che è fatta propria nel disegno di legge delega del Governo, su cui abbiamo lavorato in Commissione per inserire alcune modifiche significative, che i diritti televisivi presentano una situazione di contitolarità. Dei diritti televisivi sono titolari le singole squadre in quanto tali e quindi imprese che, giustamente, vogliono avere un introito legato alla prestazione della propria squadra, ma anche del soggetto organizzatore del campionato di calcio, senza il quale la singola squadra avrebbe un'esibizione «simpatica», ma certamente non retribuibile come quella all'interno di un campionato aperto.
Quindi, il principio della contitolarità richiama esplicitamente le conclusioni del rapporto indipendente sullo sport, coordinato dall'onorevole Arnaut, esponente portoghese audito in sede di Commissione qualche settimana fa, che spingono in maniera evidente verso ipotesi di questo tipo.
In sede di Commissione abbiamo cercato di fare un lavoro importante (nel corso del dibattito sentiremo anche gli altri colleghi) per venire incontro ad alcune esigenze presentate dall'opposizione. Si assegna alle società una quota prevalente, un'altra è attribuita in base al bacino di utenza e al merito, mentre una ulteriore va alla mutualità sportiva.
La preoccupazione che nel testo originario presentato dal Governo fossero contenuti aspetti dirigistici nei confronti del mondo dello sport aveva a mio avviso effettivamente qualche fondamento. Quindi, dopo avere ascoltato tutte le parti, abbiamo raccolto un emendamento presentato dall'onorevole Costantini, del gruppo dell'Italia dei Valori (che ringrazio), che ha raccolto in realtà un'opinione ampiamente rappresentata da tutte le opposizioni. Tale emendamento ha introdotto una norma secondo cui, sulla base di questi princìpi, le leghe ed i soggetti organizzatori dei campionati di calcio e di basket - di questi ci stiamo occupando - decideranno autonomamente la ripartizione. Se non si dovesse giungere ad una decisione definitiva, il Governo interverrà con un decreto legislativo. Credo che si tratti di una norma molto opportuna, così come l'altra che rende più flessibile la possibilità di fare offerte su piattaforme diverse, senza che vi sia un'unica acquisizione con successive compravendite di subappalti che creano obiettivamente grandissimi squilibri dal punto di vista televisivo. Abbiamo corretto tale impostazione, tenendo conto che esistono piattaforme emergenti e modificazioni tecnologiche che richiedono capacità di accompagnamento.
Nello spirito della norma e del lavoro svolto in sede di Commissione, spero che nel corso del confronto, grazie anche ad ulteriori miglioramenti che possono essere apportati dall'Assemblea, si possa offrire al paese e al mondo del calcio una prima riforma, cui dovranno seguire la revisione delle società di lucro ed altre riletture normative nell'ambito del mondo dello sport che impediscano il riprodursi di fenomeni degenerativi come quelli avvenuti con «calciopoli» (Applausi dei deputati dei gruppi Rifondazione Comunista-Sinistra Europea e L'Ulivo).
PRESIDENTE. Presidente Folena, la Presidenza consente, sulla base dei criteri costantemente seguiti, la pubblicazione in calce al resoconto della seduta odierna del testo di considerazioni integrative della sua relazione.
Ha facoltà di parlare il rappresentante del Governo, ministro Gentiloni Silveri.
PAOLO GENTILONI SILVERI, Ministro delle comunicazioni. Il Governo si riserva di intervenire in sede di replica.
Pag. 101PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Bono. Ne ha facoltà.
NICOLA BONO. Signor Presidente, onorevoli colleghi, dall'intervento del relatore di maggioranza, che ha illustrato nel merito una serie di aspetti rilevanti della normativa, potrei esprimere a nome del gruppo di Alleanza Nazionale una sostanziale condivisione dell'impostazione, perfino riguardo all'enfasi posta su alcuni aspetti particolari. Mi riferisco soprattutto alla questione del fine di lucro, che ha visto il gruppo di Alleanza Nazionale in sede di Commissione (e credo che tale atteggiamento si ripeterà in aula) protagonista di una battaglia, purtroppo finora solitaria. Essa infatti non è risultata condivisa neppure da chi, come il presidente Folena, si è «snodato» in maniera intelligente e condivisibile sul tema della non compatibilità, per ragioni di correttezza del sistema, del mantenimento di norme che assicurano il fine di lucro alle società sportive.
Finalmente si potrebbe dire che il Parlamento riesce ad affrontare una normativa in maniera unitaria. Finalmente si potrebbe dire che esiste un argomento su cui centrodestra e centrosinistra si trovano d'accordo in larga misura per individuare le soluzioni del problema.
Credo che su questo abbia influito l'indagine conoscitiva avviata dalla VII Commissione all'inizio della legislatura che, come veniva ricordato dal relatore di maggioranza, ha visto approfondire e analizzare tutta una serie di problematiche attinenti al motivo per cui tali vicende di diffuso scandalo e corruzione nel mondo del calcio abbiano potuto allignare e i correttivi da introdurre nella normativa nazionale.
Purtroppo, però, così non è: l'intesa che nel merito si poteva delineare, e che su alcuni aspetti potrete riscontrare essersi verificata, si è a tutti i costi voluta frenare con un atteggiamento arrogante, che non ho alcuna difficoltà a definire di «prepotenza pura», da parte del Governo nel volere introdurre un elemento perturbatore all'interno di questa vicenda che vede l'elaborazione di una nuova normativa volta a disciplinare il mercato dei diritti delle società sportive da commercializzare negli strumenti audiovisivi: mi riferisco alla delega in una materia che ci divide sul tema del metodo. Non è un fatto neutrale procedere con una normativa voluta, proposta e votata dal Parlamento rispetto ad un'altra imposta con una logica diversa e di pura prepotenza da parte dell'esecutivo.
Ci siamo opposti in Commissione e ribadiamo in Assemblea la nostra ferma opposizione alla delega richiesta dal Governo, ritenendola ingiustificata per almeno tre motivi: innanzi tutto perché si tratta - in questo più che in altri casi (la delega è sempre traumatica, ma lo è ancora di più in questa vicenda) - di un esproprio del diritto del Parlamento di proporre iniziative in una materia su cui, fino al momento in cui il Governo ha richiesto la delega, erano state assunte solo iniziative di natura parlamentare.
Chi ha impedito al Governo di adottare un disegno di legge sulla materia che disciplinasse la questione? Nessuno. Nella passata legislatura - stavo per dire l'anno scorso, per una coincidenza anche temporale - Alleanza Nazionale aveva proposto di intervenire con una modifica sostanziale, ancora prima dello scandalo e della vicenda che hanno poi interessato anche l'autorità giudiziaria, oltre alla nostra indagine conoscitiva, relativamente al modo in cui si gestiscono i diritti televisivi delle società sportive, e cioè con una proposta di legge avente come primo firmatario l'onorevole Andrea Ronchi, che aveva posto la questione in termini precisi e puntuali.
Vi era stato addirittura da parte della Camera un interessamento, si era parlato di dare una corsia preferenziale in sede legislativa a tale norma: i fatti della politica e l'esaurimento della legislatura non lo consentirono.
Quindi, ci troviamo all'interno di una materia che ha registrato una iniziativa - a seguire quella di Alleanza Nazionale ovviamente riproposta in questa legislatura - di tutti i gruppi parlamentari che hanno avanzato proposte in tal senso.Pag. 102
Dov'è quindi l'esigenza della delega, che il Governo ha avvertito, se non quella di voler mettere il «cappello», se non quella di volersi attribuire il merito, se non quella di voler determinare una condizione, appunto, di prevaricazione e di arrogante volontà di imporre una propria linea, su una materia condivisa nel merito e che era già matura sul piano dell'impostazione legislativa? Non voglio qui sottolineare tale aspetto, ma non posso non dire che questo atteggiamento del Governo è stato vissuto con difficoltà anche da ampi settori della maggioranza.
In Commissione all'inizio mi era parso di vedere la volontà, da parte dei rappresentanti della maggioranza, di non assecondare l'iniziativa del Governo. Purtroppo, saranno prevalse ragioni diverse e così ci ritroviamo oggi con una norma che segue la logica della delega, logica che io ritengo offensiva nei confronti di chi in questo Parlamento aveva individuato per tempo un obiettivo e un'esigenza e ne aveva proposto correttamente una soluzione e che oggi viene mortificato, perché non è la stessa cosa discutere di una legge delega oppure di una legge vera e propria da votare in Parlamento.
Il secondo motivo per il quale ci siamo opposti a questo disegno di legge è che esso allunga enormemente i tempi di approvazione della normativa. Qui infatti siamo all'assurdo! La delega si chiede normalmente nelle materie che presuppongono una «gestazione» del provvedimento legislativo che rischia di creare nocumento all'obiettivo che si vuole raggiungere. Nel caso di specie, noi siamo all'assurdo perché, nonostante ci fosse un argomento largamente condiviso da tutti i gruppi parlamentari, si è deciso di ricorrere ad una delega, che poi allungherà i tempi di approvazione di questa normativa di almeno otto mesi-un anno. Il tempo per approvare una legge delega è uguale a quello che avremmo impiegato per approvare una legge normale. Invece, approvando una legge delega, non avremo una legge operativa, bensì una legge che dovrà poi essere attuata attraverso i decreti legislativi. Dunque saranno necessari i canonici sei mesi per l'elaborazione da parte del Governo dei decreti legislativi, che verranno esaminati dagli organi istituzionali che devono esprimere i relativi pareri e che poi torneranno in Parlamento per l'espressione del previsto parere; si badi, non per gli emendamenti, ma per il previsto parere. Poi finalmente avremo la promulgazione dei decreti legislativi. Che bisogno c'era di allungare di un anno i termini di approvazione di una normativa condivisa? Ecco perché riteniamo assolutamente gratuito il comportamento adottato sinora.
Il terzo motivo della nostra opposizione - ne ho accennato mentre parlavo del primo - è che con questo provvedimento si introduce un elemento di forzatura all'interno di una normativa che era sostanzialmente condivisa.
Noi di Alleanza Nazionale ci siamo mossi sin dall'inizio con l'obiettivo di destrutturare la delega, cercando di convincere le forze di maggioranza e il Parlamento che questa delega non è assolutamente necessaria, ma che anzi costituisce un impedimento, un tappo, che viene posto nella norma per quanto riguarda la sua corretta applicazione. Destrutturare la delega significa fare come ha fatto Alleanza Nazionale, avanzare cioè una serie di proposte emendative, ma essenzialmente e fondamentalmente una, che sostituisce integralmente l'articolo 1 e che pone in termini di gestione immediata le norme di legge che con la proposta del Governo invece vengono rinviate a momenti successivi, cioè all'approvazione di decreti legislativi successivi.
Quali sono state le linee guida che Alleanza Nazionale ha adottato per questo emendamento interamente sostitutivo e poi per una serie di emendamenti, che comunque entrano nel merito dell'articolo unico proposto dal Governo? Innanzitutto il principio, da affermare con forza nella legge, dell'alto valore educativo e dell'insostituibile funzione sociale dello sport.
Spesso, dimentichiamo ciò, anche se è argomento di interventi, convegni e comizi. Abbiamo quindi voluto introdurre nel Pag. 103provvedimento, perché rimanga un riferimento forte, il senso del valore che occorre attribuire allo sport.
Condividiamo - e su ciò siamo d'accordo con il relatore - il principio della vendita centralizzata dei diritti televisivi delle società sportive. Lo condividiamo anche perché, come ha ricordato correttamente l'onorevole Folena, per primi lo abbiamo proposto nella passata legislatura. Si tratta di un problema non di primato, ma di sostanza. Perché riteniamo fondamentale intervenire nella materia della vendita centralizzata dei diritti? Dall'indagine conoscitiva si comprende (ma è chiaro anche a chi conosce, anche in maniera superficiale, le vicende antiche e recenti del calcio italiano, soprattutto quelle che hanno interessato la cronaca nera) che la questione della permeabilità alle azioni illecite è fondata su due pilastri fondamentali.
Il primo pilastro riguarda la vendita soggettiva dei diritti, che ha consentito la creazione di un crescente divario tra la gestione economica delle grandi società e quella delle piccole società e ha determinato l'obbligo per le grandi società di essere costantemente all'altezza dei risultati precedenti, della propria storia e del proprio ruolo. Quindi, il risultato da conseguire ad ogni costo è alla base della permeabilità rispetto al compimento di illeciti diffusi.
Il secondo pilastro che ha determinato la permeabilità all'illegalità riguarda la finalità di lucro. Le società, essendo diventate strumenti economici e, quindi, produttori di lucro e di profitto (ciò ha permesso ad alcune di esse di essere quotate in borsa), hanno legato inevitabilmente la condizione di tenuta finanziaria, la condizione di valore delle azioni, alla condizione di mantenimento dello standard operativo attraverso il quale sono arrivate ad essere iscritte nel listino di borsa; ciò ha determinato l'esigenza che quelle condizioni si mantenessero nel tempo. Anche questo è stato causa della permeabilità agli illeciti.
Allora, se davvero vogliamo approvare una norma che si ponga l'obiettivo di creare le condizioni per una diversa gestione dei rapporti nel mondo del calcio rispetto alla sua vera natura, ai suoi veri obiettivi alti e nobili che dovrebbero essere perseguiti, quale altro strumento esiste, se non quello di intervenire, da un lato, sulla soppressione della vendita dei diritti soggettivi, trasformando questo diritto in centralizzazione della cessione dei diritti stessi, e, dall'altro lato, attraverso l'eliminazione del fine di lucro? Sono le due gambe sulle quali si muove l'unica possibilità di intervenire per sanare e creare condizioni di trasparenza all'interno del sistema.
Sostenere questo e non essere conseguenti è la grande contraddizione di questo disegno di legge. Anche la relazione svolta dal relatore pochi minuti fa è imperniata sull'attacco al principio di lucro, senza che poi si concluda in questa legge con l'abrogazione della norma che ha consentito che il fine di lucro diventasse argomento e strumento di operatività per le società.
Incidentalmente - credo non guasti conoscere questo aspetto -, vorrei ricordare che ambedue le norme, sia quella che ha introdotto il fine di lucro, sia quella che ha previsto il diritto soggettivo alla gestione da parte delle società sportive dei diritti televisivi, sono state introdotte durante il Governo del centrosinistra. Infatti, la legge che ha introdotto il principio di lucro è la n. 586 del 18 novembre 1996, mentre ad aver disciplinato il principio della vendita soggettiva dei diritti televisivi è stato il decreto-legge n. 15, del 20 gennaio 1999, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 marzo 1999, n. 78.
Si tratta, pertanto, di normative emanate nel corso della legislatura governata dal centrosinistra, prima della sconfitta del 2001. Sono due regali fatti al mondo del calcio dal centrosinistra per riparare (non voglio usare l'espressione «per farsi perdonare») ad un guasto notevole e profondo che aveva determinato.
Così non è! Si oscilla da posizioni demagogiche a situazioni di difficile gestione. Non condividiamo un aspetto in ordine alla modalità di utilizzazione di Pag. 104queste risorse. Sulla vendita centralizzata nulla osta. Abbiamo anticipato di essere non solo d'accordo, perché siamo stati antesignani. Cosa accade quando la vendita centralizzata viene eseguita? Come si utilizzano queste risorse? Non condividiamo l'impostazione contenuta nella delega.
Occorre più equilibrio nella distribuzione delle risorse stesse, avendo occhio a due aspetti fondamentali: mi riferisco, in primo luogo, alla tutela della mutualità del sistema calcistico, con particolare riferimento al sostegno alle attività dilettantistiche ed ai vivai giovanili, spesso dimenticati (tali settori hanno bisogno di grande appoggio; costituiscono la grande risposta che lo Stato e comunque il sistema deve fornire all'aspettativa di sostegno che viene chiesto nel settore). Occorre, inoltre, stabilire una misura corretta e ragionevole per riequilibrare le distanze tra piccole e grandi società.
Il riequilibrio non si fa con le affermazioni di principio, come quelle che leggiamo nella delega relativamente alla parte prevalente, perché non si può accettare la logica della prevalenza. Bisogna stabilire regole e misure che abbiano equilibrio, che trovino consenso, che trovino ragionevole accettazione da parte di chi poi deve erogare queste risorse.
Nei nostri emendamenti abbiamo stabilito delle percentuali minime al di sotto delle quali riteniamo addirittura inutile varare la legge. Non ci «impicchiamo» sulle cifre! Siamo pronti a discutere sulla base di questi parametri: non meno del 5 per cento da assegnare a scopi di mutualità generale del sistema e non meno del 40 per cento da gestire in misura uguale per tutte le società. Il resto deve essere distribuito in base al bacino di utenza, ai risultati di campionato, alle capacità dei singoli club di raggiungere o meno determinati obiettivi.
Ma non vi è dubbio che ci troviamo di fronte all'esigenza di disciplinare questi aspetti in maniera puntuale.
Siamo convinti, altresì, dell'esigenza di stabilire anche delle regole importanti. Poco fa il relatore parlava della contitolarità dei diritti; essa rappresenta un aspetto e mi chiedo cosa accadrà quando, essendo contitolari, non si dovesse essere d'accordo, poiché, anche su questo, la legge è troppo vaga. Noi abbiamo fornito una soluzione che può non essere condivisa, ma almeno abbiamo avuto il coraggio di dire cosa si dovrebbe fare in tal caso, oppure cosa dovrebbe accadere qualora, una volta venduti i diritti, la Lega calcio dovesse trovarsi nella difficoltà di ripartirli e, magari, ritardasse oltre il consentito.
Noi abbiamo stabilito che decorsi 60 giorni il CONI si deve sostituire all'organo che ha commercializzato i diritti e procedere sulla base dei criteri indicati dalla norma che stiamo per approvare.
Abbiamo poi l'esigenza di chiarire giuridicamente, in maniera inoppugnabile, la decorrenza della legge.
Vi è un grosso problema, un grande «convitato di pietra» in questa nostra discussione: l'esistenza dei contratti in essere. Mi riferisco ai contratti per la cessione dei diritti soggettivi che sono stati stipulati prima o dopo una certa data. Ebbene, al di là delle date, vi è un problema fondamentale; se dobbiamo assolutamente trovare una misura che dia una risposta giuridica corretta al tema dei diritti contenuti all'interno della contrattazione, dobbiamo altresì stabilire quando questa legge, che stiamo per approvare, dovrà cominciare ad operare. Mi rifiuto di approvare norme aventi lo stesso valore delle gride manzoniane. Non siamo in grado - credo non lo sia nessuno per onestà intellettuale e per dovere di mandato - di approvare una norma e di non fissarne l'esecutività, lasciando quest'ultima alla conclusione dei rapporti contrattuali. Infatti, non si capisce da quando dovrebbe decorrere la vendita dei diritti centralizzati, se la conclusione dei contratti dovesse avvenire nei tempi diversificati che sappiamo.
PRESIDENTE. Onorevole Bono, si avvii a concludere.
NICOLA BONO. Signor Presidente, le faccio notare che l'onorevole Rampelli si è Pag. 105ritirato, quindi il gruppo di Alleanza Nazionale avrebbe diritto ad utilizzare anche quei minuti; io non li utilizzerò poiché sto concludendo, ma mi consenta di farlo compiutamente.
Credo vi sia da fare un'ultima puntualizzazione. Una grossa, fondamentale questione, su cui finora in Commissione non abbiano avuto le risposte che ci aspettavamo, riguarda l'abrogazione del fine di lucro. Noi abbiamo presentato - siamo gli unici ad averlo fatto - un emendamento che, in tal senso, chiude la questione e definisce un quadro complessivo d'intervento che elimina le cause che hanno determinato la permeabilità del sistema in ordine agli illeciti diffusi. Ebbene, su questo abbiamo ricevuto risposte inaccettabili; tutti quanti ci hanno detto che avevamo ragione e che eravamo stati bravi a porre un problema serio, ma che non era il caso, il momento, il luogo. Vorrei capire quando dovrebbe essere il caso, quale il momento e dove il luogo se non in Parlamento. Ci troviamo di fronte ad una grande e storica occasione: dare una risposta unitaria e complessiva all'esigenza del mondo del calcio. Certo, mi rendo conto che quando fu introdotta la norma sul fine di lucro l'esempio era quello europeo. Il problema è che le società di calcio italiane non somigliano neanche da lontano alle società di calcio degli altri paesi europei. Non ci somigliano perché sono sottocapitalizzate, perché hanno una gamma di introiti estremamente limitata, relativa unicamente alla cessione dei diritti televisivi.
Le società sportive inglesi, danesi e spagnole posseggono gli stadi, hanno immensi capitali a disposizione e una quantità di attività commerciali nel campo del merchandising che determina grossi introiti, a volte superiori a quelli dei diritti televisivi. Siamo su livelli completamente diversi. Allora, se vogliamo dare una corretta soluzione al problema, dobbiamo intanto porre la questione del fine di lucro, affinché non rientri più fra le finalità delle società sportive. È una questione che non possiamo più rimandare! Oggi è il momento di discutere dei problemi del calcio e di approvare questa normativa. Occorre stabilire - noi abbiamo in questo senso riformulato l'emendamento - anche un periodo necessario per l'uscita dal listino di borsa, per la tutela degli azionisti. La questione è stabilire che non vi sia più il fine di lucro, che non possano più entrare nel listino di borsa altre società e che comunque le società non ancora quotate e non ancora trasformate adeguino i loro bilanci a tale principio, affinché non si trasformino e non si facciano quotare; per chi è quotato e per le altre realtà azionarie, anche non quotate, occorre andare a definire un percorso temporale sufficientemente ampio, all'interno del quale trovare tutte le forme di garanzia per coloro che hanno creduto e investito e che evidentemente, in questi anni, hanno anche trovato una difficoltà oggettiva a gestire il proprio investimento.
In ogni caso, l'interrogativo è il seguente - ecco la risposta che il Parlamento italiano deve dare - : vogliamo dare una soluzione definitiva al tema della trasparenza, della correttezza, della chiarezza della gestione del calcio italiano oppure vogliamo continuare in una situazione di governo apparente, con il mantenimento di tutte le condizioni che hanno portato nel passato agli scandali e ad una difficoltà di gestione complessiva del sistema, che va ben oltre gli scandali? Questi ultimi sono stati la punta dell'iceberg di un malessere che noi dobbiamo aggredire alla radice. Oggi possiamo farlo con una norma, a condizione che sui punti fondamentali, che sono stati oggetto del confronto, non ci sia più questo atteggiamento pregiudiziale da parte di chi ritiene che le proposte che abbiamo avanzato possano essere o rinviate o non considerate.
Invito il Governo - e concludo - a rivedere il suo intendimento sulla delega, che sarebbe opportuno evitare; destrutturiamo questa norma ed andiamo poi nel merito ad affrontare uno per uno i nodi che oggi incidono sulla possibilità di creare un futuro più corretto per il mondo del calcio italiano.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Razzi. Ne ha facoltà.
ANTONIO RAZZI. Signor Presidente, signor ministro, onorevoli colleghe e colleghi, intervengo sul disegno di legge n. 1496 dopo aver già presentato quale cofirmatario, assieme agli onorevoli Cassola e Poletti, un emendamento riguardante detta materia che ha trovato accoglimento in sede di Commissione. L'emendamento ha prodotto l'inserimento, al comma 2, lettera h), dell'articolo 1, dell'espressione: «tutela degli utenti dei prodotti audiovisivi, in Italia e all'estero, relativi agli eventi sportivi di cui al comma 1» ovvero gli eventi sportivi dei campionati professionistici e delle altre competizioni professionistiche organizzate a livello nazionale.
Ciò determina, come sancito alla lettera d) del comma 3 dell'articolo 1, che nella disciplina della commercializzazione dei diritti televisivi sul mercato internazionale si tenga conto dei principi di cui al comma 2 e che quindi si tenga conto che quando parliamo di pubblico parliamo di utenti e non di consumatori in Italia ed all'estero. La definizione «utenti» ci restituisce dignità, in quanto restituisce funzione sociale allo sport e al calcio, che si riporta al di fuori del consumo.
Noi non consumiamo lo sport come se fosse una merce, non lo assumiamo come prodotto da supermercato, non vogliamo comprare la nazionale con la tessera a punti! Lo sport noi lo utilizziamo come valore che ci permette di far crescere nei nostri figli il senso della competizione, ma anche il valore sociale dello stare insieme, il senso del confronto, ma anche quello dell'appartenenza, la determinazione, la tenacia, ma anche la creatività, l'imprevedibilità tutta italiana così apprezzata nel mondo.
Essere considerati utenti e non consumatori, per noi italiani che viviamo all'estero, è una conquista non indifferente. Essere posti all'attenzione della tutela del Governo in quanto pubblico di utenti all'estero rappresenta un riconoscimento fondamentale della nostra italianità e rappresenta anche un atto dovuto ai nostri figli. Ricordo i nostri giovani che, quest'estate, con una semplicità meravigliosa indossavano le maglie della nazionale, i capellini con la scritta «Italia» per le strade d'Europa, costruendo una tendenza che ha contaminato anche gli altri giovani non italiani che, per imitazione, indossavano le maglie con i nomi dei nostri calciatori. E cosa ha significato per noi girare a Zurigo piuttosto che a Londra con le nostre auto munite di bandierine dell'Italia o degli adesivi tricolore? Vi erano sorrisi, volti compiacenti, mani che ci salutavano e sguardi che si complimentavano con noi semplicemente perché eravamo italiani.
Questo ci spiega perché lo sport, il calcio e tutta la dimensione sportiva in genere è fondamentale per noi in Italia, ma vitale per chi risiede all'estero. Lo sport è il mezzo che trasporta il meglio di noi, quanto a creatività, correttezza e talento. È un valore importante per la crescita dei nostri giovani.
Dopo l'entrata in vigore del provvedimento in esame, non si potrà più incorrere in quella cosa strana che è rappresentata dall'interruzione della trasmissione o dal criptaggio perché, come recita la scritta che scorre sullo sfondo nero, «non vi sono le condizioni contrattuali per la messa in onda del programma».
Noi ormai ci siamo abituati. Sono 41 anni che vivo in Svizzera e comunque non mi sono mai rassegnato ma, a pensarci un attimo, provate ad immaginare cosa si prova quando sullo schermo scorrono le immagini delle squadre ma poi improvvisamente lo schermo si oscura e si è costretti a vedere la partita sul canale tedesco o francese e magari la partita è Italia-Germania o Italia-Francia! Come spiegare ciò ai nostri ragazzi e come convincerli che è il mercato, che siamo consumatori immersi in una logica di mercato? Ci rispondono: siamo o non siamo italiani? Perché il nostro paese non pensa a noi? Ci hanno forse dimenticati? Non si ricordano più di voi, dei vostri volti in bianco e nero sugli spalti di quella Italia-Germania di tanti anni fa? Vi assicuro Pag. 107che è stato difficile ed è difficile spiegare loro che uno schermo nero o criptato è un segno di vivacità commerciale. È un segno di inciviltà! È stato e sarà difficile se questo Governo non vi porrà rimedio!
I diritti, la concorrenza e le nuove tecnologie sono inspiegabili ai nostri giovani. Siamo un grande paese che comprende l'importanza dello sport e non possiamo tollerare che in alcuni luoghi lo schermo della nostra vita si oscuri. Sì, perché quando vivi all'estero la tua vita diventa anche la nazionale che gioca ogni tanto o la tua squadra che gioca nel campionato. Il calcio e il confronto tra le nazionali educano; la guerra no!
Vorrei vivere in un mondo, all'estero o in Italia, dove lo schermo si oscuri o venga criptato - e appaia la scritta «questo programma non può andare in onda» -, quando ci sono le immagini che ci mostrano le guerre di cui è pieno il nostro mondo.
Allora sì che sarebbe giusto, forse, impedire ai nostri giovani, ai nostri figli, di guardare; ma purtroppo no: lo schermo pullula delle immagini di guerra e stranamente la commercializzazione di quelle immagini non conosce mai alcuna regola. Non ci hanno mai impedito o criptato la visione della guerra, in televisione - questo ci dicono i nostri figli -; la partita dell'Italia, invece, la oscurano sempre. Rispondiamogli una volta: accendiamo lo schermo del buonsenso. Saremo forse più uomini e meno consumatori!
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Garagnani. Ne ha facoltà.
FABIO GARAGNANI. Signor Presidente, anche il gruppo di Forza Italia, come i colleghi che ci hanno preceduto, soprattutto il collega di Alleanza Nazionale - ma anche altri della Casa delle libertà -, affronta questo dibattito con un certo disappunto. Non tanto sui contenuti del provvedimento, nel merito dei quali, pure, entrerò nel corso del mio intervento, quanto, soprattutto, sulle procedure seguite.
Intanto, siamo anche noi ovviamente consapevoli che il calcio è entrato in una crisi che lo travolge. Il calcio è lo sport più popolare in Italia; si potrebbe disquisire lungamente su altri tipi di attività sportive meno seguite. Lo stesso spirito propulsore di questo dibattito, di questo disegno di legge e delle altre proposte di legge è stato la crisi del calcio italiano; una crisi senza precedenti, che però riguarda, in un certo senso, i palazzi del calcio, mentre bisogna ricordare che, sui campi sportivi, giocatori ed atleti ci hanno regolato giornate indimenticabili. Ritengo opportuno ricordarlo nel momento in cui ci soffermiamo su alcuni fatti particolarmente gravi che ci chiamano tutti ad un'assunzione di responsabilità.
Ovviamente, gli sportivi sono stati colti da sgomento e da rabbia per gli scandali che li hanno traditi nei valori dello sport, nella loro fiducia, in ciò che l'attività sportiva significa, qualunque attività sportiva. Ed il calcio è l'emblema, in Italia come in buona parte d'Europa, dell'attività sportiva, anche se l'attività sportiva - scusate il bisticcio di parole - non si esaurisce solo nel calcio.
Le istituzioni sportive, con molto ritardo, si stanno adoperando per apportare dei correttivi; giustamente anche la politica deve farsi carico di onorare i propri e ben precisi compiti al riguardo; sappiamo che in questo ramo del Parlamento è stata svolta un'indagine che già nella precedente legislatura aveva monitorato il fenomeno delle devianze in campo sportivo. Tale indagine dovrà individuare i possibili rimedi al termine di un ciclo piuttosto lungo di significative audizioni.
Ebbene, ritengo che per ragioni di equità e di maggiore competitività, ma anche per entrare nel merito dei problemi di fondo, si debba procedere ad una più equa distribuzione dei proventi derivanti dalla vendita dei diritti collettivi. Su ciò siamo tutti d'accordo, come pure concordiamo sul fatto che tale obiettivo possa conseguirsi con una certa contrattualizzazione centralizzata.
Ma siamo in totale disaccordo - come abbiamo già dichiarato - quando si intende Pag. 108procedere attraverso il conferimento di una delega al Governo; una vera e propria forzatura, che assolutamente denunciamo in questa sede. Si poteva varare il provvedimento con una maggiore collaborazione se non si fosse ricorso a questa delega, che è stata uno strappo, un vulnus in una materia tanto delicata che richiede, a nostro modo di vedere, un'attenzione particolare per evitare inframettenze ed interventi indebiti da parte del Governo. Ciò, proprio alla luce dei gravi scandali verificatisi, che hanno delegittimato una parte così significativa del calcio.
Noi avremmo preferito - anche se qualcuno osserva che saremmo così giunti alle calende greche - un provvedimento totalmente definito e discusso in Parlamento (ma così non è stato), privo di orientamenti particolari, che avrebbe consentito ad ognuno di noi di schierarsi, di definire le competenze degli organi, ad esempio, della Federcalcio, della Lega e della Federazione.
In questo senso, credo che il provvedimento su cui stiamo discutendo debba misurarsi con altre proposte analoghe, proprio sulle percentuali da adottare nella divisione dei proventi, soprattutto della commercializzazione. Occorre avere ben chiaro, su tale aspetto, un fatto fondamentale, a nostro modo di vedere, essenziale, dirimente: non stiamo parlando di denaro pubblico, di contributi statali, ma di proventi prodotti dalle stesse società sportive che partecipano al campionato. Non si è sufficientemente meditato, a nostro avviso, su tale punto essenziale e qui, onorevoli colleghi, siamo di fronte ad una vera interferenza da parte del Governo, ovviamente con la «sponsorizzazione», uso questo termine di matrice calcistica, delle forze di maggioranza. Si vuole accentuare l'autonomia, invece, in questo caso, si accentua una conduzione verticistica di un settore come questo, che dovrebbe essere esente da ogni sospetto di interferenza. A questo punto, l'autonomia di ogni forma di attività sportiva viene meno o rischia di essere percepita come irrilevante da una significativa parte dell'opinione pubblica, di quell'opinione pubblica che è stata così scandalizzata dalle ultime vicende. In tale contesto, credo che non possiamo fare a meno di porre in rilievo alcuni aspetti essenziali, che non sono definiti chiaramente nella proposta della maggioranza, oppure che presentano lacune evidenti.
Noi riteniamo che debba essere precisato e definito il diritto esclusivo delle società professionistiche di calcio - - uno sport, così popolare e seguito in Italia - di sfruttare qualsiasi forma dell'evento sportivo che esse organizzano e di cui si assumono la responsabilità. Noi prevediamo, infatti, la commercializzazione dei diritti di trasmissione, in qualsiasi forma e attraverso qualsiasi strumento che ne consenta la ricezione audiovisiva. Riteniamo che tutto ciò debba avvenire, l'ho detto in precedenza, in forma centralizzata, ma su ciò credo siamo d'accordo tutti, sotto il controllo dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato e dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, da parte della Lega nazionale professionisti, quale mandataria delle singole società sportive titolari dei suddetti diritti. Nel rispetto, inoltre, dei diritti delle società sportive professionistiche e dell'autonomia dell'ordinamento sportivo, riteniamo - e in ciò ci sentiamo confortati dall'opinione di gran parte degli sportivi - che i criteri di ripartizione dei proventi derivanti dalle attività di commercializzazione poste in essere dalla Lega nazionale professionisti debbano essere determinati dalla stessa Lega, ma nel rispetto, ovvio, di alcuni criteri che, lungi dallo scendere nel dettaglio delle modalità di trattazione e di ripartizione - ciò sarebbe in contrasto con il diritto dei singoli e con l'autonomia dello sport -, siano finalizzati a ristabilire l'equità e la maggiore competitività tra le società sportive partecipanti ai campionati di calcio di serie A e B ed alla Coppa Italia, tenendo però conto dei bacini di utenza, della valenza sportiva dei singoli club e della necessità per le squadre italiane di reggere la concorrenza a livello internazionale. Queste proposte le abbiamo anche formalizzate in una proposta di legge, che riteniamo debba meritare una particolare attenzione del mondo dello Pag. 109sport, e non solo, ed anche da parte del Governo. Come Forza Italia, ci permettiamo di rilevarne l'importanza e la valenza e, conseguentemente, proponiamo anche l'abrogazione dell'articolo 2, comma 1, del decreto-legge 30 gennaio 1999, n. 15, convertito, con modificazioni, nella legge 29 marzo 1999, n. 78, in ragione della necessità, per noi inderogabile, di rispettare i contratti attualmente in essere.
Su questi punti si sono già soffermati i colleghi del mio gruppo, in particolare l'onorevole Pescante, che si è distinto, soprattutto in Commissione, definendo alcune priorità e chiarendo le ragioni di fondo della nostra contrarietà alla delega. Siamo fermamente convinti che il comma 1 dell'articolo 1 del provvedimento in esame debba essere drasticamente modificato ed abbiamo proposto una serie di emendamenti, che anticipo in sede di discussione generale per l'importanza che attribuiamo ai medesimi, che fanno riferimento a quanto ho, prima, espresso, che trova, peraltro, ampio consenso anche in molti settori del mondo dello sport e della società civile.
Condividendo quasi tutte le osservazioni formulate dal collega Bono sul primo comma dell'articolo 1 mi permetto di aggiungere che l'intero comma deve essere sostituito, in quanto riteniamo che ciascuna società, in ambito professionistico, denominata «società sportiva», abbia il diritto esclusivo di sfruttare, in qualsiasi forma, l'evento sportivo che essa organizza e di cui si assume la responsabilità. Il diritto esclusivo riguarda, tra l'altro, i diritti conseguenti alla vendita dei titoli di accesso agli impianti, quelli di carattere pubblicitario, le sponsorizzazioni e le riprese, nonché le trasmissioni, in qualsiasi forma e attraverso qualsiasi strumento che ne consenta la ricezione audiovisiva delle gare, definite «casalinghe» dai regolamenti sportivi.
Intendiamo anche definire le modalità di commercializzazione dei diritti di trasmissione, in qualsiasi forma e attraverso qualsiasi strumento che ne consenta la ricezione audiovisiva, come pure di tutte le gare disputate nell'ambito dei campionati professionistici, comunque denominati, in diretta e nelle forme highlights, intese, queste ultime, quali parti salienti di ciascuna gara, di durata unitaria non superiore a quattro minuti primi.
Ovviamente, la commercializzazione dei diritti di cui al comma 2 dell'articolo 1 del disegno di legge ha luogo in forma centralizzata, mediante procedure separatamente organizzate per ciascuno dei campionati, caratterizzate da trasparenza e finalizzate a garantire la libera concorrenza tra gli operatori della comunicazione e a tutelare gli utenti.
Le procedure di commercializzazione di cui al comma 3 sono poste in essere, a nostro modo di vedere, sulla base degli emendamenti che abbiamo presentato, dall'associazione o dalle associazioni, di seguito denominate leghe professionistiche, di cui fanno parte, in qualità di associate di diritto privato, le società sportive. I contratti stipulati all'esito di tali procedure hanno durata non superiore a tre stagioni sportive, per intuitiva evidenza. Questo, ad esempio, è un emendamento radicalmente soppressivo del primo comma. Ve ne sono altri: uno che sopprime il comma 3, in relazione ai criteri di ripartizione delle somme risultanti dalle attività di commercializzazione, ed un altro, che sostituisce, nell'autonomia dell'ordinamento sportivo, il comma 3, lettera h), e fa riferimento alla ripartizione da parte della Lega Calcio delle risorse economiche e finanziarie assicurate dal mercato dei diritti. Non mi soffermo su questi e su altri emendamenti, che saranno illustrati nel corso del dibattito sul provvedimento in esame, per definire ancora alcuni punti che ci premono in modo particolare.
Ho già parlato della titolarità dei diritti, sui quali mi sono soffermato anche con riferimento ai precedenti giurisprudenziali ed amministrativi, che sono univoci nell'ottica prima individuata. Sarebbe interessante fare un rapido excursus sulla commercializzazione dei diritti televisivi dagli anni Cinquanta fino al 1999, in riferimento al ruolo svolto dalla Lega Nazionale, quale mandataria delle singole Pag. 110società sportive, come l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni ha accertato in esito ad approfondite indagini.
Vorrei svolgere un'altra considerazione attinente all'esperienza europea, che ci pare molto significativa.
Tra l'altro, ricordo che proprio sull'esperienza europea si è svolto un importante dibattito in sede di Commissione. Il sottosegretario Lolli ed altri colleghi del centrosinistra, infatti, hanno rilevato la consonanza tra la proposta avanzata dal Governo (e che, ovviamente, l'Esecutivo sostiene) e l'esperienza registrata nei principali paesi europei.
Noi crediamo, al contrario, che sussista una certa differenza tra quanto è presente nel panorama internazionale - e, più specificatamente, europeo - e ciò che, invece, è contenuto nell'ambito del disegno di legge in esame.
Infatti, la disponibilità dei diritti di cui stiamo parlando fa capo, nel panorama europeo, alle società sportive e costituisce il presupposto giuridico che ispira, tra l'altro, anche la decisione della Commissione europea del 23 luglio 2003, pur essendo essa costruita su presupposti di fatto del tutto difformi da quelli oggetto del presente disegno di legge. Anche questo è un appunto che ci sentiamo di muovere all'orientamento maggioritario emerso in sede di VII Commissione.
In effetti, il format creato ex novo dall'UEFA in relazione alla Champions league può, in qualche modo, giustificare la tesi, espressa nella decisione citata, della contitolarità del diritto di disporre dei diritti televisivi. Ciò, tuttavia, non trova riscontro nell'ambito nazionale, attesa la natura di format «a maglie larghe» del campionato italiano.
A riprova di quanto fin qui esposto, desidero precisare che, prima dell'ideazione della Champions league nella sua attuale configurazione, le singole società sportive licenziavano i diritti delle loro gare casalinghe, fatta eccezione per la finale, a titolo esclusivamente individuale (così come tuttora avviene per la coppa UEFA).
È altresì indicativo elencare, in brevissima sintesi, i sistemi adottati dalle Leghe professionistiche dei principali paesi europei. In Spagna, i diritti in esame fanno capo ai singoli club; nel sistema tedesco, pur non essendo esplicitato il profilo relativo alla titolarità dei diritti, va rilevato che la federazione calcistica tedesca prevede che i club le conferiscano mandato alla commercializzazione dei diritti televisivi. Ciò, per implicito, comporta l'identificazione della loro titolarità in capo agli stessi club.
Nel sistema francese, i club sono proprietari dei diritti, che vengono, per legge, commercializzati collettivamente dalle Leghe. Nel sistema inglese, i diritti sono di proprietà delle società, pur essendo negoziati collettivamente, sulla base di un mandato esclusivo, dalla English premier league.
Nel sistema olandese, infine, l'Alta Corte di Amsterdam ha statuito che la titolarità originaria dei diritti televisivi in materia calcistica spetta, per ogni singola partita, al club che gioca in casa (sentenza dell'Alta Corte di Amsterdam del novembre 1996).
Tutto questo per ribadire quanto precedentemente affermato: anche l'esperienza europea, infatti, conferma l'impostazione seguita dal gruppo di Forza Italia in sede referente e, a maggior ragione, nell'ambito della discussione parlamentare. Ciò soprattutto con riferimento a tali principi, che a noi appaiono essenziali, ma che non mi sembra siano stati percepiti nella loro chiarezza, dal Governo e dal centrosinistra, nel corso dell'esame del provvedimento in sede di Commissione cultura.
Per quanto attiene, infine, al ruolo della squadra ospitata (altro punto rilevante), è evidente che si tratta di una questione neutra dal punto di vista dell'identificazione della titolarità. Quando, infatti, una gara si disputa all'interno di un campionato, le squadre si incontreranno necessariamente due volte (all'andata ed al ritorno), ed ognuna sarà titolare del diritto di sfruttare l'evento sportivo che organizza.Pag. 111
L'ultima considerazione che intendo svolgere conferma le nostre opzioni, soprattutto in merito ai criteri di distribuzione. Noi riteniamo, infatti, che essi debbano essere rimessi alle Leghe professionistiche, sulla base di criteri di ripartizione tra le singole società sportive in esito alla commercializzazione dei diritti. Anche in tal caso, riteniamo si debba riflettere sul fatto che si tratta di una pratica comune a tutti i paesi europei nei quali ha luogo il conferimento delle licenze in forma centralizzata. Non esiste in Europa, in effetti, alcun caso nel quale i criteri siano determinati con legge dello Stato.
Anche in questo caso, quindi, si tratta di un principio che consideriamo fondamentale, il quale è smentito a parole dal Governo o dai colleghi appartenenti al centrosinistra, ma che, nei fatti, si sta delineando sempre più.
Il principio della delega ha in sé questo rischio di intuitiva evidenza di una pesante interferenza e di un condizionamento da parte dello Stato. I mali dello sport e, in particolare, del calcio non possono essere curati con questa forma di penalizzazione e di sostituzione dello Stato alle società sportive, alla Lega Calcio e, in altro contesto, al CONI stesso. Non dobbiamo dimenticarci che non si tratta di denaro pubblico, ma si tratta di denaro privato, lo dicevo all'inizio, frutto di negoziazioni tra privati, quali sono le leghe e le società sportive che ne fanno parte.
Un altro punto fondamentale è quello della salvaguardia delle scelte negoziali liberamente fatte dalle singole società sportive in un quadro di perfetta legalità, nonché la necessità, sulla quale noi insistiamo, di dare al sistema il tempo necessario per adeguarsi alle nuove regole. Queste considerazioni fanno riferimento alla nostra impostazione, contenuta in una proposta di legge, che si discosta notevolmente dall'impostazione del Governo e che fa esplicito riferimento al calcio, senza trascurare, però, altre attività sportive, apparentemente minoritarie nel paese; basti citare la pallacanestro. Di fatto anche il disegno di legge della maggioranza, come altre proposte di legge, pur definendo un impianto riferibile alle autorità sportive, prende come punto di riferimento il calcio, perché è a partire dal calcio che lo sport italiano è entrato sostanzialmente in crisi, a causa dei fatti devastanti che abbiamo visto, che non devono però condizionare l'intero mondo sportivo e, soprattutto, lo stesso calcio. In questo senso io credo che un'attenzione molto particolare debba essere rivolta alle società dilettantistiche, che debba essere definito un rapporto nuovo con le società di promozione sportiva, che debba essere definito un nuovo rapporto - e qui ampio il mio discorso, non limitandomi strettamente all'impianto della proposta di legge - con gli enti locali, sempre alla luce di quel principio che intende favorire l'autonomia dello sport. Ci deve essere l'interesse del pubblico per un'autentica manifestazione sportiva, ma non ci può essere un'interferenza pesante che ne condizioni l'evoluzione e lo sviluppo, come purtroppo sta accadendo in molte realtà del nostro paese e come questo disegno di legge, più per ciò che non dice che per ciò che dice, sta facendo.
Questa è la ragione per cui noi ribadiamo le nostre considerazioni critiche contenute nei nostri emendamenti che abbiamo già presentato e che intendiamo illustrare, che vogliamo sottoporre all'attenzione della maggioranza e del Governo, cercando di convincerlo a meditare ulteriormente sul significato di questo provvedimento, soprattutto sulle modalità con cui noi siamo giunti alla delega e sulle osservazioni fatte, che sembrano più osservazioni punitive per rimediare a mali indubbi che non osservazioni costruttive che si facciano carico di un disagio reale, risolvendolo in positivo, evitando di ricorrere a metodi e strumenti che non hanno più riscontro nel paese e che non risolvono il male rischiando invece di aggravarlo. Questa è la ragione della nostra presa di posizione.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Carra. Ne ha facoltà.
ENZO CARRA. Il gruppo dell'Ulivo sostiene con convinzione la delega al Governo per una nuova disciplina dei diritti sportivi e la loro centralizzazione. Questa è una prima tappa del processo di modernizzazione del settore e la delega è giustificata dall'urgenza. I fatti di questa estate, la conduzione del settore negli ultimi anni, da entrambi i lati, da quello dello sport e da quello della comunicazione hanno fatto il resto.
Ho sentito i colleghi dell'opposizione sostenere che sarebbe stato preferibile e, forse, addirittura più rapido approvare una legge, ma proprio i loro interventi dimostrano che avremmo operato in maniera più lenta e meno bene.
Durante i lavori preparatori, un conflitto di interessi... scusatemi, volevo dire un conflitto di competenza (in realtà, i conflitti di interessi ci sono in questo campo e, pertanto, il mio lapsus è più che giustificato) tra le Commissioni VII e IX hanno impedito a quest'ultima, della quale faccio parte, di occuparsi compiutamente del disegno di legge delega in esame (credo che questo problema vada risolto in qualche modo in futuro). Comunque, nel corso dei lavori preparatori, è stato più volte ripetuto che la nuova disciplina è una condizione essenziale per restituire fiducia ai tifosi, alla «macchina» del calcio ed ai tornei che la riguardano. Certo, il provvedimento deve fare molto di più: deve incidere nel tessuto stesso della «macchina» sportiva, rinnovando l'aria stantia che la stava uccidendo.
Vediamo, piuttosto, di dire qualcosa al Governo, che dovrà esercitare la delega. Se è vero che la gran parte delle entrate del calcio è legata ai diritti televisivi, allora l'obiettivo principale sta nell'innalzare il volume dei diritti medesimi e nel garantire la loro redistribuzione (mi sembra che il compito sia abbastanza semplice). Magari, si potrebbe fare un confronto con gli altri paesi, soprattutto europei, nei quali il calcio ha un'importanza analoga e, qualche volta, inferiore a quella che riveste da noi.
Per quanto riguarda la redistribuzione e la cosiddetta mutualità, il disegno di legge delega stabilisce principi e tecniche che dovrebbero bastare a capovolgere una situazione che era diventata molto più che insostenibile e che è stata anche una delle ragioni della grave crisi dei mesi scorsi. Prima si torna, dunque, alla centralizzazione, meglio è. Qualcuno obietta che la legge sui diritti soggettivi era stata approvata nel quinquennio del centrosinistra, ma un errore è un errore (d'altra parte, c'è anche la controprova, per fortuna: la vita è lunga da questo punto di vista). L'importante, ed anche questo è assicurato dalla legge, è che sotto il principio generale non restino immutati i comportamenti ed i cartelli.
Quanto all'innalzamento del valore dei diritti sportivi, ritengo incontestabile l'affermazione secondo la quale quanto più c'è libertà di mercato, tanto più quel valore aumenta. Tutte le piattaforme vogliono il calcio e tutte devono essere messe in condizione di contendersi i diritti, ma non di averli tutti insieme (questo mi sembra molto importante). In questo caso, perciò, credo che procedere verso uno spacchettamento sia quasi d'obbligo per rendere possibile la concorrenza. Naturalmente, allo spacchettamento dovrà procedere il venditore, non il Parlamento. I prodotti del calcio italiano sono tanti - Coppa Italia, Serie A di sabato, Serie A di domenica, Serie B - e non possono essere messi tutti nelle mani della stessa emittente, della stessa piattaforma. Credo che per innalzare il valore dei diritti non vi sia altra strada. D'altra parte, pensiamo a quello che accade in Spagna. Si dirà che in Spagna non vi sono diritti soggettivi (in realtà, vige un sistema misto fondato su diritti collettivi e soggettivi). Ebbene, è di pochi giorni fa la notizia relativa ai diritti che percepiranno Real Madrid e Barcellona per sette anni: oltre un miliardo e cento il Real ed oltre un miliardo il Barcellona, pari al doppio di quello che percepisce in Italia la squadra più ricca.
Stabilito, dunque, che la centralizzazione era l'unica strada da percorrere, e che per percorrerla era indispensabile la delega, dovremo guardarci, piuttosto, dai facili entusiasmi.
Gli accordi di cartello ci sono stati e potranno tornare. Per evitarlo, oltre alla vigilanza delle due autorità, antitrust e comunicazioni, si dovrà pensare a compiere qualche passo avanti, assicurando, innanzitutto, che le due autorità siano rapide nel gestire questa fase, nel dare l'assenso o il diniego alla cessione dei diritti. Non si può aspettare. Devono sapere di avere una responsabilità in più.
Poi bisognerà affrontare il «nanismo» di un calcio italiano che non merita questa struttura. Dovremo, quindi, pensare ad organizzazioni sportive (dovranno porsi la questione i presidenti delle società, ma noi dovremo parlarne) che siano effettivamente in grado di svolgere il proprio ruolo di garanzia per il mercato e la concorrenza. Sarà il venditore ad essere garante nella fase che si apre con questa legge delega.
Oggi, la Lega è presieduta da un uomo di esperienza e probo, come Matarrese, ma cosa accadrebbe se in Lega vi fosse nuovamente un conflitto di interessi? È una questione che il Governo dovrà affrontare. Almeno sotto questo aspetto, vorremmo stare tranquilli per non passare «dalla padella alla brace».
Quanto al calcio, la questione degli stadi è troppo importante per rinviarla ancora. Prima di assicurare altri introiti, facilitazioni ed agevolazioni, come ad esempio la cosiddetta norma spalmadebiti, vediamo come poter invogliare i presidenti delle società ad investire nella costruzione di stadi di loro proprietà. È una questione che interessa ed interpella anche il Parlamento e la politica. È una strada di modernizzazione.
Interessa, inoltre, il Parlamento fare il punto sul cosiddetto decreto Pisanu, che è stato un provvedimento dettato dalla necessità e dall'urgenza di non far scorrere altro sangue negli stadi e che, da questo punto di vista, ha avuto un immediato e benefico effetto. Tuttavia esso presenta anche i suoi limiti, se è vero che nella più recente partita della nazionale a Roma, contro l'Ucraina, al fine di riempire lo stadio è stato necessario aggirare il decreto. Il Governo anche in questo caso dovrà fare la propria parte, rivedendo ciò che non va e mantenendo ciò che è solido.
Infine, prima di affidare al mercato questo grande prodotto commerciale che è il calcio (non dobbiamo avere il pudore di definirlo in altro modo), dovremmo essere certi che il venditore non faccia come prima, che smontato un cartello non se ne alzi un altro. La lettera d) del comma 3 dell'articolo 1 specifica meglio, dopo il lavoro della Commissione, che «la disciplina della commercializzazione in forma centralizzata» si esplica «anche attraverso divieti di acquistare diritti relativi a piattaforme per le quali l'operatore delle comunicazioni non è in possesso del prescritto titolo abilitativo». Va bene anche così. Mi chiedo, però, se non sia possibile essere più chiari e dire precisamente che il venditore, cioè la Lega professionisti, debba essere privo di vincoli o averne pochissimi ed essenziali. Questa è l'autonomia del calcio e dello sport. Ciò obbligherà ad offrire diritti a tutte le piattaforme, mettendole in concorrenza tra loro, ad andare verso un'offerta di diritti esclusivi, il che significa che la piattaforma che vince la gara sarà in possesso di un prodotto in esclusiva con effettiva e seria disciplina delle eventuali sublicenze. Ma, non potrà esserci un compratore di tutti pacchetti e, almeno uno, come succede in Inghilterra, dovrà essere destinato ad altri, se vi sarà un solo acquirente.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Li Causi. Ne ha facoltà.
VITO LI CAUSI. Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, onorevoli colleghi, il tema che oggi impegna l'Assemblea è particolarmente delicato in quanto induce il Parlamento ad intervenire in un rapporto tra soggetti privati che erogano lo sport ed il calcio.
Occorre qui rilevare che il calcio nel nostro paese non si pone esclusivamente come affare privato tra società, ma ha storicamente assunto valore socioculturale, arrivando ad essere uno sport nazionale e dimostrando, con la recente vittoria ai campionati mondiali di calcio, di rappresentare Pag. 114un momento di coesione per tutto il popolo italiano.
Il disegno di legge delega, presentato dal Governo in materia di diritti di trasmissione dei campionati di calcio, trova il suo obiettivo di fondo nel tentativo di riequilibrare e rendere trasparente il mercato dei diritti radiotelevisivi degli eventi sportivi calcistici. In sede di VII Commissione (Cultura, scienza ed istruzione), di cui sono membro, all'inizio di questa legislatura, spinti dalle recenti cronache provenienti dal mondo del calcio, abbiamo ritenuto opportuno avviare un'indagine conoscitiva, il cui scopo era quello di individuare le cause nonché i processi che hanno portato alla corruzione in questo sport e alla logica di un eccessivo profitto. Nell'audire diversi esponenti di questo mondo abbiamo potuto osservare che uno dei fattori che ha determinato tali vicende, poi accertate sia dalla magistratura ordinaria che da quella sportiva, è il forte squilibrio creatosi tra pochissime grandi squadre e tutte le altre dei campionati professionistici, di serie A e di serie B. Uno degli elementi che hanno creato questo forte squilibrio riguarda proprio la contrattazione individuale dei diritti televisivi. Infatti, poche squadre hanno incassato cifre addirittura dieci volte maggiori rispetto a quelle ottenute da altre compagini come il Palermo, il Chievo o il Cagliari, in un sistema dove i diritti televisivi rappresentano la maggior parte delle entrate.
Tale squilibrio ha avuto quindi ripercussioni anche sul campo di gioco, considerando che i maggiori introiti hanno comportato la possibilità di acquistare i giocatori più quotati ed ottenere solitamente risultati sportivi migliori. Tale meccanismo, a mio avviso, ha fatto sì che nel corso degli anni le squadre più forti dal punto di vista economico lo divenissero anche dal punto di vista calcistico, favorendo la scomparsa di società il cui unico lustro era quello della storia.
Mi viene difficile omettere che, secondo il mio punto di vista, la degenerazione nel mondo del calcio è avvenuta quando, anni addietro, alcune società sono state quotate in borsa. Onorevoli colleghi, come si può pensare che esistano società quotate in borsa che non possiedono beni strutturali? Forse esse possiedono beni strumentali, come il pallone da calcio, ma lì finisce. Queste società non hanno beni strutturali, perché in Italia le squadre di calcio non possiedono gli stadi né le strutture che possono metterle in condizione di commercializzare i loro prodotti, ovvero il calcio stesso.
Inoltre, non si deve dimenticare che ad aumentare tali storture sono intervenute negli scorsi anni misure, come la cosiddetta norma «spalmadebiti», che nel paese hanno rafforzato l'idea di un calcio come mero affare di profitto, aggravato da contabilità contenenti plusvalenze truccate.
Si contribuisce in tal modo a disperdere quel valore, di cui parlavo poc'anzi, di aggregazione sociale che da sempre viene riconosciuto al calcio, non solo dai tifosi ma dagli amatori, dagli appassionati, giovani, donne, uomini, anziani, in quanto riteniamo che lo sport in generale, e in particolare il calcio, sia da sempre un valore che non può non essere sottolineato. Ritengo anzi che essi siano sempre stati delle lenti di ingrandimento del mutamento sociale del nostro paese: ecco perché tutto quello che è avvenuto ha un notevole valore e significato.
Inoltre, l'autonomia dello sport è un bene che noi sicuramente riconosciamo, che è molto importante, ma quando si eccede, essa necessita di un'attenzione particolare da parte nostra, come è ovvio, per contribuire al bene di tutti.
È opportuno anche sottolineare il merito del provvedimento che ci accingiamo ad esaminare, che intende riportare il nostro sistema in linea con i recenti orientamenti europei in materia di sport, da ultimo espressi nel Rapporto indipendente sul calcio europeo 2006, realizzato con l'obiettivo di fornire alcune raccomandazioni alle autorità europee e nazionali affinché intervengano con norme trasparenti nell'ambito delle quali gli organi di autogoverno dello sport siano in grado di risolvere le questioni che interessano il settore. Tra le misure volte a garantire Pag. 115l'equilibrio tra le squadre partecipanti ad una stessa competizione, necessario per assicurare l'attrattiva del calcio, il Rapporto individua la redistribuzione delle risorse mediante la vendita collettiva dei diritti commerciali, che viene definita, allo stesso tempo, necessaria e compatibile con il diritto comunitario. Il Rapporto propone poi l'adozione da parte della Commissione europea di linee guida relative all'applicazione allo sport delle regole sulla concorrenza, in cui si precisino, tra l'altro, le misure che meritano deroghe al divieto di accordi tra imprese, nonché la disciplina giuridica di specifiche tematiche, quali la vendita collettiva dei diritti, la valorizzazione dei vivai, la partecipazione degli atleti alle rappresentative nazionali, le limitazioni agli stipendi, la concessione delle licenze ai club.
Attraverso questo intervento legislativo si vuole dunque procedere ad una radicale riforma della disciplina della titolarità e del mercato dei diritti di trasmissione, comunicazione e messa a disposizione del pubblico degli eventi sportivi calcistici al fine di garantire la trasparenza e l'efficienza di tale mercato.
Onorevoli colleghi, si è scelto lo strumento della delega al Governo per rendere più rapida ed efficace l'approvazione della normativa in tempo utile per l'avvio del prossimo campionato calcistico. Ritengo giusta la scelta del Governo di utilizzare lo strumento della delega legislativa, considerata la natura tecnica di taluni profili della riforma e l'ampiezza dell'intervento in questione, che non si propone solo di limitare posizioni dominanti nel mercato televisivo, ma mira ad introdurre una disciplina organica della materia.
Attraverso l'indagine sul settore calcistico, la VII Commissione ha ritenuto altresì di fare buona esperienza, estendendo nel corso dell'esame in sede referente l'applicazione dei principi a tutti i campionati professionistici, includendo così gli sport nobili a squadre, come la pallacanestro e la pallavolo, finora troppo spesso dimenticati. Si tratta di una scelta lungimirante e di buonsenso operata dal relatore, onorevole Folena, che ci sentiamo di condividere e che abbiamo fortemente sostenuto. Infatti il gruppo dei Popolari-Udeur ha predisposto un ordine del giorno con il quale chiede al Governo di impegnarsi al fine di adottare iniziative, anche normative, miranti a promuovere la messa in comune di una parte degli introiti derivanti dalla vendita dei diritti televisivi ai livelli appropriati, allo scopo di attuare il principio di solidarietà fra tutti i livelli e tutte le discipline dello sport.
Nel particolare, la delega legislativa prevede il ritorno alla negoziazione collettiva dei diritti sportivi televisivi e per singola piattaforma, stabilendo cioè che per ogni piattaforma, sia televisiva, sia satellitare, sia digitale terrestre, sia UMTS, sia Internet, ci sarà una procedura di assegnazione diversa e che ad ogni gara potranno partecipare solo gli operatori che effettivamente esercitano su quel tipo di piattaforma. Inoltre, i proventi saranno divisi per il 50 per cento in parti uguali fra tutte le società calcistiche, mentre il restante 50 per cento sarà diviso in relazione al bacino di utenza e ai risultati sportivi conseguiti da ciascuna società, da ciascuna squadra. Sarà poi prevista una quota residua, che sarà destinata alla mutualità generale del sistema sportivo.
Concludo dicendo che noi Popolari-Udeur siamo convinti che questo nuovo sistema incentrato sulla commercializzazione in forma centralizzata dei diritti di trasmissione renderà più trasparente e giusta la distribuzione delle risorse nel mondo del calcio, garantendo così pari opportunità a tutte le squadre, secondo lo spirito più genuino dello sport, e un ritorno della fiducia fra gli appassionati. È per questo che il calcio resta comunque e sempre lo sport più seguito e praticato in Italia.
PRESIDENTE. Prima di proseguire con i successivi interventi, ritengo opportuno prevedere una pausa tecnica di venti minuti.
Sospendo quindi la seduta.
La seduta, sospesa alle 21,45, è ripresa alle 22,05.
Pag. 116PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Goisis. Ne ha facoltà.
PAOLA GOISIS. Signor Presidente, dagli anni Novanta l'industria della televisione ha fondato gran parte dei propri successi commerciali sullo sfruttamento dei diritti televisivi degli eventi sportivi. In particolare, il calcio ha assunto un ruolo strategico per l'economia del settore, superando, nel fatturato, prodotti di intrattenimento e cinema.
Le televisioni a pagamento, a differenza delle TV generaliste che dipendono dalle inserzioni pubblicitarie, sono strettamente legate alle preferenze e ai consumi degli abbonati. La vendita dei diritti delle partite di calcio, oggi, ne costituisce i tre quarti del fatturato.
Nella maggior parte dei paesi, il calcio non solo è la forza trainante per lo sviluppo dei servizi televisivi a pagamento, ma gioca un ruolo determinante anche per le emittenti in chiaro. Ne consegue che la vendita dei diritti, combinata alla portata dell'esclusiva, ha effetti rilevanti sulla struttura dei mercati televisivi, in quanto può favorire la concentrazione dei media ed ostacolare la concorrenza fra le emittenti.
Senza tema di smentita, si può, quindi, affermare che il contenuto calcistico è un fattore determinante ai fini della definizione delle dinamiche concorrenziali nel settore televisivo. Dalla modifica della regolamentazione in materia nel 1999, la cosiddetta norma Veltroni, le società di calcio di serie A e B hanno potuto gestirsi economicamente secondo i principi della libera contrattazione e questo ha creato forte squilibrio tra le ricche società di A, con oltre il 75 per cento degli introiti, e quelle dei club minori, con il conseguente depotenziamento dei settori giovanili e del calcio dilettantistico.
L'indagine svolta nella XIV legislatura ha palesato i limiti di un sistema che non investe nella crescita del movimento sportivo di base. Lo sport si fonda su valori sociali, educativi e culturali. È un fattore d'inserimento, di partecipazione alla vita sociale e la sua pratica deve essere accessibile a tutti.
Le associazioni sportive hanno, sì, il diritto di organizzarsi autonomamente, ma non possono prescindere dalla loro missione di organizzare e promuovere le rispettive discipline. La formazione dei giovani sportivi è fondamentale per la vitalità dello sport e delle squadre nazionali e, pertanto, deve essere incoraggiata e sostenuta dalle federazioni sportive e dal pubblico.
È per questo motivo che si rende necessario un provvedimento teso a riequilibrare il sistema, che limiti il diritto soggettivo alla vendita dei diritti TV, che reintroduca la contrattazione congiunta da parte della Lega professionisti, che preveda diversi criteri di ripartizione e destini una quota fissa alla crescita del movimento di base.
La Lega Nord condivide, quindi, la necessità di un intervento legislativo, ma lamenta l'inadeguatezza dello strumento scelto dal Governo delle sinistre. Sin dalla prima ora, la Lega Nord ha rilevato che l'uso dello strumento della delega legislativa non consente un approfondito dibattito in sede parlamentare, esautorando il Parlamento del suo ruolo di legislatore. È stato più volte contestato dal nostro gruppo, sia nella Commissione in sede referente sia in sede consultiva, lo strumento della delega. Sono stati proposti vari emendamenti per apportare modifiche in questo senso. I fatti ci hanno dato ragione.
Il testo proposto dal relatore ha perso molti degli elementi innovativi, introducendo caratteri pregiudiziali al regolare sviluppo del mercato dei media e fallendo nella missione culturale dello sport.
In questo provvedimento non vi è alcuna misura a sostegno delle società e delle associazioni sportive dilettantistiche che sono, invece, centrali per il loro fondamentale ruolo di crescita, di educazione, di integrazione sociale e di solidarietà, anche rispetto alla disabilità fisica o mentale, nonché per il loro forte legame con il territorio.Pag. 117
La Lega Nord ritiene una questione dirimente definire al 10 per cento la quota minima dei proventi della vendita dei diritti televisivi da destinare ai fini della mutualità generale del sistema; risorse che devono essere attribuite ad un soggetto che per scopo sociale ha quella vocazione: la Lega nazionale dilettanti.
Una buona legge sul riordino dei diritti televisivi, in analogia con quanto già previsto in altri paesi europei, deve prevedere misure per la valorizzazione dei vivai giovanili dello sport e per questo si chiede di tenere conto, per la definizione dei criteri di suddivisione dei proventi dei diritti operata dalla lega professionistica, del reale investimento nell'attività del vivaio, del numero dei giocatori schierati in prima squadra provenienti dal settore giovanile e di misure a vantaggio delle categorie inferiori e dello sport di base in generale.
Come sottolineato in premessa, una parte rilevante del provvedimento si discosta dagli aspetti puramente sportivi e va a toccare la disciplina della commercializzazione dei diritti televisivi. Abbiamo evidenziato come sia necessario introdurre specifici correttivi in un mercato rilevante come quello per l'acquisizione dei diritti di trasmissione delle competizioni calcistiche.
Le preferenze degli spettatori determinano il valore dei programmi delle emittenti. Le emittenti acquistano i programmi al fine di attivare un vasto pubblico, siano esse finanziate in tutto o in parte dai proventi pubblicitari, o per incentivare l'abbonamento ai loro servizi.
I diritti TV degli eventi calcistici determinano una particolare immagine di marchio per il canale che li trasmette e consentono alle emittenti di raggiungere un particolare pubblico non altrimenti raggiungibile con altri programmi.
Nei canali a pagamento il calcio è la principale forza trainante per la vendita di abbonamenti, mentre nella TV non a pagamento il calcio attrae una particolare fascia di pubblico e, di conseguenza, inserzionisti pubblicitari, che non sarebbero attirati da altri programmi.
In genere, il calcio fornisce elevati livelli di audience e produce eventi che hanno luogo regolarmente per la maggior parte dell'anno; garantisce un elevato seguito a lungo termine ed induce gli spettatori a guardare regolarmente un determinato canale. Quindi, diversamente da altri sport, il calcio consente alle emittenti che ne acquisiscono i diritti di ottenere cifre elevate di spettatori su base regolare, prolungata e continua, con i conseguenti benefici in termini di introiti pubblicitari o abbonati ai servizi a pagamento, al punto che il prezzo degli intermezzi pubblicitari durante la trasmissione del calcio è maggiore del 10, del 50 per cento rispetto al miglior prezzo praticato.
Sebbene vi siano eventi di campionati di altri sport e sebbene tali sport siano in grado di produrre audience maggiori, non raggiungono la stessa costanza del numero di spettatori del calcio al punto che alcune emittenti li hanno considerati un loss leader, essendo disposte ad investire più di quanto avrebbero ragionevolmente recuperato dai possibili introiti realizzati dalle singole trasmissioni a tale sport dedicate.
A conferma di ciò sta il fatto che l'indagine della Commissione europea per l'infrazione all'articolo 81, paragrafo 1, del trattato CE sulla libera concorrenza ha dimostrato che non vi è sostituibilità tra i diritti TV del calcio e qualsiasi altro tipo di diritto TV. In tale indagine è emerso che l'accordo di vendita congiunta dell'UEFA limita la concorrenza sui mercati a monte tra le società calcistiche ed ha un impatto sui mercati televisivi a valle, in quanto gli eventi calcistici sono un elemento importante della concorrenza tra televisioni e, potenzialmente, i nuovi media, per attrarre gli inserzionisti o gli abbonati ai servizi pay tv.
L'UEFA, tra le giustificazioni all'accordo, ha sottolineato che il suo modello di solidarietà finanziaria migliora la produzione e stimola lo sviluppo dello sport nei paesi più piccoli. Ciò dà quindi luogo ad una base più competitiva per il futuro del calcio europeo, permettendo anche ai Pag. 118club calcistici più piccoli, e finanziariamente deboli, di competere con i club più grandi e potenti.
La Commissione riconosce, quindi, la specificità dello sport come espresso nella dichiarazione del Consiglio europeo a Nizza nel 2000, dove si optò per la messa in comune di una parte degli introiti derivanti dalla vendita dei diritti TV, che si ritenne vantaggiosa per il principio di solidarietà fra tutti i livelli e le discipline dello sport.
Gli interrogativi a cui l'Assemblea deve dare una risposta sono principalmente due. I contenuti della delega in materia di solidarietà, mutualità, crescita culturale, educativa e sociale sono sufficienti a giustificare una limitazione alla concorrenza? Quali saranno gli effetti di questa legge sui mercati dei media - sia tradizionali sia innovativi - e, in particolare, sulle piattaforme in cui è presente un solo operatore? Come saranno contrastate le posizioni monopolistiche e come sarà garantita la presenza di più operatori tutelando i diritti degli utenti? Le proposte emendative della Lega Nord sono tese a dare piena soluzione a questi due quesiti.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Beltrandi. Ne ha facoltà.
MARCO BELTRANDI. Signor Presidente, onorevoli colleghe e colleghi, il provvedimento all'ordine del giorno certamente risponde ad alcune esigenze che dovrebbero essere avvertite da tutti gli schieramenti politici. In primo luogo, con la previsione della contitolarità dei diritti sportivi in capo alle squadre che disputano il campionato e al soggetto organizzatore del campionato stesso; inoltre, con la conseguente gestione centralizzata della vendita dei diritti e con la ripartizione dei proventi, o almeno di parte degli stessi, tra tutte le squadre, operata in modo più equo rispetto a quanto avviene oggi. Attraverso tutti questi elementi si consegue l'obiettivo di ristabilire una competitività tra squadre grandi e piccole che giocano nel medesimo campionato; competitività che si era fortemente ridotta a seguito della cessione individuale dei diritti introdotta da una legge del 1999.
La seconda finalità del provvedimento dovrebbe anch'essa essere condivisa dai diversi gruppi parlamentari. Si tratta di rendere più competitivo e trasparente il mercato radiotelevisivo, di cui il commercio dei diritti televisivi rappresenta una componente importante nel nostro paese.
Come spiegherò tra poco, mentre per quanto riguarda la prima finalità mi sembra che le misure previste, cioè la disciplina contenuta nella delega relativa alla commercializzazione centralizzata, siano idonee al suo conseguimento, per quanto riguarda il secondo obiettivo - quello relativo al mercato radiotelevisivo - alcune misure sono in grado di migliorare la situazione di oggi, ma molto potrebbe ancora essere fatto al riguardo; vi è qualche aspetto di criticità su cui il legislatore dovrà, credo, riflettere nell'esercizio della delega, in particolare con riferimento agli ampi ambiti di discrezionalità che gli vengono lasciati.
Prima di iniziare a trattare sommariamente gli aspetti critici di questo disegno di legge, proprio la considerazione della sua incidenza sul mercato radiotelevisivo, peraltro pienamente confermata dal dibattito svoltosi nella VII Commissione, mi porta a sollevare una questione già emersa in Commissione trasporti.
Questo disegno di legge è stato assegnato in sede referente alla sola VII Commissione, mentre alla Commissione trasporti è stato chiesto di esprimere un parere consultivo, di cui peraltro sono stato relatore. Ebbene, ho ragione di ritenere che vi sia stato in questa assegnazione un errore piuttosto grave, un'immotivata sottrazione di competenze alla Commissione trasporti. Almeno la previsione di un parere rafforzato, se non di un esame congiunto, sarebbe stata a mio avviso doverosa rispetto alle competenze della Commissione trasporti, così come sono state definite - non mi risulta siano mutate - all'inizio della scorsa legislatura.
Ritorno però al merito del provvedimento in esame. Positiva per la trasparenza e l'efficienza del mercato è la statuizione Pag. 119che prevede procedure e titoli distinti per ciascuna piattaforma e positivo è almeno uno dei tre divieti previsti tra i criteri della delega. Mi riferisco al divieto di partecipare a procedure relative a piattaforme per le quali non si dispone di titoli abilitativi alla diffusione diretta. Questa misura pare infatti idonea ad evitare che uno o più soggetti forti possano disporre di vere e proprie esclusive su più piattaforme, anche quelle su cui essi non possono diffondere i contenuti, come è accaduto in passato, dando così luogo a fenomeni di pura intermediazione.
Presentano aspetti di maggiore criticità il secondo e il terzo divieto posti dalla legge, vale a dire il divieto di sublicenziare e quello di vendere in tutto o in parte le licenze acquisite. Questi divieti, infatti, mi sembra non disincentivino, anzi forse addirittura, per certi aspetti, in parte incentivano possibili situazioni di monopolio all'interno di singole piattaforme su diritti che hanno grande valore per la raccolta pubblicitaria.
Ma vi sono ulteriori aspetti di criticità. Mi riferisco al fatto che ovviamente non è previsto un obbligo per i soggetti che acquisiscono i diritti nelle diverse piattaforme ad utilizzarli, cioè a diffondere effettivamente i contenuti. È successo così, ad esempio, in passato con i diritti relativi al calcio di serie B in capo alla RAI. Essa ha acquisito i diritti, ma molte partite non le ha mai trasmesse, bloccando al contempo le emittenti locali, che logicamente avrebbero potuto avere un diverso e superiore interesse a trasmetterle.
A questo riguardo, probabilmente sarebbe opportuno che il soggetto organizzatore della competizione provvedesse, all'interno di ogni piattaforma, a «spacchettare» il più possibile i diritti degli eventi sportivi, naturalmente entro certi limiti, perché ci rendiamo anche conto che per monetizzare e avere il maggior reddito dalla vendita dei diritti una certa parte di esclusiva è necessaria.
Si pone poi il problema di eventuali soggetti che, con riferimento allo stesso evento sportivo, acquisiscono diritti su più piattaforme, a cui siano abilitati. In questo caso la scelta eventuale di diffonderli su una piattaforma piuttosto che sull'altra può comportare una scelta distorsiva della concorrenza tra le diverse piattaforme nella conquista degli ascolti e questo, per lo sviluppo delle piattaforme emergenti, può essere un grave limite, posto magari da concorrenti che abbiano interesse a che una certa piattaforma non si sviluppi, si sviluppi meno o con ritardo.
Esiste infine la questione delle piattaforme, in particolare il digitale satellitare, su cui opera un solo operatore e in cui quindi, con la posizione dei divieti ricordati, si confronteranno prevedibilmente un unico venditore ed un unico possibile compratore, con effetti negativi forse anche per gli stessi contitolari dei diritti.
Vero è che la questione di come incentivare una pluralità di soggetti operatori su di una piattaforma non può essere demandata ad una legge sui diritti sportivi, così com'è vero che la società monopolista in questione ha forti limiti antitrust posti dalla Comunità europea. Ma certo un aspetto di criticità anche in questo si riscontra.
Infine, la Commissione cultura in sede referente ha da ultimo preposto la congiunzione coordinante «anche» alla posizione dei tre divieti da parte del Governo nell'esercizio della delega. Ciò ha introdotto una forte discrezionalità al soggetto delegato in ordine alla posizione di questi divieti e anche qualche incertezza interpretativa. Infatti, secondo la lingua italiana, l'articolo risultante potrebbe imporre al Governo la statuizione dei tre divieti come requisito minimo, non escludendo altre misure, oppure come eventualità lasciata alla discrezionalità del Governo. Francamente, questa incertezza interpretativa non mi sembra positiva in ordine ad una questione così delicata nell'ambito del disegno di legge.
Per tutte queste considerazioni il gruppo della Rosa nel Pugno, nel preannunciare il voto favorevole su questo disegno di legge, non può che raccomandare al Governo, in sede di esercizio della delega legislativa e nel pieno rispetto della stessa, di valutare con prudenza gli ambiti Pag. 120di discrezionalità che la legge lascia, magari in stretta consultazione con i diversi operatori del mercato, nonché con i contitolari dei diritti sportivi, cercando di privilegiare la competitività del mercato tra i diversi operatori e, naturalmente, nel supremo interesse dei cittadini consumatori e dei telespettatori, in questo caso.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Cassola. Ne ha facoltà.
ARNOLD CASSOLA. Signor Presidente, signor sottosegretario, colleghe e colleghi, a mio avviso il provvedimento in esame è di particolare importanza; pertanto mi vorrei soffermare su due punti specifici che mi hanno colpito.
Il primo aspetto è costituito dalla trattativa collettiva e non più individuale per quanto riguarda i diritti delle diverse squadre. Si tratta di un elemento positivo, in quanto dai profitti televisivi dovrebbero trarre beneficio tutte le squadre di calcio e non solamente i club più prestigiosi. Occorre, pertanto, che i proventi derivanti dalla vendita dei diritti sportivi siano reinvestiti nello sviluppo del calcio e dello sport giovanile. Non mi riferisco soltanto allo sport considerato come competizione; piuttosto penso all'educazione sportiva, che serve alla formazione dei giovani, alla diffusione dei valori etici nonché alla valorizzazione dei principi di tolleranza e di solidarietà.
Se oggi nelle scuole d'Italia si registrano episodi di bullismo, ciò è dovuto anche alla mancanza di investimento in strutture sportive e ricreative che tanto servono allo sviluppo del carattere. In tale contesto vorrei porgere un saluto ai giovani di Scampia, di Locri, di Napoli e via dicendo che, nonostante la mancanza nei loro territori di strutture sportive ed educative adeguate, stanno fornendo una lezione di rettitudine morale e di dignità a tutto il paese. Quindi, a mio avviso, il provvedimento in esame tende a riconoscere anche più mezzi positivi a chi vuole combattere la mafia, la 'ndrangheta e la camorra.
Il secondo aspetto è particolarmente importante in quanto sono un deputato eletto all'estero. In questo testo viene recepito un mio emendamento - presentato in Commissione cultura insieme ai colleghi Poletti e Razzi - in base al quale l'utente televisivo viene definito e specificato come quello residente in Italia e all'estero. Devo dire, con dispiacere, che vi sono ancora alcuni colleghi che non riescono a capire che i connazionali all'estero hanno pari diritti e pari doveri degli italiani residenti in Italia. L'ultima «sparata» è stata quella del senatore Tomassini che ha definito noi eletti all'estero - cito verbatim - come «soldati di ventura che vengono dall'estero e che si vendono per due o tre emendamenti». Quindi, dobbiamo stare anche attenti nella nostra attività emendativa, altrimenti diveniamo dei mercenari! È ovvio che questo luminare della politica non ha la minima idea di cosa significhi vivere all'estero e di quello che ciò comporta.
Tra le varie questioni vi è anche l'oscuramento, da parte della RAI, dei programmi sportivi e culturali. Evidentemente, non si tratta di un problema di vita o di morte, ma è un problema molto sentito dalla comunità italiana all'estero. Chi vive in Italia non ha la minima idea di cosa significhi ciò, in quanto nelle vostre città la RAI non vi oscura le parate di Buffon, i gol di Grosso o le testate di Zidane. Noi italiani all'estero, invece, siamo condannati da anni a vedere uno schermo grigio, magari anche per 13 ore di fila.
Visto che, come tanti italiani all'estero, vivo tale problematica sulla mia pelle, ripropongo l'emendamento già accolto dalla Commissione cultura anche all'articolo 1, comma 2, lettera e), del disegno di legge in esame.
Così facendo, si rafforzerà il concetto legale di utente televisivo inteso come utente sia in Italia sia all'estero; inoltre, darò anche un ulteriore motivo al senatore Tomassini per apostrofarmi come un soldato di ventura venduto venuto dall'estero. Una bella allitterazione.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Guadagno. Ne ha facoltà.
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WLADIMIRO GUADAGNO detto VLADIMIR LUXURIA. Signor Presidente, Governo, colleghe e colleghi deputati, il disegno di legge che rivede la disciplina sulla titolarità e sul mercato dei diritti televisivi nasce dall'esigenza di porci una domanda: qual è il modello di società in cui vogliamo vivere? Una società di baroni e privilegi, di ricchi sempre più ricchi e poveri sempre più poveri, in un mondo diviso tra opulenza e miseria, la miseria dei tanti sud del mondo - anche quello italiano - ma anche delle periferie del nord? Una società composta da caste, dove solo qualcuno, in genere un'esigua minoranza, si arroga il diritto di avere più potere degli altri e, anzi, vuole che il suo potere si accresca? Dove solo qualcuno si arroga il diritto di concentrare risorse economiche a scapito degli altri, della maggioranza?
È evidente a tutti che la vendita individuale dei diritti TV consentita dai precedenti decreti-legge del 1999 ha creato uno squilibrio enorme con alcune, note, poche squadre che, facendo leva sul maggiore potere contrattuale, hanno di fatto relegato ad un ruolo di marginalità economica tutte le altre, quelle considerate provinciali. Tre grandi squadre del nord, due squadre della capitale e nessuna squadra del sud hanno potuto incassare introiti - lo ricordava il deputato Li Causi - superiori anche di dieci volte rispetto ai guadagni ottenuti dalle altre squadre che, per l'appunto, si sono dovute accontentare degli spiccioli. Certo, spiccioli non di Stato, non soldi pubblici, come ha ricordato il deputato Garagnani, ma pur sempre spiccioli.
Già con l'indagine conoscitiva svolta dal Parlamento nella scorsa legislatura, come è stato ribadito in occasione delle numerose audizioni degli operatori del settore in Commissione cultura, si è appurato che le entrate del calcio italiano, dal 50 all'80 per cento, derivano, per i grandi club, dai diritti TV mentre, purtroppo, solo per il 10-15 per cento risultano dalla vendita dei biglietti e per il resto da sponsorizzazioni e merchandising. Il sistema di oligopolio a favore solo di pochi club - quelli che, non a caso, dal 1999 ad oggi, hanno vinto i campionati - consente solo a questi ultimi un potere di acquisto sul mercato dei calciatori; infatti, nonostante vi sia una tendenza ad una lieve diminuzione dei compensi dei calciatori della serie A, come risulta da una recente inchiesta dell'ufficio studi della Lega calcio, oggi i calciatori più pagati appartengono alle squadre che si sono trovate in questa posizione avvantaggiata dalla contrattazione individuale. Kaka, che con il Milan guadagna più di cinque milioni di euro netti a stagione, Ibrahimovic, Crespo e Vieira che con l'Inter sfiorano i 6 (come Totti con la Roma). La Juve, che dalla serie A, per le note vicende di «calciopoli», è passata alla serie B, fa guadagnare a calciatori del calibro di Buffon e Del Piero cifre intorno ai 5 milioni di euro.
Questo mio indugiare sui compensi alti non è un giudizio morale sulla loro entità; è piuttosto la constatazione che solo chi si prende le fette più grandi della ripartizione della torta dei diritti TV può permettersi giocatori di questo calibro e di questa bravura e che in definitiva i cartelli economici dominanti strangolano, di fatto, la concorrenza.
La contrattazione individuale è l'oppio del calcio. Anche l'ex Presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi, ha definito i diritti vigenti TV «una droga». Nel luglio 2004 dichiarò che tutto lo sport «ha il dovere di guardare agli effetti dei propri comportamenti sui cittadini»; il calcio richiede una «rigenerazione morale» senza la quale i diritti TV «rischiano di essere una droga che uccide il calcio italiano». L'unica droga, potremmo aggiungere, per la quale la scorsa legislatura non ha previsto né sanzioni né carcere né modica quantità.
Il calcio, dunque, risulta inquinato nella sua capacità competitiva da uno squilibrio economico, che rende meno appetibile, più prevedibile, meno spettacolare e più scontato l'esito delle partite. È come se venisse invitato qualcuno a vedere un film di cui sa già il finale. L'incertezza del risultato delle partite è il vero batticuore dei tifosi, l'incentivo ad andare negli stadi. Infatti, il calcio - purtroppo - sta registrando Pag. 122un calo degli spettatori e credo che anche la prevedibilità sia una concausa del fatto che molti preferiscono poltrire davanti alla TV, anziché andare negli stadi. Il calcio ha, dunque, minori introiti negli stadi e registra un diffuso malessere da parte delle tifoserie delle squadre che si sentono «figli di un dio minore». A volte, questo malessere sfocia in episodi di violenza, che non si combattono solo con la repressione, con il biglietto nominale, con la criminalizzazione delle tifoserie, con la militarizzazione degli stadi, ma estirpando alla radice le cause del virus del sospetto, del sospetto che vi è qualcosa che non va, sospetto reso ancora più forte e pericoloso dallo scandalo di «calciopoli», che non può essere considerato amnistiato dalla bella vittoria dell'Italia ai mondiali.
La giustizia sportiva si occupa degli effetti, ma la politica deve occuparsi delle cause. La politica ha il compito di dare alla Lega calcio ed alla Federcalcio principi da seguire. Più soldi, è stato ricordato, vogliono dire risultati sportivi migliori e maggiori, risultati sportivi migliori vogliono dire più audience e più profitti, in un sistema calcio che, più che essere uno sport, diventa sempre più una macchina di profitto; dove vi sono più soldi è più facile il conflitto di interessi, la confusione tra controllati e controllori, in cui i presidenti dei club considerano la sconfitta in una partita più che come una delusione per i tifosi, come una perdita economica. In un sistema così concepito, la corruzione, il non far partire le partite «zero a zero», il non giocare sul campo, ma su un cellulare che ha campo trovano terreno fertile. Da questo punto di vista, vi è l'impegno della nostra Commissione, a livello anche trasversale, a mettere in discussione la quotazione sul mercato delle società calcistiche, ora Spa.
Il corto circuito «calcio uguale business» non è solo causa di doping amministrativi, di indebitamenti, ma anche di doping veri e propri, quando il calciatore, come è stato ricordato dal presidente della Commissione Folena, viene considerato un corpo da spremere per ottenere il massimo della rendita, anche al di là delle capacità fisiche, con l'assunzione di sostanze, come gli anabolizzanti, che certo danno ottimi risultati sul piano del profitto (non solo nel calcio, per la verità); ma nel momento in cui termina l'uso-abuso di tali sostanze, si ricade in un precipizio dove il fisico, ma soprattutto la mente, ne risentono, compromettendo irreparabilmente il ciclo di metabolismo di un normale sviluppo. L'unica regola che vale per il calcio «drogato» è solo l'interesse di mercato: è il machiavellico «il fine giustifica i mezzi». Il problema della tutela della salute del calciatore-lavoratore è un problema di forte attualità in un paese che registra troppe morti sul lavoro.
Quando parliamo di diritti TV lo facciamo solo per un'economia terminologica. In realtà, in questo provvedimento si comprendono anche i diritti derivanti da tutte le piattaforme attualmente esistenti e, considerata una velocissima innovazione tecnologica, da quelle future: il digitale satellitare, il digitale terrestre, il via cavo, il mobile broadcasting, il via UMTS, il via Internet o la banda larga. La delega riguarda anche i proventi derivanti dalla diretta integrale, dalla differita, dalla sintesi, dalla moviola e dai cosiddetti highlights.
Permettetemi di rivendicare alcuni segnali di discontinuità rispetto alla legislatura precedente, ovvero all'idea che vi era stata di non affrontare di petto le questioni, ma di farlo con provvedimenti una tantum, misure eccezionali - di favore, come è stato ricordato -, con il decreto «spalmadebiti», con un taglio di 450 milioni di euro al credito sportivo, mentre l'attuale disegno di legge finanziaria non solo non opera tagli nel settore sportivo, ma prevede un contributo di 33 milioni di euro, 18 dei quali destinati al CONI per preparare al meglio le Olimpiadi di Pechino.
Ma determinante fu la volontà di Forza Italia rispetto al tentativo ricordato, per iniziativa del deputato di Alleanza Nazionale Ronchi, di cambiare la contrattazione da individuale a collettiva. Esso avrebbe potuto avere buon fine, in quanto c'erano Pag. 123i numeri, così come il tempo, ma, se non è stato fatto, un motivo deve pur esserci: probabilmente il solito problema del conflitto di interessi da parte di un partito il cui leader, a cui rivolgiamo tutti i migliori auguri di pronta guarigione, in questa occasione, più che parlare da capo di un Governo, parlava da presidente di una delle squadre che più hanno guadagnato nella contrattazione individuale.
Ricordiamo il giudizio dato da Berlusconi subito dopo anche il solo paventare una legge sulla contrattazione dei diritti TV a livello centralizzato, che definì una «arroganza anticostituzionale»; e teniamo a mente anche alcune dichiarazioni di Galliani, espresse recentemente, in senso contrario a questo disegno di legge.
Stesso conflitto che, questa volta, da proprietario Mediaset, ha portato al regalo fatto dall'ex ministro delle comunicazioni, Gasparri, sul digitale terrestre, con oltre tre anni di contributi pubblici: assistenzialismo al privato per favorire Mediaset, che ha usato il digitale terrestre come una pay tv, con l'invenzione della carta prepagata. Contributi pubblici, nostri, per spingere gli italiani ad acquistare il decoder interattivo (150 euro per ogni esemplare, poi ridotti a 70). Con il caso limite dello stesso polo televisivo che, nel passato, ha acquistato i diritti del calcio, anche per il satellite, pur non disponendo di una propria piattaforma.
L'Unione europea, infatti, ha lanciato una procedura di infrazione per incompatibilità con la normativa comunitaria della legge Gasparri sul riassetto del sistema TV, a scapito di nuovi operatori. Anche da questo punto di vista, il disegno di legge in discussione disciplina le piattaforme per evitare che soggetti operanti in posizione dominante sul mercato acquisiscano diritti per i quali non hanno le necessarie abilitazioni, inquinando le regole del mercato e della concorrenza e ponendo il divieto di sublicenziare i diritti acquisiti. Anche la durata dei contratti dovrà essere tale da evitare posizioni dominanti, così come espresso dalla Commissione europea, dall'Agcom (Autorità per le garanzie delle comunicazioni) e dall'Agcm (Autorità garante della concorrenza e del mercato), distinguendo tra i contratti stipulati prima del 31 maggio 2006, per i quali non vale la regola della retroattività, mentre, invece, varranno le regole per le competizioni sportive che partono dal 1o luglio 2007.
Nel comma 2, lettera e) del disegno di legge, c'è l'impegno a garantire la libera concorrenza anche per la salvaguardia delle esigenze delle emittenze locali, anche queste considerate finora delle squadre minori in un sistema dualistico Rai-Mediaset, nella distribuzione delle risorse pubblicitarie e nel diritto di cronaca, diritto costituzionale all'informazione.
In Commissione cultura, si sono svolte numerose audizioni con la partecipazione di rappresentanti dell'emittenza locale radiotelevisiva, che hanno lamentato, ad esempio, oltre ai problemi per entrare negli stadi, anche l'obbligo di aspettare quattro ore dalla fine delle partite per poter esercitare il diritto di cronaca, che, soprattutto quando le partite si svolgono di sera, costringono ad orari impossibili di trasmissione.
Questo disegno di legge è coerente anche con le dichiarazioni del Consiglio europeo di Nizza del 2000, che considera la solidarietà, la lealtà, l'equilibrio economico come capisaldi di una sana competizione sportiva. Lo sport non è solo un'industria e non è solo business: dovrebbe essere interesse di tutte le squadre avere altre squadre che partono dallo stesso nastro di partenza. È chiaro che, da sempre, nella storia, in un campionato ci sono state squadre più forti di altre, ma - qui riporto le parole di Antonio Catricalà, presidente dell'Agcm, rese nel corso dell'audizione - con l'ingresso della contrattazione individuale dei diritti televisivi, le differenze si sono acuite in modo sproporzionato, al punto da mettere in crisi l'intero sistema.
Nella logica dello sport come attività agonistica, e non di cieca logica del business, abbiamo accolto anche una proposta emendativa presentata dall'opposizione (più in particolare, dai deputati Barbieri e Ciocchetti, del gruppo dell'UDC) per cambiare Pag. 124la definizione di chi ama e segue lo sport da «consumatore» a «utente».
La ripartizione dei diritti televisivi assegna, in modo spontaneo o altrimenti obbligato, una quota uguale a tutte le squadre; le restanti risorse sono ripartite in base al bacino d'utenza ed ai risultati conseguiti, mentre una quota residua è destinata a fini di mutualità generale del sistema sportivo.
Credo che uno sport più bello sarebbe, però, anche quello in cui le risorse economiche non vengano spese dalle società solo per l'acquisto dei giocatori o, peggio ancora, solo per tenerli in panchina, congelandoli, pur di non farli giocare in altre squadre. Le risorse, infatti, dovrebbero essere usate anche, ad esempio, per il riscaldamento degli stadi, per la manutenzione degli impianti e per la valorizzazione dei vivai.
Si rende, dunque, necessario un controllo del bilancio delle squadre, per accertarsi della copertura delle somme elargite per il calcio mercato. Non bisogna usare, infatti, l'annuncio infondato dell'acquisto di un calciatore per vendere le azioni e, poi, lasciare con un palmo di naso gli azionisti ingannati!
Il partito della Rifondazione Comunista-Sinistra Europea esprime un giudizio positivo sul disegno di legge in esame, per il quale la delega è, semplicemente, un mezzo necessario per rendere il calcio uno sport esemplare, un modello per i giovani ed uno strumento contro il disagio giovanile.
Il calcio italiano è un'immagine molto forte dell'Italia all'estero, e chi ama il paese in cui vive desidera che anche all'estero si parli più del gioco giocato che di quello trattato nelle aule giudiziarie. Il calcio non è solo affare privato: infatti, è emulato dai ragazzi, dai bambini che giocano nei campi e per le strade con un pallone e scarpe da ginnastica, per chi può permetterselo, o nelle bidonville africane con scarpe di plastica e palloni ottenuti con materiale povero.
Il calcio è la disciplina sportiva più seguita e partecipata, è il senso comune, anche se ciò deve spingerci non alla monocultura del calcio, ma a ricordare anche tutte le altre discipline, comprese quelle femminili, che ci hanno dato tanta soddisfazione. Occorre permettere che le televisioni possano avere la libertà di trasmettere, anche in contemporanea con le partite di calcio, le gare di altre discipline nei palinsesti televisivi.
Il calciatore Rino Gattuso, anche se gioca in una squadra colpita da «calciopoli», è una delle persone maggiormente impegnate nell'aiuto ai ragazzi disagiati, per offrire loro una chance con il calcio. Non dobbiamo permettere che anche l'oligopolio nel calcio faccia risolvere «a tarallucci e vino», come ha affermato lo stesso Gattuso, il problema della corruzione e dello squilibrio economico.
Concludo, signor Presidente. Quando si è eticamente e politicamente responsabili, si ha la faccia pulita per chiedere lealtà, solidarietà e spettacolarità alle partite di calcio, nonché per insegnare che l'avversario non è un nemico e che il colore della pelle di un calciatore non può essere motivo di insulto negli stadi.
Bisogna dimostrare che il calcio, come ha scritto Gianni Mura su la Repubblica, non deve essere fiero delle sue malattie, ma ha l'obbligo di estirpare il male vero: il mercatismo, la prepotenza ed il bullismo del profitto (Applausi)!
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole De Biasi. Ne ha facoltà.
EMILIA GRAZIA DE BIASI. Signor Presidente, signor sottosegretario, colleghe e colleghi, vi sono molte buone ragioni per sostenere il disegno di legge che delega al Governo la revisione della disciplina relativa alla titolarità ed al mercato dei diritti televisivi.
Non vi è dubbio, infatti, che le note e tristi vicende che, giornalisticamente, vengono chiamate «calciopoli» abbiano dato una spinta non indifferente alla definizione di nuove regole, anche se credo che, in ogni caso, vi sarebbe stato bisogno di varare una nuova disciplina in materia.
Viviamo, si sa, in una società che, spesso, fa del mercato il metro di misura Pag. 125delle attività; ma quando si entra nel campo dello sport - il quale, per antonomasia, dovrebbe fondarsi sulla libera competizione delle capacità, e non dei profitti -, si assiste ad uno snaturamento del valore sociale dello sport.
Ciò che è accaduto nel mondo del calcio non può essere cinicamente annoverato nella ben nota «questione morale», poiché è successo qualcosa di più e di diverso. Infatti, per numerosi cittadini si è trattato della rottura di un sogno (quello della pulizia dello sport); per molti giovani è stata la caduta dell'illusione di un tifo appassionato e senza interessi; per il nostro paese, si è trattato di un danno internazionale in termini di immagine e di prestigio, essendo stato umiliato, ancora una volta, da intercettazioni, mazzette, corruzioni ed accordi sottobanco di controllori e controllati.
Dunque, la prima domanda alla quale rispondere è se sia possibile, almeno nel calcio, un'autoriforma del sistema. La legge inizia a dare alcune risposte ricollocando la materia nel contesto europeo attraverso il riconoscimento del carattere sociale dell'attività sportiva e della specificità del fenomeno sportivo secondo quanto affermato nella dichiarazione del Consiglio europeo di Nizza del 2000. Si specifica la necessità di assicurare una tutela relativa agli eventi sportivi per gli utenti dei prodotti audiovisivi e ciò è significativo per due motivi: il primo è che si parla di utente e non più di consumatore, accentuando il carattere di servizio rispetto a quello di prodotto commerciale; il secondo attiene alla tutela dei minori e all'importanza che ha per i ragazzi lo sport come fenomeno formativo ed emulativo, volto ad educare alla non violenza, alla fatica della conquista, al riconoscimento delle proprie forze e dei propri limiti, all'idea che l'avversario non è un nemico, alla competizione pulita e all'onestà, all'importanza delle regole per convivere. Non è poco per una società come la nostra, in cui troppo spesso il messaggio che si veicola è quello del successo facile, delle regole come impaccio-impiccio per il raggiungimento per il proprio scopo, della furbizia come indice di potere, del denaro come misura di tutte le cose, della clientela che vince sul merito.
Sono obiettivi di civiltà sociale, che devono riguardare tutti gli attori del sistema, le istituzioni, le società, la Lega calcio, le altre discipline sportive e il mondo della comunicazione nel suo insieme. Lo dico perché sono convinta che questa funzione non possa essere solo del servizio pubblico radiotelevisivo, e perché credo che vi sia una funzione pubblica di tutta la comunicazione, ancora di più oggi nell'era della convergenza multimediale. È chiaro, perciò, che garantire l'equilibrio competitivo dei soggetti partecipanti alle competizioni sportive è un tutt'uno con l'obiettivo di realizzare un sistema idoneo a garantire trasparenza ed efficienza del mercato dei diritti di trasmissione degli eventi sportivi. Entrambi gli obiettivi concorrono a restituire allo sport la sua vocazione sociale originaria. Da questo punto di vista ritengo importante la scelta, presente nel disegno di legge, di destinare una quota delle risorse alla mutualità generale del sistema, anche attraverso regole che potranno essere determinate dal soggetto preposto all'organizzazione della competizione sportiva, favorendo così una possibilità di autorganizzazione del settore, e che la ripartizione delle risorse per la mutualità valorizzi ed incentivi le categorie inferiori e lo sviluppo del settore giovanile.
La seconda domanda a cui il disegno di legge risponde è relativa alla concorrenza e alle pari opportunità di gara per tutte le società sportive. Il rapporto indipendente sul calcio europeo, già citato dal relatore, segnala la necessità di approfondire i temi del governo del calcio ed il ruolo delle autorità indipendenti, il controllo sulle società calcistiche, la fissazione di un limite alle spese, la disciplina dell'attività degli agenti dei calciatori e dei trasferimenti, la distribuzione dei ricavi e lo sviluppo del movimento di base, gli investimenti per stadi sicuri. Tra le misure rivolte a garantire l'equilibrio tra le squadre partecipanti ad una stessa competizione, il rapporto individua la redistribuzione Pag. 126delle risorse mediante la vendita collettiva dei diritti commerciali e propone l'adozione da parte della Commissione europea di linee guida relative all'applicazione allo sport delle regole sulla concorrenza. La stessa Commissione europea, del resto, ha deliberato nel 2003, nel 2005 e nel corrente anno, riconoscendo che i club calcistici sono avvantaggiati dalla vendita dei diritti commerciali tramite un punto unico e che pertanto gli eventuali effetti negativi derivanti dall'accordo comune di vendita sono controbilanciati dalla maggiore quantità di contenuti resi disponibili per una più ampia distribuzione, promuovendo così il progresso tecnico ed economico dei contenuti mediatici stessi e dei nuovi vettori mediatici che li distribuiscono.
Il disegno di legge in esame, dunque, altro non fa che portare l'Italia in Europa. Il percorso non è semplice, poiché si tratta di mettere mano ad una materia che, per la parte relativa alle tecnologie e alle piattaforme, è in fase di veloce evoluzione e, dunque, si tratta di normare con la necessaria flessibilità rispetto al concetto di posizione dominante, di rispetto delle disciplina antitrust, di libera concorrenza, tenendo conto della fase di transizione dall'analogico al digitale e dell'avvento delle piattaforme emergenti, per le quali, correttamente, si prevede un successivo adeguamento normativo.
Sta di fatto, comunque, che la scelta di fondo - di ridefinire la vendita dei diritti televisivi non più sulla base della vendita individuale, ma centralizzata - rappresenta un'innovazione di sistema che tende a riequilibrare la distribuzione delle risorse e, nel contempo, pone rimedio alle disuguaglianze fra società prodotte dalla vendita individuale. Insomma, si è trattato di un'evidente disparità economica e, quindi, anche tecnica fra società, a cui si rimedia con una rinnovata idea di mutualità.
Ma la commercializzazione in forma centralizzata dei diritti porta con sé conseguenze importanti anche sul piano della definizione, nel nostro paese sempre assai difficile, della libera concorrenza tra gli operatori della comunicazione, della realizzazione di un sistema equilibrato dell'offerta televisiva in chiaro ed a pagamento e della salvaguardia delle emittenze locali.
I criteri mi appaiono chiari: garanzia di accesso e pari trattamento a tutti gli operatori in possesso dei titoli abilitativi; commercializzazione per singola piattaforma; divieto di acquisire diritti relativi a piattaforme per le quali non si possiede il titolo abilitativo; divieto di sublicenziare i diritti acquisiti; divieto di cedere i relativi contratti di licenza. Non è poco in un paese che ha, a tutt'oggi, una normativa assai incerta sulle concentrazioni e le posizioni dominanti. Certo, penso che la normativa andrà adeguata per le piattaforme emergenti e, credo, più in generale, alla luce della prossima riforma del sistema delle telecomunicazioni. Del resto, l'equilibrio tra riforma ed autoriforma del sistema è la migliore garanzia per una legislazione flessibile, non invadente, ma ferma nei sui principi di fondo.
La convergenza multimediale cambia in profondità il modo stesso di intendere il mezzo, e modifica la percezione del contenuto e le modalità della sua fruizione. Si aprono grandi possibilità, per gli operatori della comunicazione e per gli utenti (che poi, alla fine, sono cittadini), di produrre, accedere, personalizzare l'informazione. Il disegno di legge in esame va in questa direzione: è un primo passo per una maggiore democrazia dell'accesso e della fruizione; è un passo decisivo per far vivere nella contemporaneità del nostro tempo quel valore antico e attuale dello sport come passione di tanti, perché emozionante, bello, pulito (Applausi).
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Costantini. Ne ha facoltà.
CARLO COSTANTINI. Signor Presidente, colleghi, signor sottosegretario, il disegno di legge che stiamo esaminando deve essere valutato, a mio parere, nel contesto in cui è stato pensato ed elaborato. Questo principio deve precedere ed accompagnare la formazione di giudizi e Pag. 127di valutazioni da parte di chi, come noi, è chiamato all'assunzione di responsabilità pubbliche. Ciò deve avvenire in tutti i casi e, a maggior ragione, nel caso oggi all'esame dell'Assemblea.
Ho fatto questa premessa perché se, come fanno alcuni colleghi di maggioranza, dovessi esaminare il disegno di legge senza considerare il contesto in cui esso è nato, dovrei dire anch'io che, per certi versi, è inopportuno, perché potrebbe incidere sull'autonomia di imprese (perché tali devono essere considerate le società calcistiche da quando hanno acquisito il fine di lucro); che è inopportuno, perché potrebbe ledere l'autonomia dello sport, là dove prevede che il Governo, nell'esercizio della delega, possa sostituirsi alla Lega e definire direttamente la ripartizione delle risorse economiche e finanziarie assicurate dal mercato dei diritti di trasmissione, comunicazione e messa a disposizione del pubblico in sede radiotelevisiva e su altre reti di comunicazione elettronica; che trascura la vera origine dei mali del calcio, che molti, in sede di indagine conoscitiva, hanno fatto risalire al perseguimento del fine di lucro da parte delle società sportive e addirittura alla loro quotazione in borsa in un contesto radicalmente diverso da quello spagnolo e soprattutto inglese, nel quale il patrimonio delle società non coincide quasi esclusivamente con il parco giocatori, ma anche con la proprietà di immobili e, spesso, degli stessi stadi.
Conosciamo tutti, però, la condizione di grave difficoltà del sistema calcistico italiano, consapevole, in tutte le sue componenti, della necessità di adottare meccanismi attraverso i quali ripartire in modo più congruo ed equo le risorse tra tutti i partecipanti al campionato di calcio di serie A e tra la massima divisione e la categoria inferiore.
Al tempo stesso, il sistema è incapace di dotarsi di regole nuove, idonee a rivalutare il principio di mutualità. Sappiamo anche che questa incapacità si è protratta anche successivamente all'approvazione unanime, nella scorsa legislatura, dei risultati dell'indagine conoscitiva sul calcio professionistico, che pure avevano offerto al mondo del calcio l'occasione di dotarsi di sistemi di ripartizione delle risorse più equi e più trasparenti.
Conosciamo, infine, le conseguenze prodotte dai recenti scandali che hanno colpito il mondo del calcio professionistico, scandali che tradiscono, in modo non equivoco, l'urgente necessità di interventi idonei a ripristinare l'equilibrio nel sistema, un equilibrio violato da meccanismi che, ancora oggi, considerano prevalenti gli interessi della singola società calcistica (molto spesso i grandi club soltanto) rispetto all'interesse dell'intero mondo del calcio professionistico e, più in generale, dello sport nazionale.
È in questo contesto, che non esiterei a definire emergenziale, che matura l'iniziativa del Governo, finalizzata ad introdurre nel sistema alcuni semplici principi, tra i quali considero più significativi quello del superamento della vendita soggettiva dei diritti televisivi, e di comunicazione in genere, con l'affermazione del principio della commercializzazione in forma centralizzata dei medesimi diritti, e quello della equa ripartizione tra i soggetti partecipanti alle competizioni sportive delle corrispondenti risorse economiche e finanziarie, in modo da assicurare l'equilibrio competitivo di tali soggetti, secondo i criteri definiti al comma 3, lettera h), dunque con l'attribuzione in parti uguali di una quota prevalente delle risorse e l'attribuzione delle restanti risorse al soggetto preposto all'organizzazione della competizione sportiva.
È un disegno di legge che la Commissione ed il presidente Folena nella veste di relatore, con il consenso del Governo, hanno saputo profondamente modificare, soprattutto con l'intervento apportato al comma 3, lettera h), per effetto del quale, oggi, è il soggetto preposto all'organizzazione della competizione sportiva, e non necessariamente il Governo con l'esercizio della delega, che può autonomamente intervenire per definire un sistema di regole applicative dei criteri di ripartizione dei proventi, stabiliti nella medesima lettera h).Pag. 128
Il senso di questa modifica risulterà ancora più chiaro e rafforzato con l'auspicata approvazione di un ordine del giorno che stiamo predisponendo e che risulterà particolarmente incisivo, proprio perché assunto nel contesto di una legge delega. L'ordine del giorno, se approvato, impegnerà formalmente il Governo a tenere conto, nell'esercizio della delega, delle decisioni che, nel frattempo, potranno essere assunte autonomamente dalla Lega nazionale professionisti in tema di distribuzione delle risorse economiche, sempre che detta decisione rispetti i principi ed i criteri determinati dalla legge delega medesima.
Non vi è, quindi (e questo è importante), la rinuncia da parte del centrosinistra ad intervenire, riconsiderando le disposizioni legislative che hanno introdotto il fine di lucro nelle società calcistiche o, addirittura, la loro quotazione in borsa, come sollecitato da alcuni emendamenti di colleghi del centrodestra. Non vi è neppure il rischio di intervento dirigista dello Stato, lesivo dell'autonomia dello sport, come concretamente dimostrato dal consenso espresso dal Governo sull'emendamento che restituisce, sia pure entro determinati limiti di tempo, alla Lega la prerogativa di definire le regole attraverso le quali attuare i criteri distributivi dei proventi dalla vendita di diritti televisivi. Vi è, semplicemente, l'urgenza e la necessità di operare un intervento che costituisca un punto di incontro tra l'esigenza di rispettare l'autonomia del mondo del calcio e l'esigenza di operare interventi condivisi da tutti ed ormai non più rinviabili (mi riferisco alla commercializzazione in forma centralizzata dei diritti televisivi e soprattutto all'introduzione di principi di mutualità) con la consapevolezza delle difficoltà di autoriformarsi, che il sistema fino ad oggi ha manifestato.
Personalmente, ritengo che il Parlamento sia sulla buona strada sia per il contenuto del disegno di legge in esame sia per le dichiarazioni impegnative che, in molti, abbiamo reso in Commissione, in ordine alla condivisione dei più significativi suggerimenti contenuti negli emendamenti presentati dai colleghi del centrodestra e dall'esigenza, però, che questi suggerimenti si trasformino in autonoma iniziativa legislativa di riforma del sistema.
Il successo del nostro lavoro sarà compiutamente valutabile nei prossimi mesi e sarà in parte legato, proprio per la natura degli argomenti trattati, all'approccio, rispetto all'intera riforma del sistema che dovremo completare, che avranno anche i colleghi della minoranza, approccio che, per quanto ovviamente critico e diverso dal nostro, mi è parso comunque, fino ad oggi, non strumentale, collaborativo e, a tratti, anche propositivo.
PRESIDENTE. È iscritto a parlare l'onorevole Ciocchetti. Ne ha facoltà.
LUCIANO CIOCCHETTI. Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, onorevoli colleghi, relatore, un dibattito come questo meritava un orario diverso da quello in cui siamo stati confinati, ma avremo modo, spero, durante l'esame degli emendamenti e nelle dichiarazioni di voto, di discutere in un orario più decente. Speravo anche che si potesse arrivare a discutere un testo condiviso su un tema che, almeno per quanto riguarda il concetto della gestione dei diritti centralizzati, è sostenuto sia dal centrosinistra che dal centrodestra. La questione centrale era quella di superare la legge del 1999, più volte richiamata da chi mi ha preceduto, e tornare ad una gestione centralizzata dei diritti.
Non voglio fare dietrologia né ripercorrere la storia che nel 1999 portò l'allora Governo di centrosinistra ad approvare un decreto-legge, adottato nel corso di una notte, che cambiò un meccanismo fino a quel momento funzionale, prima nel rapporto diretto con la RAI e successivamente con gli altri soggetti e le altre piattaforme, anche in rapporto all'evoluzione tecnologica che nel settore della radiotelevisione si è avuta (e si avrà) nel corso del tempo. Voglio ricordare che nel dossier predisposto dagli uffici della Camera è contenuta in modo evidente la discussione sviluppatasi per circa cinque anni all'interno della Pag. 129Lega calcio e delle società, non solo di quelle grandi. Qui sta il punto di alcune contraddizioni emerse nel corso del dibattito di questa sera, soprattutto negli interventi di alcuni colleghi del centrosinistra. Essi infatti hanno affermato che il sistema attuale è stato voluto ed ha favorito soltanto le grandi società. Invece, se ricordiamo quanto avvenuto prima del 1999, si vedrà che le prime società a stipulare contratti soggettivi, prima della legge approvata dal governo D'Alema, dove il ministro Melandri all'epoca deteneva il dicastero dei beni culturali con delega ad affrontare le questioni relative allo sport, furono nel 1998 l'Empoli, il Bologna, il Cagliari, il Torino e il Bari. Certamente esse si mossero insieme al Milan, alla Juventus, all'Inter e al Napoli. Tuttavia, nella lista erano presenti anche società non considerate fra le grandi «tre sorelle», cui vanno aggiunte le due «sorelline», come possono essere considerate Roma e Lazio.
Insomma, si tratta di una questione complessa così come è complesso l'approdo che nel 1996 portò alla modifica sostanziale della natura giuridica delle società di calcio. Mi riferisco alla trasformazione da società senza scopo di lucro in società con scopo di lucro e poi in società per azioni con addirittura la possibilità di quotarsi in borsa. Si tratta di un tema centrale, a mio avviso più importante della gestione dei diritti televisivi perché ha stravolto la natura giuridica delle società di calcio nel nostro paese, innestandola in un meccanismo di impresa non propriamente riferibile a tali realtà per il tipo di attività e di patrimonio che esse hanno a disposizione in Italia. Dato che qualcuno ha parlato in modo semplicistico di stadi di proprietà, voglio ricordare che gli stadi delle società di calcio - con l'eccezione dello stadio Olimpico di Roma, di proprietà del CONI - appartengono tutti alle amministrazioni comunali che in qualche caso (vedi Terni) ne vietano la disponibilità alla squadra della città (nella fattispecie la Ternana). In proposito esiste un contenzioso innanzi al TAR e al Consiglio di Stato tra la società di calcio della Ternana ed il comune di Terni. Credo che sia opportuno ricordare tutto questo ai vostri sindaci e ai vostri amministratori che governano l'80 per cento dei comuni di questo paese.
A mio avviso la questione della legge n. 91 del 1981 va affrontata, ma non sono d'accordo con il collega Bono sul fatto che ciò avvenga all'interno di questo provvedimento. Infatti, serve un intervento legislativo che modifichi quella legge e che soprattutto intervenga su una situazione giuridica compromessa.
Va individuata quindi anche una soluzione in grado di ridefinire lo status giuridico delle società di calcio professionistiche, e di prevedere un meccanismo che consenta di fare un delisting della quotazione in borsa, sia pure con un provvedimento che c'entra poco con la questione al nostro esame.
Entrando nel merito del testo licenziato dalla Commissione, esprimo apprezzamento per il lavoro svolto dal relatore, che ha tenuto in considerazione il dibattito svoltosi in quella sede.
Rispetto al testo presentato dal Governo, in quello della Commissione vi è una maggiore attenzione all'autonomia dello sport che, a mio avviso, non è però sufficiente: vi è comunque una linea di tendenza che rafforza e riconosce quell'autonomia su cui il testo del Governo, totalmente dirigista e ideologico, andava ad incidere pesantemente. L'autonomia dello sport è stata richiamata nel dibattito di oggi, così come lo sono state alcune disposizioni internazionali, quali ad esempio i Trattati di Nizza e di Maastricht, nei quali l'autonomia dello sport è riconosciuta, appunto, a livello europeo e internazionale.
Nell'originaria formulazione del Governo si interveniva in maniera pesante, definendo le percentuali in maniera precisa e specifica, quasi come se il Governo dovesse destinare i fondi pubblici alle società di calcio. Stiamo parlando di soldi privati legati a trattative o all'esercizio di un'attività, che spettano a chi organizza il campionato di calcio e alle società che vi partecipano. Occorre quindi lasciare allo Pag. 130sport una forte autonomia, tale da consentirgli di determinare le condizioni di ripartizione delle risorse.
Ritengo che questa sia una delle questioni su cui si è fatto qualche passo in avanti, grazie al lavoro svolto dal relatore e all'emendamento presentato dal collega Costantini in Commissione. Se però alla lettera h) del comma 3 la parola «anche» fosse stata sostituita da «prioritariamente», ciò avrebbe consentito a noi di modificare la nostra posizione di voto sul disegno di legge in esame. La parola «anche» costituisce certamente un passo in avanti e mi riferisco al punto in cui, alla lettera h) del comma 3 dell'articolo unico, si dice: «anche attraverso regole che possono essere determinate dal soggetto preposto all'organizzazione della competizione sportiva». Dal punto di vista giuridico, l'utilizzo della parola «anche» lascia chiaramente aperte varie interpretazioni e tempi diversi nella possibilità di esercitare la delega da parte del Governo.
Spero ancora che da parte del relatore, della maggioranza e del Governo possa esservi un intervento con piccole modifiche che consentirebbero di conservare l'assetto che avete costruito, fissando al contempo alcuni capisaldi, quali ad esempio il rispetto dell'autonomia dello sport, per lasciare alla Lega calcio (soggetto che organizza il campionato di calcio) la determinazione al proprio interno e al Governo la possibilità di intervenire nel caso in cui la Lega non dovesse svolgere quel ruolo e venisse meno a quell'adempimento.
L'altro punto su cui non siamo d'accordo è quello previsto al punto d) del comma 3, laddove, in maniera dirigistica, si specifica quali siano i modelli di gara che debbono essere predisposti dal soggetto organizzatore del campionato di calcio, anche attraverso la «disciplina della commercializzazione in forma centralizzata dei diritti di cui al comma 1 sul mercato nazionale anche attraverso divieti di acquistare diritti relativi a piattaforme...»
Noi abbiamo cercato di spiegare in Commissione, anche presentando degli emendamenti, che nel nostro modello dello Stato - credo che su questo ci dovrebbe essere un accordo condiviso, che va al di là degli schieramenti e delle coalizioni - vi sono una serie di autorità, che peraltro abbiamo anche audito in Commissione: parlo dell'Autorità per la concorrenza e dell'Autorità per le comunicazioni, che hanno una competenza nel regolare tali questioni. Quindi sinceramente non capisco perché una legge debba intervenire in maniera dirigistica, per definire quali sono le piattaforme, anche perché questo è un settore in continua evoluzione.
Noi dunque dobbiamo predisporre necessariamente una normativa flessibile, in modo tale che, se nei prossimi anni ci saranno delle nuove piattaforme tecnologiche, dei nuovi strumenti di supporto che la Lega calcio, che le società di calcio, che il mondo complessivo dello sport potranno utilizzare per commercializzare le proprie partite e la propria attività, sia possibile prenderle in considerazione non necessariamente attraverso una modifica della legge, bensì attraverso delle autorità di garanzia e controllo - d'altronde sono state create apposta - che possano nel tempo, in modo flessibile, garantire il rispetto sia delle autonomie sia della concorrenza, nonché impedire la creazione di posizioni dominanti ed al tempo stesso regolare il sistema.
Quello al nostro esame, invece, non è il modo per regolare il sistema. Questo è il modo per decidere per legge, o successivamente per decreto legislativo da parte del Governo, cosa si può fare e cosa invece non si può fare. Noi su questi due punti non siamo d'accordo ed essi ci porteranno, se non verranno affrontati nel dibattito, a votare contro. Spero ci siano ancora le condizioni per trovare una mediazione, perché non è piacevole votare contro una normativa rispetto alla quale nutriamo fiducia e con riferimento alla quale per primi abbiamo presentato in questa legislatura una proposta di legge, una normativa, peraltro, che ha visto il nostro gruppo impegnato anche nella passata legislatura per arrivare ad approvare - ma Pag. 131purtroppo non è stato possibile - un provvedimento specifico al riguardo. Spero quindi ci siano le condizioni per poter intervenire.
Credo inoltre sia giusto esprimere alcune considerazioni - avviandomi alla conclusione, vista l'ora - sull'attuale situazione degli strumenti e delle piattaforme esistenti. Oggi nel settore della gestione dei diritti televisivi, e cioè della possibilità per l'utente di assistere allo spettacolo del calcio e quindi di vedere le partite, c'è una posizione dominante evidente, perché sul satellite, se io voglio vedere una partita, devo avere l'abbonamento soltanto con Sky. Non ho, non abbiamo alternative, ma questo non viene detto nel dibattito e non è stato detto da nessuna parte. Vi è dunque una posizione dominante che non è quella di Mediaset, bensì quella di Sky, che mantiene il 100 per cento di quello che si vede sul satellite, anche se in realtà una disposizione dell'Autorità per la concorrenza prevede che non possa essere mantenuto più del 60 per cento del mercato per ogni singola piattaforma.
Invece, per quanto riguarda il digitale terrestre, di cui si è molto parlato sia in Commissione sia oggi in quest'aula, in qualche modo cercando di far passare la linea che ci sia una posizione dominante, si tratta di un settore ancora molto di nicchia: gli investimenti sono stati fatti soltanto da due soggetti, Mediaset e La7. La RAI non ha investito un euro, pur avendo la possibilità di farlo! Forse dobbiamo chiederci perché la RAI sul digitale terrestre non abbia investito nulla, non solo sul calcio, ma anche su altro. Al riguardo, basti vedere qual è la programmazione della RAI sul digitale terrestre. Forse dovremmo chiedere perché si sia lasciato investire solo a Mediaset e a La7, appunto non per loro decisione, ma per la decisione della RAI di non investire nulla. Addirittura sul digitale terrestre ha investito più la rete Sportitalia che non la RAI. Credo che questa sia una questione che il Parlamento, al di là degli schieramenti politici, dovrebbe porsi.
Quindi, almeno dal punto di vista del calcio, occorre fare un approfondimento più attento sulle eventuali posizioni dominanti che, in questo momento, esistono rispetto alle partite. Credo che ciò che ho dichiarato corrisponda esattamente alla realtà.
Auspico che vi siano ancora le condizioni per arrivare ad una definizione. Abbiamo condotto una battaglia per evitare la delega, non per motivi ideologici, né per fare opposizione. Assolutamente. Se effettivamente (lo chiarisco non per motivi ideologici; è una questione sulla quale si può tranquillamente discutere) il Governo e la maggioranza ritenevano che questo fosse un tema urgente, sarebbe stato meglio elaborare un provvedimento che stabilisse, in maniera specifica, cosa bisognava fare il giorno immediatamente successivo all'entrata in vigore. Se avessimo avuto un testo di legge senza la delega, sicuramente oggi avremmo discusso su un provvedimento definito; all'esito dell'approvazione da parte delle due Camere, avremmo avuto un testo che non avrebbe rimandato tutto per altri sei mesi. Quindi, dovete spiegarmi come si configura l'urgenza con la procedura di delega.
Dato che non si tratta di una questione ideologica, caro relatore, non poniamo problemi. I problemi sono i due che ho sollevato in precedenza. Sulla delega siamo disponibili a discutere; anzi, in una proposta emendativa che abbiamo presentato sia Commissione sia in aula prevediamo la delega per quanto riguarda il periodo transitorio, perché oggettivamente esiste un problema di corrispondenza con i contratti in essere, con i contratti che hanno una valenza che va oltre l'entrata in vigore della nuova condizione giuridica di trattamento dei diritti televisivi; quindi, tale questione necessita di un tavolo di approfondimento, al di là dell'approvazione di una legge ordinaria.
Queste sono le questioni che interessano al gruppo dell'UDC e che speravo potessero trovare maggiore corrispondenza nel lavoro di Commissione. Vi è stata l'apertura da una parte e la chiusura dall'altra da parte del Governo e della Pag. 132maggioranza; alcune posizioni anche di alcuni gruppi e colleghi dell'opposizione, probabilmente, non hanno consentito di arrivare ad un lavoro più approfondito in Commissione (bisogna riconoscerlo); per quanto ci riguarda, abbiamo dimostrato sempre una disponibilità a discutere nel merito, a trovare soluzioni con un unico scopo: quello di tornare alla gestione dei diritti televisivi in maniera centralizzata, pur mantenendo l'autonomia dello sport.
PRESIDENTE. È iscritta a parlare l'onorevole Balducci. Ne ha facoltà.
PAOLA BALDUCCI. Signor Presidente, signor sottosegretario, onorevole relatore, colleghe, colleghi, vi sono valide e serie ragioni per sostenere questo disegno di legge.
In prima battuta, vorrei ringraziare il relatore per lo sforzo e l'impegno che ha dedicato nell'affrontare un tema così complesso e delicato. Sicuramente, è uno di quei nervi scoperti del nostro ordinamento sportivo che necessita, comunque, di una riforma seria, convinta e durevole.
Il sistema sportivo italiano e, in particolare, il settore del calcio professionistico non può che accogliere favorevolmente i principi e le innovazioni contenute nel disegno di legge delega n. 1496, presentato dal ministro per le politiche giovanili e le attività sportive e dal ministro delle comunicazioni, di concerto con i titolari dell'economia e delle finanze e delle politiche comunitarie.
Punto centrale del disegno di legge delega è l'attuazione della vendita collettiva e centralizzata dei diritti televisivi sugli eventi sportivi, con la conseguente ridistribuzione degli utili tra le varie società sportive secondo un articolato sistema che tenga conto dei meriti sportivi, del bacino di utenza di ciascun club e del contributo indifferenziato che tutte le squadre, anche le meno blasonate, apportano allo svolgimento dei campionati. L'intervento è senza dubbio il frutto di un'attenta analisi delle esigenze peculiari del mercato dello sport mirante a contemperare tali esigenze con il valore sociale e culturale del fenomeno sportivo, in ossequio - spesso dimentichiamo che siamo in Europa - ai principi enunciati in sede europea con la dichiarazione di Nizza del dicembre 2000.
Dunque, una riforma condivisibile per il suo obiettivo, che è quello di disciplinare il mercato dei diritti televisivi, degli eventi sportivi, senza soffocarlo, per attuare tra gli operatori una concorrenza vera, in grado di tutelare il prodotto sport e di realizzare anche l'interesse dei consumatori.
È noto che l'eccessiva onerosità dei costi di acquisizione dei contenuti calcistici influisce sulla scelta dei gruppi imprenditoriali di non investire nell'acquisto dei diritti stessi. Ma una riforma è condivisibile anche per le attente modalità di attuazione che prevedono il passaggio graduale alla nuova modalità di vendita dei diritti televisivi degli eventi sportivi, anche attraverso il coinvolgimento delle strutture di autogoverno dello sport, nel rispetto della loro vocazione autonomistica.
La sport professionistico, in particolare il calcio, che ne costituisce l'avanguardia economica ed imprenditoriale, rappresenta un prodotto assolutamente unico ed originale che va tutelato, tenendo ben presenti le sue caratteristiche specifiche.
La pesante crisi economica che ha colpito i club calcistici solo pochi anni fa ha insegnato che anche la domanda di eventi sportivi presenta una propria rigidità che va individuata nella qualità dell'evento sportivo. Il fruitore di sport è un consumatore esigente proprio per quello che lo sport rappresenta o dovrebbe rappresentare: spettacolarità del gesto atletico, agonismo, incertezza della competizione, lealtà e fair play.
Un sistema sportivo sarà, dunque, tanto più competitivo, attraendo il pubblico e gli sponsor quanto più le competizioni riusciranno ad essere incerte, appassionanti e trasparenti perché espressione di un agonismo effettivo. È proprio in questa direzione che si muove il disegno di legge posto alla nostra attenzione: garantire a tutti gli artefici del prodotto sport, anche i club più piccoli, la possibilità di partecipare Pag. 133in condizioni di competitività alla gara sia che si tratti di una vera e propria gara sportiva sia che si tratti di gara con le imprese concorrenti. Una competizione in cui a tutti sia data la possibilità di vincere, anche i più piccoli, nei limiti in cui riescano a dimostrarsi capaci e meritevoli.
Forse, questa scelta coraggiosa potrà gravare nell'immediato sul bilancio di due o tre grandi società sportive, ma potenzierà e garantirà nel medio e lungo periodo la competitività dell'intero settore sportivo italiano rispetto a quelli delle altre grandi nazioni europee - Inghilterra, Francia, Spagna - capaci di portare ai vertici del calcio europeo e mondiale un gran numero di squadre di club.
La regolamentazione proposta nel disegno di legge delega in questa prospettiva appare poi tanto più necessaria se si tiene conto della struttura oligopolistica del mercato degli acquirenti dei diritti sportivi televisivi.
È inutile soffermarsi sull'anomalia del sistema televisivo ed editoriale italiano che è nota a tutti, ma è importante cogliere, anche alla luce di tale anomalia, il valore cruciale che assume per il nostro sport la tutela garantita alle piccole società sportive dalla vendita collettiva dei diritti televisivi.
È infatti chiaro che solo i grandi club calcistici possono affrontare una contrattazione individuale in materia di vendita di diritti TV, una posizione contrattuale forte o quanto meno paragonabile a quella di due o tre gruppi di operatori televisivi che si propongono come possibili acquirenti del prodotto. Sempre che non accada, in virtù di un'anomalia tutta italiana, che il venditore, cioè il grande club calcistico del compratore, cioè il grande gruppo televisivo, siano la stessa persona o meglio appartengano alla stessa persona.
Il mercato dei diritti televisivi del solo calcio, secondo stime approssimative, vale almeno 800 milioni di euro l'anno; l'ultimo dato certo, relativo ai bilanci depositati dalle società il 30 giugno 2005, parla di 742,3 milioni.
Fino ad oggi solo poche, grandi società sportive si sono avvantaggiate di tale ricchezza; questa rendita di posizione ha spesso indotto i grandi club ad investire poco nella competitività, ad esempio nei vivai, se non addirittura a dilapidare i capitali in operazioni di puro marketing, mascherando poi i vuoti di bilancio con interventi di maquillage contabile.
La proposta oggi in discussione si fa dunque apprezzare non solo perché assicurerà introiti più equi e consistenti alle piccole e medie imprese sportive, ma anche per le maggiori risorse che garantirà allo sport minore e dilettantistico, nonché ai settori giovanili.
I Verdi, nell'anticipare il parere favorevole al disegno di legge delega, colgono anche l'occasione per invitare il ministro per le politiche giovanili e le attività sportive a proseguire sulla strada intelligentemente e coraggiosamente intrapresa.
Si presenta oggi un'occasione imperdibile per la modernizzazione del settore sport, ma ancora altri passi vanno compiuti in questa direzione, di concerto con le autorità dell'ordinamento sportivo: la semplificazione dei rimedi della giustizia sportiva - materia in ordine alla quale è già stata presentata da noi Verdi una proposta di legge che mi vede prima firmataria -; l'introduzione del salary cup per i compensi degli atleti professionisti; la previsione di un monte ingaggi per gli atleti dei singoli club, da concordare a livello europeo; l'attuazione di una maggiore indipendenza degli organismi di vigilanza economica del CONI e delle federazioni, realizzando una reale separazione tra controllori e controllati nell'ambito delle organizzazioni sportive.
Sono queste le domande di riforma poste dal mercato, ma anche, e soprattutto, dai singoli consumatori dello sport: i nostri cittadini (Applausi).
PRESIDENTE. Non vi sono altri iscritti a parlare e pertanto dichiaro chiusa la discussione sulle linee generali.