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Informativa urgente del Governo sugli sviluppi della situazione in Libano.
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca lo svolgimento di un'informativa urgente del Governo sugli sviluppi della situazione in Libano.
Dopo l'intervento del rappresentante del Governo, interverranno i rappresentanti dei gruppi in ordine decrescente, secondo la rispettiva consistenza numerica, per dieci minuti ciascuno. Un tempo aggiuntivo è attribuito al gruppo Misto.
Come è avvenuto in altre occasioni, la Presidenza ha consentito lo scambio di turno tra i gruppi, in particolare tra i gruppi dell'UDC e di Forza Italia, secondo le intese intercorse tra i medesimi.
(Intervento del Viceministro degli affari esteri)
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il viceministro degli affari esteri, Ugo Intini.
UGO INTINI, Viceministro degli affari esteri. Signor Presidente, onorevoli deputati, questo scambio di riflessioni e di informazioni è molto opportuno perché è di fronte agli occhi di tutti che il Libano sta attraversando in questi giorni momenti di particolare tensione.
Il fallimento dei negoziati sul «Dialogo nazionale» ha dato avvio ad una successione di eventi che ha determinato una grave crisi politica, con scontri violenti tra opposte fazioni. In questo frangente il Governo italiano ha espresso in più occasioni - e da ultimo lo ha fatto il ministro degli esteri D'Alema a Parigi il 25 gennaio scorso in occasione della Conferenza di sostegno al Libano - il suo convinto appoggio al primo ministro Siniora, con l'invito a tutte le forze politiche a trovare una soluzione negoziale della crisi e, quindi, a ridare stabilità al paese.
Siamo preoccupati che il Libano possa diventare un'altra volta teatro di scontri per confronti regionali. Per questo abbiamo esortato direttamente ed indirettamente tutti gli attori della crisi libanese ad astenersi da azioni che potrebbero pericolosamente destabilizzare il paese e, conseguentemente, l'intera area mediorientale.
Fino ad oggi, la crisi politica si è mantenuta entro i confini di un contrasto aspro, ma con un livello di violenza non catastrofico. I prodromi della crisi si sono evidenziati con la manifestazione del 1o dicembre 2006, svoltasi in maniera relativamente pacifica davanti ad uno schieramento imponente di forze dell'ordine e dell'esercito, che ha lasciato nella piazza adiacente alla sede del governo un presidio di contestatori.
Il primo ministro, Sinora, ha raccolto la sfida lanciatagli dalla dimostrazione di forza dell'opposizione e ha ribadito la legittimità del suo governo, dichiarando in un discorso teletrasmesso alla nazione che non si sarebbe fatto intimidire e che solo un voto di sfiducia in Parlamento, dove peraltro detiene una solida maggioranza, avrebbe potuto legittimamente imporre le sue dimissioni.
L'esercito libanese ha dato prova di imparzialità, intervenendo ove necessario per frapporsi tra gli schieramenti delle opposte fazioni e per sedare gli scontri. Fortunatamente, in quel momento di tensione non sono stati sospesi i contatti tra i due schieramenti anche attraverso una mediazione del segretario generale della Lega araba, Amr Moussa, tuttora in corso. Anche Egitto ed Arabia Saudita, che temono una pericolosa degenerazione della crisi in un confronto interreligioso tra sciiti e sunniti, si sono adoperati in prima linea per esortare le parti ad evitare una pericolosa escalation del confronto.
Il 9 gennaio scorso, l'opposizione ha deciso di avviare una seconda fase dell'azione di protesta contro l'esecutivo con una manifestazione organizzata dalla CGTL, la maggiore organizzazione sindacale libanese, molto vicina ad Hezbollah. Il 23 gennaio, uno sciopero generale indetto da Hezbollah si è trasformato in veri e propri moti di piazza, prolungatisi fino alPag. 2725 gennaio, che disgraziatamente hanno provocato vittime, ma che fortunatamente si sono limitati a scontri locali.
Il 25 gennaio, mentre a Parigi si svolgeva la Conferenza internazionale di sostegno al Libano, a Beirut scoppiavano altri scontri tra oppositori e sostenitori del governo che hanno causato cinque morti ed una trentina di feriti. La tesi prevalente è che la scintilla sia stata innescata da giovani universitari sunniti decisi a vendicare l'uccisione di due militanti del campo filogovernativo nel corso degli scontri avvenuti a Tripoli, nel nord del paese, due giorni prima.
Su questo iniziale episodio si sarebbero poi inserite ulteriori dinamiche sfociate in incidenti concentrati prevalentemente nei pressi dell'università araba di Beirut. Ancora una volta, esercito e forze di polizia hanno dimostrato di saper rimanere neutrali, con atteggiamento non confessionale, anche di fronte alle provocazioni di alcune bande armate sunnite e cristiane. Nella serata dello stesso giorno, l'esercito ha annunciato il coprifuoco rimasto in vigore sino al mattino successivo, contribuendo a raffreddare, sui due versanti, le pulsioni all'origine dei drammatici scontri della giornata precedente.
Su questo preoccupante sfondo si registrano tuttavia - e questo è positivo - gli appelli alla moderazione lanciati da figure di punta dei due schieramenti: da Saad Hariri allo speaker del Parlamento, Berri, al leader di Hezbollah, Hassan Nasrallah, il quale si è rivolto per la prima volta a tutti i libanesi e ricorrendo ad una fatwa (editto religioso) ha sollecitato i seguaci a rispettare i compatrioti e ad astenersi dall'uso delle armi. Anche il leader cristiano delle forze libanesi, Samir Geagea, ha voluto lanciare segnali di disponibilità al dialogo sia a Nasrallah che al generale Aoun.
Il risultato degli scontri è stato una radicalizzazione dello scontro tra un esecutivo, che chiede di trasferire il conflitto in seno alle istituzioni con la convocazione di una sessione straordinaria del Parlamento, e un'opposizione che, pur proclamando il successo della protesta organizzata nei giorni scorsi, sembra piuttosto cominciare ad interrogarsi se l'attuale linea intransigente sia la più produttiva.
La Conferenza di Parigi III sul sostegno al Libano ha comunque registrato un successo enorme per l'esecutivo di Siniora, che ha ottenuto un importante sostegno economico-finanziario, oltre che politico, da parte della comunità internazionale. L'impegno finanziario complessivo - ricordiamolo - ammonta a 7,6 miliardi dollari.
Sul piano dei contributi, a Parigi rilevante è stato l'apporto fornito dalle istituzioni finanziarie internazionali: la Banca mondiale ha annunciato la concessione di 768 milioni di euro, mentre la BEI di 961 milioni di euro. Per quanto riguarda gli Stati partecipanti, al primo posto spicca l'Arabia Saudita che ha promesso circa 846 milioni di euro. Gli Stati Uniti seguono con 592 milioni di euro e l'Unione europea con 400. La Francia ha confermato lo stesso contributo apportato in occasione di «Parigi II», vale a dire 500 milioni di euro, sia sotto forma di aiuti diretti al bilancio che di finanziamenti a progetti, nel quadro delle priorità fissate nel piano di riforme del Governo libanese.
La Gran Bretagna ha annunciato un dono di 37 milioni di euro, destinati in larga parte ai rifugiati palestinesi in Libano. L'Italia contribuirà alla solidarietà nei confronti del Libano con 120 milioni di euro di nuovi stanziamenti, che si sommano ai 30 milioni di euro già concessi per l'emergenza all'indomani del conflitto israelo-palestinese. A ciò occorre aggiungere - come ha sottolineato il ministro D'Alema a Parigi - il costo della missione militare italiana nel quadro di UNIFIL che, per il 2007, è stato calcolato in 400 milioni di euro, cui vanno sommati i 200 milioni di euro già spesi per il 2006.
Il ministro degli esteri ha comunque dichiarato che, nel caso in cui dovesse cadere il Governo di Siniora, la Comunità internazionale rivedrebbe i generosi aiuti stanziati alla Conferenza di Parigi, poiché gli aiuti sono legati anche agli impegniPag. 28presi dall'attuale Governo libanese sul fronte del risanamento del bilancio e delle riforme.
Continueremo, assieme agli altri partners dell'Unione europea, a sostenere la stabilità del Libano, la sua piena sovranità e indipendenza, nonché il rispetto di tutti paesi vicini. Questi elementi costituiscono un requisito irrinunciabile per il paese e per gli equilibri della regione. A questo obiettivo l'Italia sta fornendo un importante contributo attraverso la sua significativa partecipazione alla missione UNIFIL di cui - come sapete - il generale Claudio Graziano assumerà il comando operativo nei prossimi giorni.
Oggi è in corso una crisi politica dalle complesse implicazioni di carattere interno ed internazionale che esigono, da parte dell'UNIFIL, il mantenimento rigoroso dell'imparzialità prevista nell'attuale mandato. L'adesione alle disposizioni della risoluzione n. 1701 delle Nazioni Unite costituisce la migliore garanzia, soprattutto allo stato attuale dei rapporti di forza in Libano, del perdurante successo della missione.
Vorrei aggiungere alcune riflessioni è informazioni sul ruolo dell'Europa. In prospettiva di medio periodo, l'Unione europea ha preso in considerazione la possibilità di fornire al Governo libanese assistenza nel settore della sicurezza, in primo luogo nel settore dell'addestramento dell'esercito e della polizia, secondo lo schema seguito in altri teatri di conflitto, ed eventualmente anche per l'assistenza alla gestione delle frontiere.
Una missione tecnica dell'Unione europea è stata inviata in Libano nell'autunno 2006 per esaminare la questione insieme al Governo libanese ed in contatto con UNIFIL. Data la sensibilità, sul piano politico interno libanese, di un possibile intervento di assistenza dell'Unione europea nel settore della sicurezza, occorrerà peraltro attendere più chiari segnali di disponibilità da parte del Governo libanese, prima di procedere ulteriormente nella definizione delle modalità di attuazione.
Riteniamo che la conclusione del negoziato sul piano d'azione nell'ambito della politica europea di vicinato, occorsa poco prima della crisi della scorsa estate, rappresenti un'importante punto di partenza per rafforzare le relazioni tra Unione europea e Libano. Il piano d'azione prevede priorità definite dal Governo libanese che, se raggiunte, potranno facilitare il necessario consolidamento degli sforzi di riforma politica, sociale ed economica.
L'Unione europea - è bene ricordarlo - è stato uno dei primi donatori internazionali ad essersi mobilitati. In occasione della Conferenza di Parigi il Presidente Barroso e il Commissario alle relazioni esterne, Benita Ferrero Waldner, hanno annunciato l'avvio di un piano d'azione sostenuto da un'allocazione di 500 milioni di euro a supporto delle riforme e della ricostruzione economica. Altre azioni finanziate dall'Unione europea includono attività di sminamento e di sostegno ai rifugiati tra i palestinesi in Libano.
L'assistenza dell'Unione non si limita alle misure a carattere straordinario. Essa si inquadra in una strategia di lungo periodo (per l'esattezza settennale), che anche per il Libano, così come per tutti gli altri paesi della sponda sud del Mediterraneo, sta per essere in questi giorni definita dalla Commissione europea nella cornice dello strumento finanziario che sostiene la politica europea cosiddetta di vicinato.
Anche il contributo offerto dalla Banca europea per gli investimenti è sostanziale. A Parigi, il presidente della BEI, Philippe Maystadt, ha annunciato che la Banca sosterrà il piano di ricostruzione e riforme varato dal governo libanese, attraverso il finanziamento di progetti, sia nel settore pubblico sia in quello privato, per un valore di 960 milioni di euro per i prossimi cinque anni.
L'Italia veglia ed è coinvolta a tutti i livelli, a Beirut ma anche a Bruxelles, affinché sia assicurata la coerenza e l'efficacia delle strategie comunitarie e nazionali nell'interesse del popolo libanese.
(Interventi)
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Ranieri. Ne ha facoltà.
UMBERTO RANIERI. Signor Presidente, ringrazio il viceministro Intini per l'informativa resa alla Camera su una situazione complessa e difficile come quella libanese, che non può non suscitare preoccupazione, soprattutto in un paese come l'Italia che si era adoperato fortemente per impegnare la comunità internazionale nella pacificazione e stabilizzazione del Libano.
Malgrado le tensioni di questi giorni a Beirut, non credo sia giusto sottovalutare i risultati raggiunti dall'iniziativa politico-diplomatica condotta durante i mesi della guerra dal Governo italiano, sulla base di un sostegno amplissimo del Parlamento.
La presenza della missione UNIFIL nel quadro dell'attuazione della risoluzione n. 1701 ha avviato la pacificazione del Libano meridionale e l'imminente assunzione del comando della missione da parte di un alto ufficiale italiano, il generale Graziano, cui va il più convinto sostegno da parte nostra, è molto importante.
L'Italia ha fatto la sua parte alla Conferenza dei donatori, svoltasi a Parigi. L'intera comunità internazionale ha dato, a Parigi, una prova di solidarietà verso il Libano, come dimostra l'entità delle risorse finanziarie messe a disposizione.
Ricordo, inoltre, che il nostro impegno in Libano è apprezzato da tutte le componenti della società libanese, come ha potuto verificare la scorsa settimana una delegazione della missione delle Commissioni esteri e difesa della Camera. Tutti gli interlocutori sono riconoscenti verso l'Italia e riconoscimenti ha ricevuto l'azione del contingente italiano per il ripristino della vivibilità dell'area interessata dal conflitto di luglio ed agosto 2006.
La risoluzione n. 1701 sottolinea anche l'importanza di arrivare ad una pace duratura in Medio Oriente. Vi è una connessione tra la situazione del Libano e la crisi mediorientale. Tuttavia, oggi le tensioni esterne, che si riflettono sul Libano, appaiono crescenti.
Passa direttamente per il Libano una delle più acute linee di tensione del mondo musulmano, quella tra sunniti e sciiti, che la guerra in Iraq ha ulteriormente aggravato, ed è evidente la strumentalità della interferenza iraniana in Libano, alla luce del contenzioso nucleare che l'Iran ha in corso con la comunità internazionale. Ne consegue che le linee di frattura che separano le forze politiche libanesi sembrano non dipendere tanto dalle tradizionali distinzioni tra le comunità confessionali, quanto piuttosto da influenze estranee ai diretti interessi del loro paese. Il nostro auspicio è che le forze e i protagonisti della vicenda politica libanese si liberino (come oggi sarebbe possibile fare) dai condizionamenti esterni, e contribuiscano, con il sostegno della comunità internazionale, alla ricerca della stabilizzazione e pacificazione del paese.
Certo, sarà inevitabile, per costruire un nuovo Libano, affrontare problemi di fondo politico-costituzionali, culturali, direi, della vicenda libanese.
In Libano c'è un tasso elevato di inamovibilità della classe dirigente, derivante dalla tradizionale ripartizione confessionale delle cariche pubbliche; si avvertono i segni di uno scollamento della classe politica rispetto a una società giovanile, che aspira a scrollarsi di dosso le antiche rivalità e anche le pratiche di corruzione della vita pubblica, e che molto spesso, non riuscendovi, sceglie la via dell'emigrazione.
In questo contesto, tre sono i punti fermi su cui la comunità internazionale dovrebbe insistere per favorire lo sviluppo di un processo democratico.
Innanzitutto, la tutela della sovranità, dell'indipendenza, e della integrità territoriale del Libano, imprescindibile quadro di riferimento per la costruzione del paese su basi democratiche.
La missione UNIFIL 2 sta lavorando concretamente in questa direzione, soprattutto sotto il profilo della cooperazione con le forze armate libanesi, nello spirito della risoluzione n. 1701.Pag. 30
In secondo luogo, è importante che il Parlamento libanese torni a riunirsi al più presto. Il Parlamento libanese è il luogo deputato alla individuazione di una intesa istituzionale al di sopra dello spirito di fazione e nell'interesse nazionale. La forma di Governo parlamentare rappresenta l'asse portante della Costituzione libanese.
Il convinto sostegno al Governo Siniora, confermato a Parigi, deve andare in questa direzione. La riconciliazione nazionale passa per la ripresa del dialogo politico. L'opposizione ha dato una dimostrazione di forza nelle piazze, ma deve essere chiaro ai promotori e agli organizzatori delle manifestazioni, che la strada della pressione di piazza alla ricerca di una spallata, è gravida di rischi e conseguenze negative.
Gli scontri e i morti nelle vie di Beirut hanno fatto riemergere l'incubo della guerra civile e della deflagrazione totale. Ecco perché occorre insistere sul piano internazionale per uno sbocco politico della crisi che affronti in Parlamento le note questioni pendenti: il tribunale internazionale per individuare i responsabili del delitto Hariri, la riforma della legge elettorale (che risale all'epoca dell'occupazione siriana) e l'elezione del nuovo presidente della Repubblica.
Occorre un negoziato complessivo, perché solo questo può condurre ad un accordo politico in Parlamento. Occorre cercare la via della intesa, e occorre cercare anche la via per affrontare il problemi storici del Libano, come procedere alla distinzione dell'ordine comunitario dall'ordine politico, che è il grande sogno dei democratici libanesi.
Quello che in ogni caso riteniamo essenziale, è superare l'attuale scambio di accuse di violazione della legittimità costituzionale. Va impostato un processo comune perché questa è la condizione per ripristinare il funzionamento della democrazia, quindi dell'alternanza, e in questo senso lo stesso Siniora, cui voglio riconfermare ancora una volta la solidarietà della comunità internazionale, si è detto disponibile ad indire elezioni anticipate, ove si fosse raggiunto un accordo complessivo sulle questioni in sospeso. In terzo luogo - e mi avvio alla conclusione -, la comunità internazionale deve garantire, secondo gli impegni presi a Parigi, un adeguato supporto economico e finanziario ad un paese che importa il 90 per cento dei beni che consuma.
La stabilizzazione del Libano resta un obiettivo di primaria importanza per la comunità internazionale: non possiamo permetterci un cosiddetto Stato «fallito» sulle sponde del Mediterraneo e nel cuore del Medio Oriente; ecco perché l'impegno per la ricostruzione dello Stato libanese diventa essenziale per la sicurezza internazionale. In sostanza, così com'è scritto nella risoluzione n. 1701, occorre adoperarsi anche per aprire una prospettiva positiva nella vicenda del conflitto israelo-palestinese, che, in quel contesto regionale, rappresenta sempre la chiave di volta per ogni stabilizzazione sicura. Noi vogliamo continuare ad adoperarci affinché non si spezzi definitivamente la possibilità di una ripresa del dialogo tra Israele e Palestina.
Voglio cogliere l'occasione per ricordare che la celebrazione del Giorno della memoria, a così breve distanza dall'inaccettabile provocazione negazionista del presidente iraniano, ha confermato, attraverso le più alte voci della coscienza europea, i pericoli derivanti dalla connessione tra antisemitismo ed antisionismo: non c'è possibilità di dialogo con chi si ripromette di distruggere Israele.
In tale contesto, il mio auspicio è che il dibattito in corso nel Parlamento italiano possa inviare un inequivocabile segnale di amicizia e di solidarietà al popolo libanese, in tutte le sue componenti, di invito al dialogo ed al confronto alle forze politiche libanesi degli opposti schieramenti - si mostrino capaci di mettere da parte oltranzismi, estremismi e ricorso alla violenza -, di sostegno all'attuale legittimo Governo, e di monito alla collaborazione e alla non interferenza da parte degli altri paesi della regione (è evidente che il nostro pensiero va alla Siria e all'Iraq).Pag. 31
La complessa evoluzione della crisi libanese conferma la validità della scelta operata dalla comunità internazionale per il rafforzamento della missione UNIFIL. È facile immaginare che l'escalation della contrapposizione...
PRESIDENTE. La invito a concludere.
UMBERTO RANIERI. ...a Beirut - sto concludendo, signor Presidente - avrebbe avuto ben altre ripercussioni se il Libano meridionale non fosse stato presidiato internazionalmente e, quindi, inserito in una prospettiva di pacificazione: sarebbe stato inevitabile, infatti, un cortocircuito tra tensioni interne ed esterne. Questa è una lezione da tenere presente nel quadro di una più generale valutazione del significato della nostra missione militare in Libano. Grazie (Applausi dei deputati del gruppo L'Ulivo).
PRESIDENTE. Grazie a lei.
Ha chiesto di parlare il deputato Casini. Ne ha facoltà.
PIER FERDINANDO CASINI. Signor Presidente, credo che il dibattito in corso nell'aula di Montecitorio sia importante. Non dobbiamo mai dimenticare che, per il Libano, il Parlamento italiano ha effettuato scelte assai impegnative: la più impegnative tra tutte è stata quella di avere inviato in un'area «calda», come quella del paese mediorientale, migliaia di militari italiani, ai quali all'inizio di questo mio breve intervento desidero esprimere, ancora una volta, il ringraziamento e la solidarietà del mio partito.
Ci siamo impegnati, dunque, perché ritenevamo - e riteniamo - che il Libano sia un punto fondamentale nello scacchiere del nuovo Medio Oriente, del Medio Oriente che vorremmo creare. In questo senso, non posso che associarmi alle parole del presidente Ranieri, il quale ha ricordato la necessità di un dialogo israelo-palestinese.
Certamente, per pervenire credibilmente ad un dialogo effettivo e definitivo, cioè risolutivo con Israele, i palestinesi debbono superare le contraddizioni interne, che oggi vedono contrapporsi Al Fatah ad Hamas in termini drammatici. Certamente, Israele ha diritto ad un futuro di serenità e di tranquillità, così come il popolo palestinese ha diritto, finalmente, ad una patria.
Esprimo, in questa occasione, la nostra solidarietà al Parlamento e al Governo israeliano per l'attentato che, ancora una volta, in queste ore, ha insanguinato la regione.
Ci siamo impegnati: lo ha ricordato il viceministro Intini, della cui esposizione ho apprezzato il quadro di sintesi della situazione, comprendendo altresì un qualche riserbo su taluni aspetti. Noi oggi, parlando di Libano, possiamo esprimerci con maggiore libertà di quanto possa fare un rappresentante del Governo italiano. Più avanti vi spiegherò in cosa consiste, secondo me, il riserbo del viceministro Intini.
Noi siamo in Libano per una scelta che il mio partito - l'UDC - ha voluto. Abbiamo sostenuto l'impegno militare italiano in Libano, nonostante fossimo in una posizione di opposizione, che avrebbe potuto consentirci un minore tasso di corresponsabilità in questa decisione. Invece, no: non solo noi, ma anche altri partiti del centrodestra, abbiamo voluto far prevalere l'idea che una grande opposizione si deve assumere responsabilità nazionali, anche quando queste sono dolorose. Infatti, mandare militari in quel paese è una scelta costosa.
L'Italia si è impegnata perché, certamente, andava superato il rischio di una disgregazione dell'entità libanese. Vorrei ricordare ai colleghi che, da diverse posizioni, tutti abbiamo avuto la stessa idea di fondo che ha sorretto l'invio di una missione militare italiana nell'ambito dell'Unifil. In altri termini, noi abbiamo inviato militari in Libano perché ritenevamo necessario restituire una statualità forte ad un paese, che l'aveva persa in condizioni drammatiche: non dimentichiamo l'omicidio dell'ex Premier Hariri, su cui è ancora in corso un'inchiesta dell'ONU, che auspichiamo possa in modo celere (perché,Pag. 32ormai, di tempo ne è passato e tanto) attribuire precise responsabilità a chi ne ha. Infatti, sappiamo che ve ne sono. E sappiamo che quel paese, dopo l'omicidio di Hariri, è stato violato nella sua sovranità dall'influenza di forze esterne. Senza infingimenti, l'onorevole Ranieri ha ricordato che Iran e Siria agiscono pesantemente in Libano. Lo sappiamo tutti: naturalmente, lo sanno i libanesi, lo sanno tutte le principali potenze mondiali, lo sa il popolo. E noi siamo stati sorretti nell'idea di inviare i militari proprio da una ragione di fondo: era necessario che quel Governo libanese, che quello Stato libanese, riacquistassero l'autonomia della propria sovranità. Una delle ragioni del caos permanente libanese era la mancanza di un Governo, di una statualità in grado di imporre regole proprie.
Quale statualità esiste, se lo Stato non riesce a far rispettare le leggi? Quale statualità esiste, se lo Stato non riesce a inviare i militari in una parte del paese?
L'azione che il Parlamento italiano ha svolto con grande coraggio ha prodotto dei risultati. Noi abbiamo avuto un coraggio maggiore rispetto ad altri paesi europei; lo dico, visto che si rimprovera sempre agli italiani di non essere coraggiosi. In questo caso, abbiamo avuto un coraggio maggiore, perché siamo stati il traino della comunità internazionale sul Libano. Ciò ha contribuito concretamente ad arrestare l'ondata di violenza e a far ritirare gli israeliani, perché il nostro contingente ha esercitato una funzione di sicurezza rispetto agli stessi confini fra Israele e Libano. Abbiamo bloccato l'ondata devastante di qualche mese fa.
Tuttavia, onorevole viceministro Intini, cari colleghi, consentitemi di parlare in termini assolutamente chiari. Noi abbiamo fatto benissimo ad andare a Parigi. Il ministro D'Alema ha fatto benissimo a dare il contributo concreto dell'Italia, perché è un contributo doveroso e coerente con la missione, ma bisogna che, tra maggioranza e opposizione, ci siano patti chiari e amicizia lunga su questa vicenda.
Se per qualsiasi ragione, indipendente dalla volontà di chi siede in quest'aula, il Governo legittimo di Siniora fosse messo in discussione o se, attraverso un qualsiasi golpe strisciante, si avesse il capovolgimento della situazione interna di quel paese, che noi siamo andati a rafforzare con l'invio del contingente, potrebbero venir meno le ragioni stesse della nostra presenza militare in quell'area.
Pertanto, occorre dire chiaramente, con il linguaggio della diplomazia - ecco perché comprendo il riserbo dell'onorevole Intini - ma anche con quello della verità, alle potenze esterne che sul Libano, per così dire, armeggiano, agli stessi hezbollah e alle forze parlamentari, che l'Italia non potrebbe assistere in modo passivo ad un capovolgimento a tavolino o per sommosse interne degli assetti di quel paese. In questo caso, verrebbe meno il presupposto del ricompattamento della statualità libanese e del rafforzamento delle istituzioni governative, per il quale abbiamo inviato il nostro contingente.
A mio avviso, questa è la ragione del nostro dibattito. Occorre guardarsi negli occhi e dire che abbiamo fatto bene ad andare in Libano, ma occorre anche dire agli hezbollah e alle forze libanesi che non assisteremo a golpe striscianti senza rimettere profondamente in discussione il ruolo dell'Italia e dei nostri militari in quell'area. A buon intenditore poche parole: credo siano chiare le ragioni che devono correttamente spingere il Governo ad operare in questo senso nei confronti della Siria, dell'Iran e del movimento degli hezbollah.
Concludo ricordando anche il ruolo del Parlamento e lo faccio nella mia veste di Presidente dell'Unione interparlamentare. Il Presidente del Parlamento libanese, Berri, è una personalità di grande autorevolezza. Mi auguro che da questo dibattito parlamentare giunga anche al Presidente Berri e al Parlamento libanese l'invito ad una concertazione tra le forze politiche, che naturalmente deve avvenire nel Parlamento libanese, che è la sede della sovranità di quel popolo.
Sono molto preoccupato e auspico che le mie preoccupazioni siano eccessive rispetto alla situazione. Tuttavia, temo diPag. 33non sbagliarmi e, proprio per questo, ritengo che oggi il Governo abbia fatto bene a venire a riferire in aula (Applausi dei deputati dei gruppi UDC (Unione dei Democratici Cristiani e dei Democratici di Centro), Forza Italia e Alleanza Nazionale - Congratulazioni).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Zacchera.
MARCO ZACCHERA. Signor Presidente, colleghi, condivido le parole del collega Casini in ordine alla preoccupazione che tutte le persone di buona volontà hanno di fronte alla situazione libanese.
Ho apprezzato sia la puntuale relazione del Governo, sia l'intervento del presidente Ranieri. Ritengo che, su tali temi, tutti noi dobbiamo trovare posizioni assolutamente condivise, in quanto tutte le persone di buona volontà si rendono conto che, in Libano, si gioca una partita importante: ciò non soltanto perché abbiamo inviato migliaia di nostri militari in quel paese, che abbiamo visitato la scorsa settimana, ma anche in quanto adesso anche io sono convinto della assoluta necessità di tale missione. Inizialmente temevo ci fosse un occhio di riguardo nei confronti di Hezbollah, facendo finta di non vedere. Ci siamo resi conto, passo per passo, che invece - almeno nella zona di controllo italiana - sarebbe praticamente impossibile immaginare una situazione come quella precedente che, attraverso il lancio di molti razzi sul nord di Israele, aveva condotto alla crisi del mese di luglio.
Quando ci siamo recati in Libano avevamo già sentore del fatto che a breve - come effettivamente è accaduto - ci sarebbero state dimostrazioni di piazza con diversi morti. Infatti, si tratta di una prova di forza annunciata tra le parti che, ogni tanto, devono anche fare teatro per dimostrare - magari al di là della volontà della grande parte della maggioranza dei libanesi - la loro esistenza!
Tali motivi di preoccupazione derivano anche dagli esiti di Parigi.
È giusto e doveroso sostenere il Governo Siniora: ma se guardiamo l'elenco dei «contribuenti» dei paesi donatori e leggiamo, ad esempio, 900 milioni - non ho ben capito se in euro o in dollari - dell'Arabia Saudita, non dimentichiamo che è anche una scelta politica estremamente importante; infatti, l'Arabia Saudita è la «padrina» della parte sunnita del Libano, che esiste all'interno del mondo libanese e ciò porterà sicuramente ad ancora maggiori tensioni con la parte sciita, che chiederà all'Iran di essere aiutata in modo altrettanto «trasparente» e non soltanto - temo - per la ricostruzione, ma potenzialmente anche per una fornitura di armi, più o meno ufficiale.
Anche di questo noi dobbiamo tenere conto ed anche questa è una scelta importante, che Unifil deve compiere e che, secondo me, deve essere anche allargata a tutto il confine verso Israele, comprendendovi anche la parte delle famose «fattorie», divenute un casus belli senza avere di fatto una grandissima importanza dal punto di vista strategico.
Volendo mettere brevemente in rilievo alcuni problemi, non dobbiamo dimenticare innanzitutto che in questo momento il Parlamento libanese non si sta riunendo e che non lo fa da molti mesi, che la situazione è bloccata perché devono essere fatte delle riforme, ad iniziare da quella elettorale. Però, a seconda di come tale riforma elettorale verrà fatta, si sarà già in grado di sapere quale sarà l'esito elettorale. Pensate che, ad esempio, oggi abbiamo tre quarti dei libanesi che non sono più residenti in Libano: molti di essi sono libanesi a tutti gli effetti, ma sono usciti dal Libano solo perché non possono rimanerci, a causa di una situazione di tensione o perché hanno dovuto aprire le loro attività industriali, commerciali o mercantili al fuori dei confini libanesi; molti di essi sono arrivati in Africa e moltissimi - non ne ero a conoscenza - anche in Europa, come anche qui in Italia.
Ebbene, su tali questioni noi dobbiamo dare «assistenza politica» al Libano e dobbiamo chiedere il rispetto delle regole democratiche. La formula attraverso la quale molti anni fa il Libano è stato diviso in tre (cristiani, sciiti e sunniti), tuttoPag. 34sommato, ha mantenuto integra la nazione, ma oggi è di gran lunga superata, purtroppo a danno dei cristiani dal punto di vista numerico. Se deve esservi un sistema di reciproche garanzie, allo stesso modo però dobbiamo pretendere che tutte le componenti ci mettano della buona volontà per superare quegli aspetti.
A proposito del secondo aspetto, quello degli sponsor, un'immagine mi è stata ricordata da un leader libanese - non ricordo più quale - cioè che pochi giorni dopo la guerra sono arrivate «valigiate» di soldi, non destinati però alla ricostruzione delle case ma dati a pioggia alle famiglie che, come prima cosa, hanno comprato l'auto, visto che avere l'auto nuova in Libano costituisce uno status symbol: infatti vi girano delle auto «incredibili» per le potenzialità economiche di quel popolo, ma è anche questo un modo di presentarsi, nel rispetto di una società dove l'immagine conta, anche se poi la casa è bombardata o vi sono soltanto le cipolle da mangiare.
Vi è poi il discorso di Hezbollah, che è potenzialmente ancora pericoloso, anche se ha sicuramente ritirato le sue forze, ancora in parte efficienti. Non possiamo assolutamente tollerare quello che ha fatto Israele nelle ultime ore, cioè tabula rasa, distribuendo milioni di mine sul territorio. I nostri genieri sono là adesso a recuperarle una per una, perché la gente non può letteralmente uscire di casa, né tantomeno pensare di pascolare un gregge o di piantare il grano in un campo. È una situazione che però oggi permane, al di fuori delle zone controllate dalle nostre truppe e, ci auguriamo, anche dagli spagnoli: al di là di questo, però, si hanno poche notizie. L'Unifil - lo ripeto - è presente in forze e almeno in quelle zone svolge un ruolo di garanzia: però, attenzione, un razzo potrebbe essere sparato alle spalle delle nostre truppe e arrivare comodamente fino a metà del territorio israeliano.
Infine, dobbiamo anche chiedere non soltanto al Presidente Berri di riunire il Parlamento, ma anche di uscire da una certa impasse. La situazione economica in Libano è abbastanza strana: l'inflazione è scesa a zero, ma il bilancio è passivo in una maniera incredibile, in un deficit spaventoso, anche perché non viene approvato il bilancio dello Stato. Neppure il bilancio dello Stato dello scorso anno è stato ancora approvato e siamo nel 2007: vi rendete conto che, in una situazione normale, occorre fare il bilancio, discuterlo e votarlo in Parlamento, altrimenti si presta ad una situazione di estrema difficoltà?
Non dobbiamo, infine, dimenticare che si stanno perdendo mesi e mesi, ma che nulla sta venendo fuori per trovare i responsabili del delitto Hariri, anche se politicamente tutti li conoscono: più questa storia va avanti, senza che si abbia il coraggio di iniziare a livello comunitario un processo serio su questi fatti e di cominciare a guardare sul serio a queste vicende, senza avere in altri termini la paura di coprire le responsabilità internazionali che vi sono dietro, più la comunità internazionale non è credibile.
In questo senso credo che il nostro Governo possa e debba fare di più, debba cioè far capire che quei contributi, che sono stati ripetuti, reiterati e magari anche rinforzati a Parigi, non dovranno essere «ceduti» a scatola vuota, ma vincolati anche a situazioni coerenti e quindi anche a decisioni serie, alla volontà politica di andare in fondo a questo delitto e agli altri, che ad esso sono collegati: noi infatti abbiamo sentito soltanto parlare del delitto Hariri, ma purtroppo in Libano ve ne sono stati molti altri sullo stesso filone, sempre ai danni di giornalisti o di esponenti politici, anche se di secondo piano, che però sostenevano la necessità della chiarezza sul delitto Hariri e che per questo sono stati assassinati. Questo non è accettabile!
Infine, vorrei esprimere la solidarietà allo Stato di Israele per il grave attentato che si è verificato in un momento particolare (da alcuni mesi non capitavano). Rischiamo di ripartire con una spirale di violenza pericolosa. Sapete che oggi è stato scoperto anche un tentativo di attentato ai danni del presidente palestinese. Si trattaPag. 35di un altro segnale di estrema difficoltà e di una potenziale nuova crisi in Medio Oriente.
Ricordiamoci che, finché non avremo pace in Medio Oriente, tutta quell'area rappresenterà un grave problema per l'Europa e, quindi, anche per l'Italia (Applausi dei deputati dei gruppi Alleanza Nazionale, Forza Italia e UDC (Unione dei Democratici Cristiani e dei Democratici di Centro))!
PRESIDENTE. È iscritto a parlare il deputato Khalil. Ne ha facoltà.
ALÌ RASHID KHALIL. Signor Presidente, signor rappresentante del Governo, onorevoli colleghi, durante la recente visita della delegazione parlamentare in Libano, siamo riusciti a toccare con mano i grandi progressi che sono stati registrati nel paese. È questo il frutto dello sforzo della comunità internazionale di porre fine al conflitto e di applicare la risoluzione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite n. 1701. Oggi, finalmente, dopo tanti anni di assenza, l'esercito libanese si trova nel sud del paese; lavora in condizione di stretta cooperazione con le forze multinazionali e, ad eccezione di alcune incursioni da parte dell'esercito israeliano, dell'aviazione israeliana, sembra che vi sia un rigoroso rispetto della risoluzione del Consiglio di sicurezza.
Ciò dimostra come quella scelta del Governo italiano di convocare la conferenza di Roma e dare l'avvio ad una iniziativa internazionale, volta a far cessare le ostilità in Libano ed a portare la pace in quel paese, abbia dato frutti e risultati positivi.
Abbiamo anche visto la grande operosità dell'esercito italiano nel sud del Libano, lo sforzo quotidiano che sostiene in quel paese per la sicurezza della popolazione, per la vivibilità del territorio, per garantire ai cittadini libanesi che sono tornati nel sud una vita normale.
Quindi, obiettivi importanti sono stati già raggiunti da quella missione italiana, da quella missione internazionale e oggi bisogna andare oltre.
Nell'incontro con il primo ministro libanese, egli ha sottolineato sul piano politico l'importanza di un intervento da parte della comunità internazionale per estendere questo processo di pacificazione alla questione israelo-palestinese, perché, secondo tutti i nostri interlocutori e non soltanto il primo ministro libanese, la soluzione della questione palestinese è una condizione fondamentale per la sicurezza e la stabilità del Libano, ma anche per la sicurezza in tutta la regione. Da questo punto di vista, vi sono gravi ritardi da parte della comunità internazionale.
Credo che il Governo italiano, malgrado tutti gli sforzi già compiuti, possa fare ancora qualcosa di più. È doveroso ed importante soprattutto di fronte ad una regione dilaniata da scontri di carattere etnico e religioso che sono in continua crescita.
Oggi la politica deve dimostrare a tutti popoli del Medio Oriente di essere uno strumento ancora valido per trovare soluzione a problemi che sembrano senza via d'uscita, per dare stabilità e sicurezza a tutta la regione. È condizione fondamentale, per intervenire in modo positivo al fine di risolvere questi gravi e complessi problemi, non essere percepiti come schierati da una parte o dall'altra.
Malgrado le ingiustizie subite dal popolo palestinese, anch'io mi associo a tutti i colleghi nell'esprimere solidarietà al popolo israeliano e alle vittime dell'attentato di oggi nel sud di Israele. Vorrei però ricordare a tutti i presenti che, ieri, c'è stata un'incursione israeliana a Gaza e, l'altro ieri, un'altra a Nablus. Andrebbe, quindi, espressa solidarietà anche al popolo palestinese ed una doverosa condanna degli atti di terrorismo compiuti da parte dello Stato di Israele.
Lo stesso vale anche per quanto riguarda il popolo libanese e i suoi vari schieramenti politici. È giusto esprimere solidarietà al Governo e al primo ministro Siniora. Sappiamo tutti, però, che la legittimità di questo Governo è in difetto nel momento in cui una componente importante nel paese non è rappresentata nel Governo; e questa mancata legittimità, non è tale perché lo sostengo io, ma perché si tratta di una condizione che impone laPag. 36Costituzione libanese stessa. Apprezzo le affermazioni sia del viceministro sia del presidente della Commissione, soprattutto quando quest'ultimo esprime la sua solidarietà, ma la accompagna ad una sollecitazione al Governo affinché compia un gesto al più presto possibile.
Si parla di interferenza e di sovranità del Libano, del ruolo iraniano e siriano, ma non si parla dell'interferenza da parte degli Stati Uniti, dell'Arabia saudita o di Israele. Anche qui, secondo me, bisogna essere obiettivi. Analoghe considerazioni valgono per le dichiarazioni del ministro degli esteri che condiziona l'aiuto alla stabilità di quel Governo e solo di quel Governo. Dobbiamo rispettare le scelte del popolo libanese. La sicurezza e la stabilità in Libano sono obiettivi che dovrebbero essere al centro dell'attenzione di tutti, per l'importanza vitale che esse assumono anche nel rapporto tra Occidente ed Oriente. Il ministro degli esteri, forse anche su sollecitazione dello stesso capo delle forze italiane nel sud del Libano, ha detto, più di una volta, che la nostra non deve essere percepita come una presenza schierata da una parte e dall'altra. L'aiuto al popolo libanese va garantito a tutti i popoli della regione per dare una mano ed avviare un processo di pace di cui essi hanno bisogno. Gli ultimi sessant'anni di guerra in Medio Oriente hanno portato soltanto a complicare problemi che sono già molto complessi e ritengo che probabilmente un atteggiamento più obiettivo e più neutro favorirebbe la nostra azione.
Ho sentito anche l'opposizione proferire parole importanti; il Governo deve fare tesoro di questa convergenza tra opposizione e maggioranza per moltiplicare gli sforzi e soprattutto per essere più obiettivo e meno schierato da una parte o dall'altra (Applausi dei deputati dei gruppi Rifondazione Comunista-Sinistra Europea e Verdi).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Rivolta. Ne ha facoltà.
DARIO RIVOLTA. Signor viceministro, esordendo, lei ha dichiarato che l'occasione odierna sarebbe consistita in uno scambio di riflessioni. Apprezzo tale sua locuzione perché, oggettivamente, su questo tema, come dimostra la storia recente del nostro Parlamento e come altresì dimostrano le dichiarazioni dianzi rese dai colleghi dell'opposizione intervenuti nel dibattito, noi dell'opposizione, pur non sostenendo il Governo che lei rappresenta, non ci sentiamo tuttavia antagonisti con la posizione e le azioni che lo stesso ha deciso di assumere e di intraprendere in Libano.
Noi condividiamo le parole da lei espresse a favore di una pacificazione e dello sviluppo di una dialettica politica normale in Libano; condividiamo, e abbiamo condiviso a suo tempo, la decisione di inviare in quel teatro le truppe italiane. Noi, peraltro, abbiamo avuto occasione di verificare l'eccezionale lavoro da esse svolto sul posto, un lavoro eccezionale ed apprezzato, come ha ricordato il presidente della nostra Commissione. Un lavoro apprezzato forse anche grazie all'analoga approvazione che riscosse l'impegno a suo tempo profuso nella precedente spedizione italiana sotto l'egida dell'ONU in Libano, quella comandata dal generale Angioni, il cui nome, in quel paese, ancora oggi è ricordato con stima e rispetto.
Noi esprimemmo ed esprimiamo solo qualche perplessità sulle regole di ingaggio attribuite al nostro contingente militare, invero non molto chiare; manca la chiarezza su cosa potrebbe succedere e, in modo particolare, su cosa dovrebbe fare il nostro contingente se la situazione dovesse deteriorarsi. Infatti, oggi, lei giustamente ha ritenuto che la situazione si attesta ad un livello di violenza non catastrofico; un livello di violenza che peraltro non riguarda la zona presidiata dai nostri militari. Oggi, dunque, gravi problemi non si pongono; ma sappiamo che, ahimé!, i livelli di violenza degli ultimi giorni, seppure non catastrofici, potrebbero - sebbene ci auguriamo tutti che ciò non avvenga - aprire la strada a situazioni più gravi. Potrebbero esserci nuovi scenariPag. 37politici e potrebbero manifestarsi fatti e azioni che sino ad oggi non si sono verificati.
La nostra preoccupazione - che era e rimane la stessa - concerne proprio i compiti che dovranno o potranno svolgere i nostri militari - e cioè che cosa saranno autorizzati a fare - se il quadro dovesse all'improvviso cambiare.
Per quanto riguarda la situazione nel suo complesso e la possibilità che lo scenario muti, non dobbiamo dimenticare due circostanze di cui lei non ha riferito (una manchevolezza seppure comprensibile per i motivi esposti dal presidente Casini in precedenza); si tratta di due aspetti - uno a carattere endogeno, l'altro, esogeno - che sono sottostanti alla crisi in Libano.
La crisi deriva dall'interno del Libano perché, ancora prima che avvenisse il tragico fatto dell'assassinio del primo ministro Hariri, il Libano era giudicato, da tutti gli osservatori che si occupavano della questione, un paese in equilibrio, anche se molto delicato. La Costituzione di quel paese prevede la divisione in gruppi di appartenenza, etnica o religiosa, nonché la distribuzione di incarichi pubblici, istituzionali in modo particolare; il metodo elettorale è basato, a tutt'oggi, su una divisione del paese che ha sempre reso molto difficile, al cittadino che faceva parte di queste comunità così ben definite e così ben delimitate, il sentirsi un cittadino libanese.
Cosa fosse o dovesse essere il cittadino libanese, è un lungo dibattito, che cominciò, se non ricordo male, nell'ottocento. Quando fu assassinato il presidente Hariri, anch'io, come altri, ebbi occasione di recarmi in Libano per esprimere il cordoglio alla vedova e ai suoi amici politici. In quel momento, in Libano era verificabile un desiderio nuovo, constatabile anche dal colloquio quotidiano con la gente comune e, in modo particolare, con quei giovani e meno giovani che si erano stabiliti sulla piazza, con le tende, in attesa di nuove elezioni. Il desiderio era quello di poter fare a meno, finalmente, di quel sentimento di divisione in etnie o in religioni e di potersi avvicinare, come è stato, ad una visione unitaria in base alla quale tutti, qualunque fosse la appartenenza etnica o religiosa, fossero considerati, innanzitutto, cittadini libanesi. Ciò che in quel momento sembrava un processo irreversibile, all'appuntamento con il voto, a causa del sistema elettorale, ha subito - ahimé! - un arretramento. Quel sistema elettorale, infatti, costruito in modo da premiare le appartenenze etniche o religiose , di fatto, ha spinto di nuovo i cittadini libanesi, che, innanzitutto, volevano sentirsi tali, a sentirsi, soprattutto, come appartenenti a una comunità.
A detta degli osservatori, quel delicato equilibrio avrebbe potuto incrinarsi in qualunque momento e questo - ahimé! - è avvenuto, un po' anche per responsabilità della comunità internazionale che, prima dell'assassinio di Hariri, non è stata così generosa come, fortunatamente, ha saputo essere oggi, in occasione della terza conferenza di Parigi, (o Parigi III). È stata generosa a parole ed è stata molto moderatamente generosa dal punto di vista finanziario, senza mai curarsi del modo in cui sarebbero stati utilizzati i pochi aiuti finanziari, che peraltro consistevano soprattutto in un congelamento del debito.
Perciò, dal punto di vista economico il Libano, di fatto, è stato abbandonato a se stesso e per questo motivo principale - anche se altri motivi hanno influito - non è stato in grado di garantire quello che altri gruppi, nell'ambito dello Stato libanese, garantivano, invece, quotidianamente: alludo alla formazione scolastica, all'assistenza sanitaria e all'organizzazione di attività, magari, non ufficiali, organizzate grazie a non si sa quali fondi, dato che la comunità internazionale, ufficialmente, erogava modesti finanziamenti allo Stato. Come mai alcuni gruppi potevano disporre di altri fondi, e cospicui, per sopperire alle mancanze dello Stato? La risposta a questa domanda ci conduce al secondo motivo della crisi libanese: le cause esterne. Il presidente Casini di questo non ha parlato, ma nessuno di noi si nasconde che ci sono anche cause esterne nella questione libanese. Hezbollah, ilPag. 38principale gruppo che oggi contesta, anche in modo violento, il governo Sinora, è notoriamente legato e finanziato dall'Iran e, in misura minore, dalla Siria. Non è un mistero che Hezbollah riceva aiuti dall'Iran. I suoi militanti sono cittadini libanesi ma non agiscono - ahimé! - negli interessi del proprio paese. Se va bene, agiscono nell'interesse di una parte del paese, la loro. Soprattutto, come è sempre più evidente, agiscono con tempistica e modi funzionali ad altri equilibri che sono al di fuori del Libano. Questo non dobbiamo dimenticarlo, né nel momento della analisi o delle riflessioni che stiamo svolgendo insieme, né nel momento in cui ci poniamo il problema di come risolvere questa crisi.
Cercando di sintetizzare un argomento che, invece, richiederebbe un approfondimento molto più ampio, le cause interne a breve termine si possono affrontare con la giusta insistenza, che altri colleghi hanno enfatizzato, affinché si riportino nell'alveo del dibattito e della dialettica politica i temi del contenzioso, si riapra il Parlamento. È necessario, anche da parte del nostro Governo, un dolce ma fermo invito al presidente Berri a convocare il Parlamento. Fino ad oggi, infatti, adducendo motivi tecnici non chiaramente comprensibili, non è stato convocato.
PRESIDENTE. Onorevole Rivolta...
DARIO RIVOLTA. Concludo, Presidente.
Ci si ponga, però, per un periodo meno breve, a medio termine, anche il problema di come aiutare il Libano a trovare la strada per superare quella divisione in correnti, in confessioni ed in etnie, che non è propedeutica a nulla di definitivo e a niente di buono.
Per quanto riguarda l'aspetto esterno, non dimentichiamo che si ha a che fare con paesi con cui noi interloquiamo costantemente. Chiedo che il Governo non dimentichi questo aspetto e che interloquisca anche per risolvere la crisi libanese con questi paesi.
Infine, le rivolgo un ultimo invito, signor viceministro. All'interno del nostro Parlamento, vi sono individui e forze politiche che, per vari motivi, anche in maniera non ufficiale, hanno rapporti con forze politiche e figure istituzionali importanti all'interno del quadro politico libanese. Il mio invito, manifestando una disponibilità mia e del mio partito in tal senso, è che il Governo faccia, sì, da regia, attivando, però, nel contempo, tutte i canali di contatto, anche informali, perché, in questo modo, si moltiplichino le possibilità di aiutare il Libano ad uscire da una crisi, da cui tutti noi vorremmo che presto uscisse (Applausi dei deputati dei gruppi Forza Italia e Alleanza Nazionale).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Alessandri. Ne ha facoltà.
ANGELO ALESSANDRI. Viceministro Intini, debbo dire che oggi ho sentito, da parte sua, una descrizione esaustiva di ciò che è avvenuto negli ultimi giorni ed una presa d'atto di una situazione difficile, che tutti conosciamo.
Credo sia giusto, anche per dare uno stimolo al Governo, cercare di ricordare i motivi di perplessità che il gruppo che rappresento, la Lega Nord, ha testimoniato già durante la ratifica della missione in Libano, motivi che oggi permangono e che, forse, per certi versi, sono confermati.
Noi continuiamo ad avere questa posizione perché ci è sembrato che alcune critiche, almeno cinque, vadano rivolte alla missione militare in Libano, altrimenti continueremmo a fare un quadro geopolitico dell'area mediorientale senza arrivare mai a capirne i veri problemi, che, spesso, sono insormontabili.
A noi sta bene parlare di una strategia di lungo periodo. Va bene; però bisogna capire qual è questa strategia. Bisogna investire per ricostruire, per pacificare e per cercare di isolare gli estremismi della zona libanese. Benissimo, ma dobbiamo anche dire come dobbiamo fare tutto ciò, altrimenti rischiamo di predisporre una serie di interventi che non hanno né capo né coda e che, magari, creano ancor più attrito in una situazione già abbastanza delicata.Pag. 39
Va ricordato che il Libano oggi è un mosaico di etnie e di gruppi divisi anche al loro interno. L'altro giorno una prima scintilla si è avuta fa cristiani. Vi sono in campo forze maronite e druse, sciiti e sunniti. È veramente una situazione complicatissima, che, per certi versi, rispecchia l'intera crisi dell'area mediorientale.
Bisogna capire, quindi, perché siamo andati in Libano e perché abbiamo inviato migliaia di ragazzi in una situazione delicata, che già prima non era in una tregua perfetta, ma quasi solo nominale (i missili e i razzi erano pronti a partire), senza avere le idee chiare su cosa debbano fare e che cosa stiano rischiando.
Era questa la critica principale che avevamo rivolto in precedenza e per la quale non abbiamo voluto, in maniera convinta, appoggiare la missione italiana in Libano. Rispondendo anche all'onorevole Casini - lo dico molto onestamente -, non credo che, non si possano rivolgere delle critiche e porre le basi per affermare il nostro dissenso, se non ci sono chiari alcuni passaggi, solo perché così fanno tutti gli altri Stati o perché così ci chiede il consesso internazionale (mentre, magari, il Governo vorrebbe valutare diversamente questa posizione).
La risoluzione n. 1701 dell'ONU prevede di andare verso il disarmo. L'arretramento al sud vuol dire cercare la pace. Però, mentre precedenti risoluzioni ONU, forse in maniera più chiara, stabilivano che il disarmo era indispensabile, questa, per esempio, ha già qualche punto in meno. Mi riferisco, in particolare, alla risoluzione n. 1559 del 2004.
Con questo mandato del Consiglio di sicurezza dell'ONU, non si ha, in modo chiaro, il potere di realizzare il vero disarmo. Abbiamo parlato di regole di ingaggio non chiare e non specificate. In effetti, se disarmare Hezbollah potrebbe costituire uno dei motivi per cui impegnare i nostri ragazzi in Libano, è difficile capire come possano farlo. È una situazione nella quale ogni sforzo rischia di diventare esplosivo e pericoloso per i nostri soldati.
Pensate che, dietro Hezbollah, c'è la parte politica di Hamas, ma c'è anche l'Iran e la Siria (è inutile che ce lo nascondiamo): Iran e Siria stanno soffiando sul fuoco e fomentando un odio, anche razziale, nei confronti di Israele, perché, all'interno di questa faida libanese, purtroppo, c'è anche la questione israeliana.
Nel 1897, Teodor Herzel iniziava ad immaginare uno Stato israeliano, ma, forse, non pensava che questo avrebbe comportato una serie di cavilli etnici e di scontri che stanno insanguinando sopratutto l'area libanese, in una guerra civile che è durata quasi 25 anni e che, per certi versi, non è mai finita, ma continua: negli ultimi giorni, abbiamo assistito all'uccisione di persone e a finanziamenti arrivati al governo attuale - ricordiamolo -, che, in qualche modo, devono essere controllati (se diamo 120 milioni per gli aiuti umanitari, va benissimo, non lo contestiamo; 30 li abbiamo già dati, sono già stati spesi per le emergenze).
Qualcuno, però, ha sollevato il dubbio: perché le milizie vicine ad Al-Fatah hanno ingaggiato una guerra contro Hezbollah in questi giorni, realizzando la prima vittoria nella storia, perché, per una volta, erano maggiormente armate (13 morti a 5: siamo addirittura ai conteggi numerici su cose allucinanti; più di cento feriti; 50 persone sono state rapite e di loro non se ne sa più nulla)? Parlare di una situazione delicata è un eufemismo. Oggi, la situazione può esplodere da un momento all'altro.
Capisco il consesso internazionale - e, per certi versi, ci può stare - che sollecita a dare 7,5 miliardi di dollari al governo, purché venga legittimato; e un governo di unità nazionale alla popolazione può far giungere il messaggio che la comunità internazionale appoggia questo e non il fondamentalismo. Può essere un motivo per invogliare la popolazione ad allontanarsi dal fondamentalismo. Tuttavia credo che, se non vi siano determinate garanzie, sia poco chiaro, utopistico e rischioso. Hezbollah e lo sceicco Nasrallah, l'altro giorno, hanno dichiarato che, in ogni momento, possono far cadere il governo.Pag. 40Questo deve essere chiaro: lo sciopero, che è alla base degli ultimi scontri, indetto dalle forze estremiste, ha confermato che sono in grado di far precipitare la situazione in Libano.
Dobbiamo porci questo dilemma in maniera molto cosciente. In questo momento è possibile pensare, in maniera concreta, che non possa scoppiare una guerra e che non possa essere alimentata da motivi religiosi? Guardate che i motivi religiosi, purtroppo, soprattutto quando c'è l'estremismo islamico, passano davanti anche ai buoni propositi internazionali e agli aiuti economici. Infatti, se da un lato, la Comunità europea concede 7,5 miliardi, dall'altra, purtroppo, alcuni paesi sono pronti (qualcuno citava le valigie che sono state intercettate) a portare altrettanti soldi per fomentare l'odio ed il terrorismo.
Credo che tutta la missione, purtroppo, nasca con piedi malsani. È un tavolo che non ha tre piedi, ma, al massimo, due. È un tentativo, ma, forse, alla cieca, senza garanzie.
Allora, ritorno al punto a cui avevo fatto cenno precedentemente, dopo essermi soffermato su questi quattro passaggi, ricordando che anche la missione Unifil non è particolarmente solida nella sua funzione (e nutro massimo rispetto nei confronti di quei tre mila ragazzi che vivono in quella situazione). Gli aiuti umanitari prevedono anche la forza militare in aiuto (e questo ci sta), però dobbiamo dare il massimo delle garanzie.
Dobbiamo garantire che Hezbollah non possa più avere rifornimento di armi, non possa più avere contatti con l'estremismo. Credo che questo sia il grande impegno su cui la strategia politica deve lavorare nei prossimi anni, soprattutto nel lungo periodo. Senza questa, continuiamo a parlare di piccoli espedienti di cabotaggio politico internazionale, che, però, rimandano, ogni tre mesi, al problema libanese.
Credo che questo non sia ciò che vogliamo né quello per cui il Parlamento italiano si è impegnato (forse nella sua quasi totalità, esclusi noi), inviando ragazzi in uno scenario estremamente pericoloso, perché, se dovesse scoppiare - siamo nella zona cuscinetto, siamo in una posizione delicatissima - una guerra rischieremmo di impegnare i nostri ragazzi in conflitto che non sono pronti ad affrontare né forse ad ingaggiare con regole certe.
Credo sia bene sottolineare la nostra perplessità principale, che è quella alla quale, oggi, non ho sentito dare risposte. Ho sentito fare discorsi di geopolitica generale: speriamo che si raggiunga la pace, speriamo che si trovi la buona volontà, speriamo che questi soldi servono a far smorzare le tensioni; lo speriamo anche noi, ma non siamo sicuri e non credo lo siate neanche voi. Non credo possiate avere queste sicurezze e senza di esse 150 milioni di dollari forse sono pochi, forse sono tanti. Credo che 3 mila ragazzi, senza queste sicurezze, siano, in coscienza, davvero troppi.
Se considerate la possibilità di un'accelerazione della crisi, sicuramente verrà chiesto maggiore impegno alle forze del contingente ed allora i nostri ragazzi diventeranno ulteriormente troppi. Tutti dovranno assumersi tale responsabilità, ma ricordatevi che in questo momento sarebbe indispensabile compiere qualche riflessione e soprattutto cominciare a lavorare, come non si è ancora fatto, affinché vengano efficacemente isolati, nel panorama dell'intero scenario politico libanese, gli interlocutori inattendibili ed inaccettabili se non addirittura pericolosi.
Mi riferisco soprattutto ai finanziamenti e anche all'avallo politico provenienti da Ahmadinejad. Se davvero il nostro Governo vuole partecipare alla soluzione dei problemi libanesi, deve chiarire la propria posizione rispetto al governo iraniano. Ricordo che il nostro Governo si è recato in visita ufficiale, riconoscendo il ruolo di Ahmadinejad in un momento in cui la questione nucleare non ha un peso secondario e le parole dello stesso presidente iraniano nei confronti di Israele non ne assumono certamente uno meno fondamentale. Inoltre, credo che anche nei rapporti con Damasco si debbano usare piedi di piombo.Pag. 41
Il terrorismo purtroppo è una realtà e non un'invenzione della Lega né di chi, a causa di una semplice critica, viene accusato di essere xenofobo o razzista. Al contrario, essa è realtà conclamata all'interno dei governi della fascia mediorientale, ed in maniera pesante anche di quelli considerati moderati. L'Arabia Saudita ha proposto La Mecca come luogo ove avviare un momento di confronto e di pacificazione. Si può fare, ma attenzione, perché, se non si trova una soluzione a lungo ma anche a medio termine per smorzare almeno le tensioni della crisi libanese, tutta l'area mediorientale rischia di esplodere in maniera pesante anche nelle regioni considerate moderate.
PRESIDENTE. Deputato Alessandri, la prego di concludere.
ANGELO ALESSANDRI. È una grande responsabilità che questo Governo si assume. Noi non ce la siamo presa ad occhi chiusi. Mi auguro che, aprendo gli occhi, si riesca a trovare qualcosa di concreto, magari di meno grande e politicamente corretto ma che in maniera effettivamente concreta riesca a risolvere i problemi. Su queste basi potremmo anche seguire il Governo; invece, finché parliamo di grandi scenari senza spiegare in concreto quello che andiamo a fare, non ci sentiamo in questo momento di assumerci una responsabilità del genere (Applausi dei deputati del gruppo Lega Nord Padania).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Leoluca Orlando. Ne ha facoltà.
LEOLUCA ORLANDO. Signor Presidente, desidero esprimere apprezzamento al Governo ed al viceministro, che ancora una volta hanno confermato quanto sia importante il raccordo continuo tra Esecutivo e Parlamento, soprattutto in una vicenda in cui si può affermare che tutto si tiene. In essa l'unico dato che certamente trova tutti d'accordo è la considerazione sul fatto che la situazione è talmente complessa che soltanto una faticosa ricerca di armonia può ricondurre ad unità pezzi separati di una vicenda che, se affrontata con scelte apparentemente forti, rischia di produrre logiche da embargo e da guerra.
A mio avviso, la faticosa ricerca dell'armonia, che assomiglia molto all'intreccio e ai ruoli della formica e della cicala, è ciò che serve in una vicenda delicata come quella libanese. Alcuni elementi sono le stelle polari della nostra azione. Ricordo innanzitutto la scelta multilaterale, la scelta delle Nazioni Unite, la scelta del ruolo dell'Unione europea, la scelta non della pace, bensì di una politica di pace. Essa è certamente più impegnativa e complessa rispetto alla semplice declamazione di pace. Al tempo stesso, vi è tuttavia l'affermazione che tutto questo non è incompatibile con la sovranità degli Stati, nel caso specifico del Libano.
Vorrei raccogliere fino in fondo e condividere al tempo stesso la preoccupazione espressa dal Presidente Casini, il quale ha chiesto di non modificare i dati distintivi dell'operazione e di stare attenti nel sostenere qualunque tipo di governo dovesse realizzarsi in Libano, anche a seguito dello stravolgimento delle regole democratiche.
Non è contraddittorio affermare - sempre per una ricerca di armonia - che condivido pienamente anche l'intervento del collega Alì Raschid, il quale ha suggerito di non enfatizzare un Governo che esiste fino al punto di ignorare la presenza di non trascurabili problemi complessivi di partecipazione.
Ora, fermo restando il sostegno allo Stato sovrano e al Governo che esso esprime, direi di non enfatizzare nessuna delle due posizioni perché potrebbero entrambe essere pretesto per quanti vogliano cogliere o la posizione del collega Alì Raschid o quella del presidente Casini al fine di motivare una scelta che produce poi reazioni ed irrazionalità.
Da questo punto di vista, siamo pienamente fiduciosi che il Governo saprà trovare - come ha fatto fino ad ora - le ragioni dell'armonia, sapendo che, se è vero che la vicenda palestinese e il mancato riconoscimento del diritto del popolo palestinese sono diventati la madre di tuttiPag. 42i contrasti nel mondo, l'operazione Unifil può essere madre di ogni pace. Infatti, questa operazione è quasi l'altra faccia della pericolosità della situazione libanese. Per questo, la Comunità internazionale sta giocando sicuramente un ruolo delicatissimo perché - Dio non lo voglia - se questa missione dovesse fallire, probabilmente rischieremmo di essere risucchiati da coloro che sostengono che soltanto l'embargo e la guerra nella logica unilaterale possono risolvere i problemi della pace nel mondo, della sicurezza di Israele e del riconoscimento dei diritti del popolo palestinese.
Non voglio aggiungere altro, se non associarmi, a nome del gruppo che rappresento, l'Italia dei Valori, alla solidarietà per il popolo israeliano, che ha subito un terribile attentato. La nostra vuole essere ovviamente una solidarietà che si unisce a quella nei confronti delle tante e terribili mortificazioni e stragi che il popolo palestinese ha subito in questi mesi e in questi anni (Applausi dei deputati dei gruppi Italia dei Valori e Rifondazione Comunista-Sinistra Europea).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Crema. Ne ha facoltà.
GIOVANNI CREMA. Signor Presidente, anch'io mi compiaccio per il suo intervento con il viceministro Intini, non solo per le cose che ha voluto dire oggi al Parlamento, dimostrando una grande attenzione alla nostra fondamentale istituzione, ma anche perché ha aperto una prospettiva di impegno ulteriore del nostro Governo che va nel segno di alcune valutazioni molto serie fatte oggi in quest'aula. Queste ultime sono state introdotte con l'intervento del presidente della Commissione esteri, che mi trova largamente consenziente.
Quindi, io partirei proprio da qui. Credo sia giusto sottolineare un momento così difficile per la situazione libanese che, aldilà degli scontri della settimana scorsa, ha messo in moto una serie di successi diplomatici e anche di carattere politico da parte della Comunità internazionale. Certamente questi successi, dall'estate scorsa ad oggi, lasciano intravedere una maggiore sensibilità ed un impegno della Comunità internazionale stessa.
Qui non stiamo parlando solo di una delle tante crisi nel Medio Oriente. Siamo in presenza di un paese distrutto in appena 33 giorni di guerra. È vero che vi sono emergenze di carattere istituzionale e politico, ma non dobbiamo dimenticare che i cittadini libanesi vivono in una condizione di grande emergenza anche a seguito di un grave disastro ambientale, con fabbriche distrutte, reti idriche e reti fognarie che non esistono più e che danno luogo al relativo inquinamento nella catena tossica che s'innesta. Inoltre, vi è una marea di rifiuti tossici dovuti alle esplosioni e alle distruzioni. Ancora, ci troviamo in presenza di un enorme debito pubblico e, dunque, non siamo di fronte ad una crisi politico-istituzionale di un paese che può avere delle ripercussioni di carattere internazionale tout court, ma davanti ad una complessità sottolineata da tutti.
Non c'è solo una tradizionale divisione del mondo musulmano. Infatti, durante la missione della passata settimana, abbiamo verificato che esistono profonde divisioni e scontri aperti anche all'interno della comunità cristiano-maronita. Quindi, la complessità è notevole. Ritengo, inoltre, che anche sul piano psicologico, dell'insoddisfazione e della rabbia popolare che si manifesta, il non risolto problema palestinese alimenti un malessere che, per le condizioni dei circa 300 mila esseri umani coinvolti, è largamente intollerabile.
Si tratta di un insieme di questioni antiche e nuove che rendono difficile il teatro su cui operare. Non è sufficiente essere un «can che abbaia» e richiamare l'attenzione sui pericoli, ma è giusta per la comunità internazionale, con l'intervento multilaterale, la scelta strategica dell'Italia di operare in questo campo, abbandonato dai precedenti Governi (anche alla luce dell'azione unilaterale che ha portato al conflitto in Iraq da parte degli Stati UnitiPag. 43d'America), una scelta che ritrova e fa ritrovare il senso della politica, della mediazione e dell'iniziativa diplomatica.
Il fatto stesso che, come è stato sottolineato, l'esercito libanese ritorni, dopo decenni, nel sud di quel martoriato paese, riprenda il territorio e faccia capire ai cittadini che esiste uno Stato, che non si vedeva e non si conosceva, sta a testimoniare un dato positivo. Altrettanto positiva è la collaborazione quotidiana, intensa e fattiva, che abbiamo visto con i nostri occhi, tra il contingente internazionale e l'esercito libanese.
Certo, siamo ai primi passi, ma passi notevoli sono stati compiuti in questi mesi. L'azione di mediazione, l'azione diplomatica (anche l'intervento del Governo italiano nella III Conferenza di Parigi) è stata giusta.
Non sono favorevole ad una lettura della situazione come se si trattasse di un ricatto: fornire gli aiuti e, se il Governo libanese non fosse mantenuto in piedi, non dare più nulla. Leggo, invece, una parte virtuosa nell'intervento della comunità internazionale e del nostro Governo: dobbiamo stabilizzare il quadro politico ed istituzionale del Libano; dobbiamo riconoscere che esiste un Governo. Ciascuno deve fare un passo indietro, riprendere il confronto, il dialogo e la mediazione politica nelle sedi istituzionali.
Tra gli obiettivi che il Governo italiano si prefigge di far raggiungere con il suo aiuto alla politica libanese vi è la ripresa del lavoro, del confronto, del dialogo parlamentare, l'espressione di una deliberazione sufficientemente condivisa da parte del Parlamento libanese affinché si insedi, finalmente, il processo per il giudizio internazionale sull'assassinio del premier Hariri (con tutto ciò che comporterà sul piano del diritto internazionale e della ricaduta nella politica interna) e il raggiungimento di un accordo per una nuova legge elettorale che permetta di arrivare ad una conta democratica per rimettere in gioco il Governo ed il paese.
Tutti debbono rischiare qualcosa e concedere qualcosa per uscire dall'impasse. Tanto più ciò potrà avvenire, quanto più la comunità internazionale continuerà sulla strada della tenacia, della generosità ed anche della presenza fisica e legale nel territorio.
Abbiamo ricevuto una risposta dal comandante del contingente italiano, il generale di brigata Gerometta, anche comandante del settore ovest dell'Unifil, quando gli è stato chiesto quali siano le «regole d'ingaggio». La politica non le nasconde, ma il generale (che anche su ciò dimostra di essere un eccellente ufficiale) ha risposto che vi sono motivi di grande riservatezza, perché il primo compito di un comandante è tutelare i propri soldati. Inoltre, ad una mia precisa domanda sui mezzi e l'armamento, se cioè fosse ritenuta soddisfacente la potenzialità di difesa, è stata data una risposta di assoluta serenità.
Per quanto mi riguarda sono consapevole che uno dei mandati che l'ONU assegna alle forze internazionali, il disarmo delle milizie Hezbollah, è difficile da attuare. Quando però noi diciamo questo, dobbiamo anche capire che queste non sono un esercito fantasma; Hezbollah è un partito che è sorto sulle ceneri probabilmente di altre forze politiche che in maniera più propria (credo dal mio punto di vista occidentale) oggi servirebbero quel paese.
Noi, se siamo sinceramente dei democratici e se parliamo seriamente, dobbiamo far sì che in quel paese, nella libera gara democratica, si sgonfi eventualmente il consenso popolare che Hezbollah ha, perché non è che Hezbollah abbia in quel paese una forza dovuta solo alle armi: ha un consenso tale che gli permette di portare a casa tutti e 23 i deputati assegnati al collegio del sud.
Quindi, Hezbollah ha un consenso popolare e, caso mai, le grandi democrazie del ricco Occidente devono interrogarsi su come mai un fondamentalismo, un estremismo talmente inaccettabile per un democratico possa avere un consenso così ampio. Su queste riflessioni dobbiamo poi imperniare un confronto aperto (come ricordava il collega Rivolta) che superi, all'interno del Parlamento, le divisioni politichePag. 44legittime tra maggioranza e opposizione. Questo va fatto con grande senso di disponibilità e di laicità, di fronte a un problema che non è semplice e, come ho voluto ricordare, non appartiene solo al campo musulmano, in quanto vi sono lacerazioni orizzontali, e direi anche che la situazione non esime nessuna delle tre correnti principali religiose, o meglio degli uomini politici che si rifanno a queste correnti, da un comportamento integerrimo sulla gestione della cosa pubblica.
Si tratta quindi di un lavoro difficile, un lavoro che è confortato peraltro dal comportamento del nostro contingente militare al quale noi parlamentari della Rosa nel Pugno siamo vicini, solidali e grati.
Oggi, mentre teniamo questo dibattito, è intervenuta una novità importante: il generale Graziano è oggi a Beirut, e il 2 febbraio assumerà l'incarico di dirigere l'intero contingente internazionale ONU.
Speriamo che questo sia l'auspicio di un processo positivo, l'unico dato che ci preoccupa è che negli scontri della settimana scorsa, per la prima volta, sono comparse le armi tra i civili e si è sparato. Questo non è un segnale tranquillizzante, questa è forse la preoccupazione più rilevante.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare la deputata Tana De Zulueta. Ne ha facoltà.
TANA DE ZULUETA. Signor Presidente, ritengo anch'io che la situazione in Libano sia realmente preoccupante, e pertanto ringrazio il viceministro per essere venuto in Assemblea ad aggiornarci sulla situazione. Credo che questa discussione vada ad integrare l'importante ed utilissima missione delle Commissioni congiunte esteri e difesa, effettuata proprio in quel teatro poco tempo fa.
Il viceministro Intini ha parlato soprattutto dei risultati della Conferenza di Parigi, una Conferenza molto importante nella quale, tuttavia, si parlava soprattutto di soldi. Va ricordato invece che questi aiuti - è una cifra davvero enorme - non potranno essere utilmente ed efficacemente utilizzati se non ci sarà un accordo politico nel paese. Nella situazione attuale sono soldi, nei fatti, congelati.
È per questo che io condivido e ritengo molto importante trovare il modo di rilanciare anche in altre sedi il problema: faccio parte dell'Assemblea parlamentare euromediterranea, e penso che anche in quella sede sarebbe opportuno riprendere il suggerimento del Presidente Ranieri riguardo quei tre punti sui quali la comunità internazionale dovrebbe chiedere ai nostri interlocutori libanesi, e anche agli interlocutori dei paesi vicini, un pieno impegno.
Il primo è, naturalmente, quello della sovranità ed integrità del Libano. Il secondo è quello che ci interpella direttamente: spingere per uno sbocco politico e, soprattutto, spingere i nostri colleghi parlamentari libanesi, a cominciare dal Presidente Nabih Berri, a riconvocare il Parlamento libanese per trovare un accordo su tutte le principali questioni rimaste aperte, da quella - spinosissima -, del tribunale internazionale, che dovrebbe processare i colpevoli del delitto Hariri, a quella - delicata - di una nuova legge elettorale, senza la quale non sarà possibile arrivare a quello sbocco che potrebbe ridare legittimità all'attuale rappresentanza e, soprattutto, aprire la strada a nuove elezioni. Ricordo a tutti noi che il 14 febbraio cadrà l'anniversario dell'assassinio di Hariri: sarebbe importante che qualche passo fosse fatto prima di quella data.
Per quanto riguarda il contributo italiano più importante, credo sia da indicare non solo e non tanto la significativa somma che mettiamo a disposizione di quel paese, ma soprattutto la missione Unifil, che, come è stato ricordato, l'Italia comanderà tra poco e che, probabilmente, è nata, nella sua efficace forma odierna, grazie all'iniziativa politica e diplomatica dell'Italia. Questo è riconosciuto da tutto il Parlamento. Ho sentito, con piacere, che l'opposizione riconosce all'Italia di essere stata protagonista nel passaggio molto delicato che ha consentito la fine dellaPag. 45guerra, dell'attacco al Libano, e soprattutto ha tutelato l'integrità del Libano anche in questa ultima crisi.
Come hanno ricordato i colleghi che hanno potuto conoscere i nostri militari che si trovano nel sud del Libano, il nostro principale interlocutore è l'armée, vale a dire l'esercito libanese. Interessante e nuovo, per quel paese, è proprio il fatto che l'esercito libanese è diventato l'unico vero simbolo dell'unità nazionale. Dopo gli scontri sanguinosi di martedì 23 - in questi giorni, il paese è stato davvero sull'orlo del precipizio -, anche quei politici libanesi che avevano espresso critiche nei confronti dei comportamenti dell'esercito hanno riconosciuto il ruolo insostituibile delle forze armate, che - curiosamente - hanno retto, ancorché costituite da membri delle comunità che così duramente si contrappongono l'una all'altra. Credo che, fino a quando l'esercito libanese reggerà, potranno reggere anche l'integrità del paese e, soprattutto, l'efficacia della nostra missione. Pertanto, questo è un dialogo delicato ed importante. Mi piace pensare che abbiamo contribuito all'empowerment (così direbbero gli anglosassoni), al senso di sicurezza e di fiducia nel loro ruolo che ha consentito ai militare libanesi di tutelare l'unità nazionale in un momento così difficile.
Credo, però, signor viceministro, che l'Italia dovrebbe ritrovare, forse, quel protagonismo e quell'inventiva che ci hanno consentito di svolgere, con tanta efficacia, un ruolo di leadership allorquando, nel mese di agosto, si è trattato di trovare una soluzione alla crisi, cioè di essere protagonisti di una nuova politica dell'Europa per il Medio Oriente.
In questo momento, la situazione è molto delicata perché tutti i focolai di crisi nel Medio Oriente si sono pericolosamente riaccesi: in Palestina, con i morti di questi ultimi giorni; in Iraq, dove non c'è nulla che somigli ad uno spiraglio per una maggiore tranquillità. L'arrivo del contingente dei rinforzi americani non ha fatto altro che aumentare il tasso di violenza, semmai fosse possibile. Poi, il Libano si è trovato sull'orlo del precipizio.
L'attuale amministrazione degli Stati Uniti - tradizionalmente il principale paese coordinatore delle politiche dell'Occidente verso il Medio Oriente - in questa fase ha deciso di non prendere in considerazione i suggerimenti della commissione Baker-Hamilton, che proponeva una soluzione per la situazione in Iraq e attribuiva un ruolo preponderante alla diplomazia rispetto all'uso della forza militare. Il Presidente Bush ha fatto la scelta opposta. La diplomazia è stata posta in subordine, vi sono più truppe in Iraq, e si registra uno scongelamento, per quanto riguarda la Palestina, dei fondi esclusivamente per l'acquisto e il rifornimento di armi per le forze del Presidente.
È un segnale devastante per un paese che è stato tenuto sotto una specie di assedio, privato delle minime risorse che consentissero alla propria amministrazione di funzionare. Gli unici soldi che arrivano sono per le armi. Credo che questo tipo di segnale non faccia onore alla comunità internazionale. Ritengo che l'Europa dovrebbe trovare il modo di lanciare un segnale molto diverso, un segnale che ponga nuovamente - come abbiamo fatto per quanto riguarda il Libano - il diritto internazionale al centro delle nostre politiche.
In questo senso, penso sia stato un peccato, un'opportunità mancata che siano stati esclusi dalla partecipazione alla conferenza di Parigi sia la Siria sia l'Iran. È vero: l'Iran - come ha ricordato il presidente Ranieri - è protagonista, nella persona del presidente Ahmadinejad, di dichiarazioni che in Europa fanno venire i brividi, non solo per le loro implicazioni. Però, come dicono pure gli americani, anche con i peggiori si può parlare, se non altro per dire che si è in disaccordo. E l'Iran dovrà essere parte di una soluzione per il Medio Oriente, così come la Siria.
PRESIDENTE. La prego di concludere.
TANA DE ZULUETA. Signor Presidente, concludo ricordando che, in tempi di maggiore speranza, si era detto che il Libano avrebbe potuto rappresentare unPag. 46messaggio per il Medio Oriente, perché in Libano si è tentata la soluzione di una comunità di religione mista. Ebbene, credo che - come ha detto il presidente Ranieri - dobbiamo tentare di aiutare i democratici libanesi che sperano in uno Stato laico e libero (Applausi dei deputati dei gruppi Verdi e L'Ulivo).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare la deputata Sandra Cioffi. Ne ha facoltà.
SANDRA CIOFFI. Signor Presidente, vorrei rivolgere un ringraziamento al viceministro Intini, non solo per la chiarezza delle informazioni che ci ha fornito in ordine alla gravissima situazione in atto, ma anche perché ci ha dato il senso del grande impegno che sta dimostrando e che ha dimostrato in passato il Governo per la soluzione della gravissima crisi libanese.
Vorrei ringraziare anche il presidente Ranieri: non solo condivido il suo intervento di oggi, ma ritengo anche che la missione in Libano ci possa aiutare molto a capire quale deve essere l'impegno di questo Parlamento.
La giornata di oggi, certamente, potrà portare un contributo. Questo scambio di opinioni ci potrà aiutare, affinché il nostro contributo, come paese, possa essere sempre più - come è stato - un contributo imparziale e concreto; un contributo che non è volto ad appoggiare questo o quel Governo, ma che è finalizzato a ottenere un Libano sempre più libero e democratico, che dia più serenità ai suoi abitanti.
Mi fa piacere svolgere insieme a voi una riflessione sulle cause della tragedia di questi anni. Una questione che ci deve far riflettere è il maggiore vigore assunto dalle vecchie divisioni confessionali, in un paese che ne conta ben 17, tra cristiane e musulmane. Inoltre, le milizie si stanno riarmando sempre di più e, purtroppo, la popolazione libanese ne risente profondamente.
Il Libano è un paese diviso politicamente con, da una parte, un Governo appoggiato a livello internazionale e, dall'altra, un'opposizione appoggiata da paesi quali la Siria e l'Iran. Pertanto, l'impegno internazionale per riuscire a superare questo difficile momento è estremamente importante, per evitare il ripetersi del grande dramma della guerra degli anni '80.
I libanesi stanno vivendo in una situazione estremamente difficile sia dal punto di vista economico, sia a causa della grande perdita di vite umane di questi ultimi tempi. Il conflitto con Israele - io faccio parte della Commissione infanzia, dunque sono particolarmente attenta a questi problemi - è stato davvero drammatico per i bambini libanesi. Infatti, un terzo delle vittime sono stati i bambini e, oggi, vi è il grande problema delle mine che li colpisce in particolare.
Tuttavia, la situazione libanese è ulteriormente aggravata anche dal punto di vista sociale, con particolare riferimento al ceto medio, che oggi vive in condizioni non molto dissimili da quelle di quindici anni fa.
Ho già avuto modo di ricordare che quanto previsto dagli Accordi di Taif non ha avuto un effettivo seguito. Purtroppo, per ben sedici anni è stata congelata una situazione che ha prodotto un sistema elettorale in base al quale i seggi parlamentari vengono assegnati su base confessionale, facendo riferimento ad un censimento del 1932. E, chiaramente, ciò si ripercuote anche nelle altre cariche dello Stato.
Inoltre, vorrei ricordare ancora una volta che uno dei problemi più rilevanti è quello relativo alla situazione dei palestinesi nei campi profughi del Libano. Per un paese di 4 milioni di abitanti, i quasi 700 mila profughi costituiscono un grande problema e possono creare forti tensioni non solo all'intero Libano, ma anche rispetto ad Israele. Tali profughi sono stati esclusi da qualsiasi trattativa di pace tra palestinesi e israeliani e resteranno ancora a carico del Libano per un tempo indeterminato. Dunque, occorre attivarsi al fine di consentire a questi palestinesi di godere degli stessi diritti dei libanesi.
Tenuto conto di questi scenari, appare evidente come la missione Unifil rappresentiPag. 47uno strumento fondamentale per aiutare i libanesi a riacquistare una condizione di vivibilità accettabile all'interno di un paese democratico.
Proprio per questo, noi popolari UDEUR sentiamo il dovere di ringraziare tutti i nostri soldati, a cui va la nostra gratitudine. In particolare, al generale Claudio Graziano, che si è recato oggi in Libano, va il nostro saluto, con l'augurio di lavorare bene per il Libano, come ha fatto il generale Angioni tanti anni fa.
Quanto sta accadendo in questo momento in Libano ci deve far riflettere sul fatto che sempre di più la comunità internazionale e anche la politica devono interessarsi al problema della ricostruzione morale, politica ed economica del paese. Questo è stato uno degli obiettivi della Conferenza dei paesi donatori di Parigi che, grazie all'impegno di tutta la comunità internazionale, ha raccolto quasi 6 miliardi di euro per il Libano. Il nostro Governo ha fatto, come al solito, la sua parte e certamente contribuirà sempre di più alla ricostruzione economica e sociale del paese.
Alla luce di quanto esposto, vorrei fare qualche proposta. Come possiamo aiutare il Libano? Si parla tanto della ricostruzione democratica in Libano dopo la guerra di agosto. In Commissione esteri, ci è stato offerto uno scenario su cui poter lavorare; perché non pensiamo a missioni di studio e di ricerca in grado di contribuire a sciogliere il nodo delle forme e dei poteri istituzionali? C'è da rompere il cappio confessionale e settario che sta ancora una volta strangolando il Libano. Bisogna aiutare a costruire uno Stato di diritto in cui queste fratture e odi interconfessionali non trovino posto nell'ordinamento e nel funzionamento dello Stato; occorre, inoltre, una nuova legge elettorale che tenga conto della realtà attuale del paese.
Questo processo può essere fortemente aiutato dal supporto pratico, tecnico e dottrinario della comunità internazionale e, certamente, l'Italia non è seconda a nessuno come tradizione giuridica. A Roma si tenne la conferenza per il Libano che ebbe grande successo; occorrerebbe verificare la possibilità di promuovere una conferenza internazionale, magari proprio in Libano preceduta da convegni di studio, in cui vi sia una sempre maggiore ed allargata presenza di tutte le parti interessate, coinvolgendo anche gli amministratori locali, le regioni, le associazioni economiche di categoria del Libano, i rettori delle università. Ciò potrà dare un quadro completo da più punti di vista di osservazione dei reali bisogni della popolazione, delle istituzioni e della società civile libanese.
In realtà, l'Italia, con quello che ha fatto il Governo e come attualmente si sta impegnando, può avere un grandissimo ruolo nel contribuire alla ricerca di soluzioni politiche globali condivise che abbiano come obiettivo principale la pacificazione, la ricostruzione del Libano, non dimenticando - ripeto - il contesto israelo-palestinese e cercando di aiutare il Libano a diventare un paese sempre più forte, ricostruito e non soggetto ad influssi esterni di paesi vicini.
PRESIDENTE. È così esaurito lo svolgimento dell'informativa urgente del Governo.
Ringrazio il viceministro Intini, le colleghe ed i colleghi deputati che hanno preso parte alla discussione.
Sospendo brevemente la seduta, che riprenderà alle 17 con lo svolgimento del successivo punto all'ordine del giorno.
La seduta, sospesa alle 16,50, è ripresa alle 17.