La riforma costituzionale del Titolo V della parte seconda
della Costituzione – nella redistribuzione delle competenze tra Stato e regioni
ispirata all’inversione del tradizionale criterio di attribuzione delle
funzioni legislative (v. capitolo Rapporti Stato –
autonomie territoriali) – ha collocato il settore della comunicazione
(“ordinamento della comunicazione”) tra le materie di legislazione concorrente,
laddove allo Stato è riservata la definizione di principi fondamentali e alle
regioni la normativa di dettaglio (art. 117, terzo comma, Cost.)[1].
Si tratta di una collocazione ritenuta, in dottrina,
connessa alla necessità di soddisfare, in tale ambito materiale, esigenze di
unitarietà – connaturate alla tutela del diritto costituzionalmente garantito
di manifestazione del pensiero (art. 21 Cost.) – preservando, comunque, spazi
di differenziazione alle autonomie territoriali. A tale proposito, si ricorda
che la Corte costituzionale – pur sotto la vigenza del vecchio Titolo V, e,
quindi, in presenza di un diverso impianto costituzionale quanto
all’articolazione dei rapporti Stato-regioni – ha riconosciuto all’informazione
la natura di “condizione preliminare (…..) per l’attuazione ad ogni livello,
centrale e locale, della forma propria dello Stato democratico” nella quale
“qualsivoglia soggetto o organo rappresentativo investito di competenze di
natura politica” (e quindi anche le Regioni) “ non può, pur nel rispetto dei
limiti connessi alle proprie attribuzioni, risultare estraneo all’impiego di
comunicazione di massa” (sentenza n. 348 del 1990). In tale sentenza la Corte
costituzionale ha precisato che l’informazione attuata attraverso i mezzi di
comunicazione di massa “è attività che - per il fatto di collegarsi, nel nostro
sistema, all’esercizio di una libertà fondamentale (quale quella di espressione
del pensiero) ed alla presenza di un valore essenziale per la democrazia (quale
quello del pluralismo) – non può essere collocata sullo stesso piano delle
materie elencate nell’articolo 117 Cost.”: esso costituisce piuttosto “un
interesse o un fine il cui perseguimento non può che essere affidato alla
Repubblica, intesa come insieme di tutti i soggetti pubblici rappresentativi,
investiti di funzioni politiche”.
In questo
contesto sembra collocarsi l’inserimento dell’ordinamento della comunicazione
negli spazi che il nuovo Titolo V riserva alla legislazione concorrente. Come,
peraltro, evidenziato dal Presidente della Repubblica nel messaggio inviato
alle Camere – ai sensi dell’articolo 87 della Costituzione –in materia di
informazione e di pluralismo (v. scheda Sistema
radiotelevisivo – I messaggi del Capo dello Stato), la scelta operata dal
nuovo Titolo V della Costituzione, in materia di ordinamento della
comunicazione, in favore della competenza legislativa concorrente, risponde
alla necessità che lo Stato – nel definire i principi fondamentali – svolga la
sua “essenziale funzione di salvaguardia dell’unità della Nazione e
dell’identità culturale italiana”, mentre, dall’altro, le Regioni sviluppino
una legislazione che “valorizzi il criterio dell’articolazione territoriale
della comunicazione come espressione delle identità e delle culture locali”.
In realtà, nel
settore dell’ordinamento della comunicazione, la legislazione prodotta va al di
là del tradizionale schema della legislazione concorrente (normativa statale di
principio - normativa regionale di dettaglio), in primo luogo, in virtù dell’”intreccio” del settore con ambiti
materiali “trasversali” affidati alla competenza esclusiva statale a garanzia
di esigenze unitarietà, quali la determinazione dei livelli essenziali delle
prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti
su tutto il territorio nazionale, relativamente alle misure a tutela del
pluralismo dell’informazione, la tutela della concorrenza, con riferimento alla
disciplina antitrust .
La Corte
costituzionale ha avuto modo di precisare tali aspetti nella sentenza n. 336
del 2005 relativa ad alcune disposizioni del codice delle comunicazioni
elettroniche in materia di installazione degli impianti, impugnate in quanto
ritenute disposizioni di dettaglio e, quindi, lesive della competenza
regionale. In tale sede, la Consulta ha evidenziato le connessioni della
materia “ordinamento della comunicazione” con altri ambiti di competenza
esclusiva statale. In particolare, la Corte richiama la materia della tutela
della concorrenza in considerazione dell'incidenza che una efficiente rete di
infrastrutture di comunicazione elettronica può avere sullo sviluppo economico
del Paese e sulla concorrenzialità delle imprese[2].
Viene, altresì richiamata la materia
della “tutela dell'ambiente” riconosciuta in più occasioni dalla stessa Corte
come compito nell'esercizio del quale lo Stato conserva il potere di fissare standard di tutela uniformi sull'intero
territorio nazionale. Nella stessa sentenza n. 336 del 2005 la Corte ha chiarito
che, nell’ambito della competenza concorrente, l'ampiezza e l'area di operatività
dei principî fondamentali non possono essere individuate in modo aprioristico e
valido per ogni possibile tipologia di disciplina normativa, dovendo necessariamente
essere calate nelle specifiche realtà normative cui afferiscono e tener conto,
in modo particolare, degli aspetti peculiari con cui tali realtà si presentano.
Con riferimento ai principî fondamentali relativi al settore delle
infrastrutture di comunicazione elettronica, la Consulta precisa che non si può
prescindere dalla considerazione che ciascun impianto di telecomunicazione
costituisce parte integrante di una complessa ed unitaria rete nazionale,
sicché non è neanche immaginabile una parcellizzazione di interventi nella fase
di realizzazione di una tale rete, in analogia con quanto affermato dalla relazione
illustrativa al codice (vedi infra)
sulla unitarietà della rete. Ciò comporta che i relativi procedimenti
autorizzatori dovrebbero essere necessariamente disciplinati con carattere di
unitarietà e uniformità per tutto il territorio nazionale, dovendosi evitare
ogni frammentazione degli interventi. Ed è, dunque, alla luce di tali esigenze
e finalità che dovrebbero essere valutate ampiezza ed operatività dei principî
fondamentali riservati alla legislazione dello Stato.
Occorre, poi,
considerare che nell’ordinamento della comunicazione il limite generale dettato
dal primo comma dell’articolo 117 della Costituzione – ossia, il rispetto dei
vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario – non è privo di conseguenze
nella ripartizione delle competenze Stato-regioni, se si considerano le
restrizioni degli ambiti di intervento nazionali conseguenti alla normativa
europea. Basti pensare, nell’ambito del pacchetto di direttive sulle
comunicazioni elettroniche, alla direttiva «quadro» n. 21/2002 che non ha affrontato
solo i profili sostanziali della disciplina della comunicazione elettronica, ma
anche quelli procedurali attinenti al seguito nazionale del nuovo quadro
normativo comunitario. Il riferimento vale per quelle disposizioni che
individuano nelle Autorità nazionali di
garanzia il ruolo di soggetti regolatori,
in funzione della promozione della concorrenza nelle reti e nei servizi, dello
sviluppo del mercato interno e di tutela dei diritti dei cittadini europei (v.
capitolo Le comunicazioni elettroniche)[3].
Il riconoscimento di tale ruolo ha portato nell’ordinamento nazionale ad
affidare all’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni competenze in ordine
alla regolamentazione Anche la citata sentenza n. 336 del 2005 ha evidenziato
come gli obiettivi posti dalle direttive comunitarie, pur non incidendo sulle
modalità di ripartizione delle competenze, possano di fatto richiedere una
peculiare articolazione del rapporto norme di principio-norme di dettaglio.
Nella specie, la puntuale attuazione delle prescrizioni comunitarie, secondo
cui le procedure di rilascio del titolo abilitativo per la installazione degli
impianti devono essere improntate al rispetto dei canoni della tempestività e
della non discriminazione, richiederebbe di regola- secondo la Corte - un
intervento del legislatore statale che garantisca l'esistenza di un unitario
procedimento sull'intero territorio nazionale, caratterizzato, inoltre, da
regole che ne consentano una conclusione in tempi brevi.
Passando ad
esaminare come sia stata configurata l’articolazione dei rapporti Stato –
regioni nei principali provvedimenti attinenti all’ordinamento della
comunicazione esaminati nella XIV legislatura, si fa presente che, di seguito,
verrà presa in considerazione solo l’articolazione disposta dal codice delle
comunicazioni elettroniche (d.lgs. 259/2003), rinviando al capitolo sul
riassetto del sistema radiotelevisivo, l’analisi dei rapporti Stato – regioni nella
nuova disciplina sulla radiotelevisione (v. scheda Sistema
radiotelevisivo – I rapporti Stato –regioni).
Nel codice
delle comunicazioni elettroniche - che conferma agli articoli 10 e 12 l'esistenza di uno spazio regolatorio più ampio dell'ordinamento nazionale, in quanto
ne fanno parte le Autorità di regolazione degli altri Stati membri e, in posizione
di primazia, la Commissione - l'assetto
dei rapporti tra lo Stato e le autonomie locali è disegnato all’articolo 5,
in base al quale lo Stato, le regioni e gli enti locali, ferme restando le
competenze legislative e regolamentari delle Regioni e delle province autonome,
operano in base al principio di leale
collaborazione, anche mediante intese e accordi. Le linee generali del
settore devono essere concordate in sede di Conferenza Unificata, dove è
istituito un Comitato paritetico che acquisisce informazioni sulla dinamica del
settore e elabora proposte alla Conferenza .
La disposizione
– dopo aver individuato i limiti generali della competenza legislativa
regionale (princìpi di tutela dell'unità economica, di tutela della concorrenza
e di sussidiarietà) e aver precisato che la stessa deve essere esercitata nel
rispetto dei principi fondamentali fissati dal codice o comunque desumibili
dalla normativa vigente – elenca gli ambiti di intervento delle regioni
(individuazione dei livelli avanzati di reti e servizi di comunicazione
elettronica a larga banda, da offrire in aree locali predeterminate ;
fissazione di agevolazioni per l'acquisto di apparecchiature terminali di
utente e per la fruizione di reti e servizi di comunicazione elettronica a
larga banda; promozione di livelli minimi di disponibilità di reti e servizi di
comunicazione elettronica a larga banda nelle strutture pubbliche localizzate
sul territorio e definizione di iniziative volte a fornire un sostegno alle persone
anziane, ai disabili e ad altre categorie sociali connotate da condizioni di
particolare disagio).
In sede di
relazione illustrativa dello schema del decreto legislativo recante il codice
delle comunicazioni elettroniche, il legislatore delegato ha precisato che «l'ordinamento
delle comunicazioni, inteso come disciplina delle imprese, non si presta ad
essere facilmente frazionato tra norme di principio e norme di dettaglio, e
tanto meno in disposizioni valide territorialmente », in quanto la rete non è
suscettibile si subire frazionamenti, essendo unica a livello globale.
[1] Circa la collocazione della materia “ordinamento della comunicazione” nel testo di riforma dell’ordinamento della Repubblica , v. scheda Ordinamento della Repubblica - Il testo approvato dalle Camere
[2]
Ciò in un'ottica secondo la quale la
materia della tutela della concorrenza deve essere intesa – come precisato
dalla Corte già in altre sentenze - non «soltanto in senso statico, come
garanzia di interventi di regolazione e di ripristino di un equilibrio
perduto», ma anche in un'accezione dinamica «che giustifica misure pubbliche
volte a ridurre squilibri, a favorire le condizioni di un sufficiente sviluppo
del mercato o ad instaurare assetti concorrenziali» (sentenza n. 14 del 2004;
v. anche sentenza n. 272 del 2004).
[3] Nell’ordinamento interno, la regolamentazione adottata dall’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni ha integrato norme di principio statali , in coerenza con il quadro normativo europeo.