Sanità: quadro costituzionale

La legge costituzionale n. 3 del 2001 ha ridisegnato le competenze di Stato e regioni in campo sanitario. La “tutela della salute” (assai più ampia della dizione ”assistenza ospedaliera” dell’ordinamento previgente) rientra nell’ambito delle materie oggetto di legislazione concorrente tra Stato e Regioni; ai sensi della lett. m) dell’art. 117, comma 2, della Cost., è attribuita allo Stato la definizione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali su tutto il territorio nazionale.

Il significativo contenzioso degli ultimi anni di fronte alla Corte costituzionale mette in risalto i problemi emersi, a livello delle Assemblee legislative, nella corretta interpretazione del dettato costituzionale, anche perché l’esperienza concreta ha evidenziato l’esistenza di numerosi provvedimenti che, pur avendo una stretta attinenza al settore sanitario, riguardavano una pluralità di situazioni non omogenee, ricomprese in materie diverse sotto il profilo della competenza legislativa (ad esempio “coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario”; “professioni”; ricerca scientifica e tecnologica”). In tali casi la Corte ha fatto riferimento ai principi della prevalenza della materia e della leale collaborazione dei diversi livelli istituzionali[1].

Qui di seguito sono riassunti gli aspetti salienti dell’esperienza maturata nei primi anni di attuazione del nuovo titolo V della Costituzione, e delle indicazioni emerse dalla giurisprudenza delle Commissioni affari costituzionali e dalla Corte costituzionale, nonché dai lavori della Conferenza Stato Regioni: si tratta di un patrimonio che manterrà la sua utilità anche in relazione alle modifiche previste dalla recente legge di riforma della parte II della Costituzione (ora sottoposta a referendum confermativo). Tale riforma interviene nuovamente nel settore sanitario trasferendo nell’ambito della potestà legislativa esclusiva dello Stato parte della competenza su materie già comprese tra quelle di legislazione concorrente (in particolare “norme generali sulla tutela della salute; sicurezza e qualità alimentari”, “professioni intellettuali”) mentre attribuisce alla competenza esclusiva delle Regioni l’“assistenza e organizzazione sanitaria”.

Gli interventi per il contenimento della spesa

Particolare attenzione è stata posta dal legislatore statale e regionale ai profili di natura finanziaria (sulle misure adottate vedi capitolo Il controllo della spesa sanitaria).

Il primo atto significativo è l’Accordo dell’8 agosto 2001 raggiunto in sede di Conferenza Stato Regioni, prima dell’entrata in vigore del nuovo titolo V della Costituzione, ed il decreto legge n. 347 del 2001[2], che ne recepisce sostanzialmente i contenuti. Attraverso tali atti si realizza un più puntuale riparto di competenze, ciò consente tra l’altro di eliminare il contenzioso allora in essere (cfr. al riguardo la sentenza n. 510/2002 della Corte Costituzionale).

Viene potenziata la funzione di governo delle Regioni, valorizzandone le competenze di programmazione e di controllo anche al fine di definire nuovi strumenti di interventi volti alla razionalizzare della spesa sanitaria nell’ambito delle risorse finanziarie complessivamente disponibili.

Con il passare degli anni, dall’esame delle manovre finanziarie, si delinea progressivamente un nuovo modello nei rapporti tra Stato e regioni per il governo della spesa sanitaria. Il momento cruciale della decisione parlamentare è rappresentato dalla determinazione del quadro complessivo delle risorse da destinare al comparto sanitario al fine di salvaguardare l’attuazione dei livelli essenziali di assistenza, rinviando a successive Intese in sede di Conferenza Stato Regioni la puntuale individuazione delle misure da adottare nei diversi settori (personale, acquisti, farmaceutica etc). Tale decisione si inserisce peraltro in un quadro assai articolato di misure volte ad assicurare il costante monitoraggio dell’andamento della spesa, una più conforme applicazione dei LEA su tutto il territorio nazionale, la previsione di vincoli in capo alle amministrazioni regionali e l’adozione di ulteriori manovre correttive da parte delle regioni che accusano disavanzi, che devono stipulare Accordi integrativi con le strutture ministeriali per la riduzione della spesa.

Un ruolo centrale è svolto in tale contesto dal meccanismo di premio/punizione, già introdotto nel 2000 e successivamente perfezionato, al fine di assicurare il trasferimento integrale delle risorse dello Stato solo alle regioni che garantiscono il rispetto degli obiettivi di spesa e ponendo invece a carico delle regioni “inadempienti” la copertura dei disavanzi di spesa.  

Proprio sulla base di tale modello, la legge finanziaria per il 2005 si concentra nella fissazione di livelli massimi di spesa, mentre la determinazione dei modi e termini per il conseguimento degli obiettivi di razionalizzazione della spesa è effettuata con la successiva Intesa del 23 marzo 2005 in sede di Conferenza Stato regioni. Ed anche la legge finanziaria per il 2006 ribadisce tale impostazione, vincolando la destinazione di risorse aggiuntive, anche per il ripiano dei disavanzi, al conseguimento di Intese, in particolare per il nuovo Piano sanitario nazionale e per il contenimento delle liste di attesa[3].  

 

Si tratta di un processo che non sempre si evolve in modo lineare.

Ad esempio, nel caso degli interventi sulla spesa farmaceutica, all’iniziale, ampio, decentramento delle decisioni in materia di ticket, ha fatto seguito una ricentralizzazione delle decisioni stesse, con la definizione del Nuovo Prontuario terapeutico[4], avvenuta dopo che alcune Regioni si erano discostate dal “modello” delineato a livello nazionale, che prevedeva la preliminare individuazione da parte della Commissione unica per il farmaco delle categorie di farmaci esenti e delle altre sulle quali le Regioni avrebbero potuto decidere di apporre ticket.

Ne è mancato il contenzioso tra Stato e Regioni, che ha riguardato non solo l’entità complessiva dei trasferimenti ma anche alcuni adempimenti posti a carico delle Regioni. La Corte costituzionale ha contribuito a chiarire alcuni aspetti del problema. In particolare, con la sentenza n. 36 del 2005 ha respinto le eccezioni di incostituzionalità relative ad alcune disposizioni della legge finanziaria per il 2003 e per il 2004 che subordinavano l’accesso ai finanziamenti integrativi ad  iniziative regionali concernenti, tra l’altro, il contenimento dei costi ovvero la riduzione delle liste di attesa e la decadenza dei direttori generali delle aziende sanitarie, ospedaliere e ospedaliere autonome che non conducano le medesime all’equilibrio economico. Successivamente, la sentenza n. 417 del 2005 ha affermato invece la illegittimità di alcune norme della manovra finanziaria per il 2005 che poneva vincoli puntuali a singole voci di spesa delle regioni (in particolare, personale e acquisti di beni e servizi).

Si segnala infine che le disposizioni della legge finanziaria per il 2006, sopra descritte, sui vincoli posti per l’accesso ai finanziamenti aggiuntivi in campo sanitario e per il contenimento della spesa (con particolare riferimento alla spesa per il personale) sono stati oggetto di ricorso da parte di numerose regioni a statuto ordinario e speciale e delle province autonome di Trento e Bolzano[5].

I livelli essenziali di assistenza

Anche se non mancano esempi di determinazione dei LEA direttamente con legge (vedi, ad esempio, il provvedimento sulle attività trasfusionali; cfr capitolo Tutela della salute: aspetti specifici), la definizione puntuale ed organica dei livelli essenziali di assistenza in campo sanitario, validi per tutto il territorio nazionale, si rinviene nel decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 29 novembre 2001, emanato in base alla procedura stabilita dal decreto legge n. 357 del 2001 (decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro della salute di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, d'intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano). Anche la legge n. 289 del 2002 conferma tale procedura per le future modifiche dei LEA.

Successivamente, la legge n. 311 del 2004 (art. 1, comma 169) demanda invece l’individuazione degli standard qualitativi (strutturali, tecnologici, di processo e possibilmente di esito) e quantitativi di cui ai LEA ad un decreto del ministro della salute, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze e “sentita” la Conferenza Stato regioni.

Sul punto è intervenuta la Corte costituzionale (sentenza n. 134 del 2006), affermando l’illegittimità della disposizione citata, nella parte in cui si preveda un semplice parere anziché un’Intesa vera e propria, analogamente a quanto dettato dalla normativa generale).

(Per un’analisi più analitica della disciplina dei LEA e della giurisprudenza costituzionale cfr. la scheda di approfondimento I livelli essenziali di assistenza).

Tutela della salute

All’indomani dell’entrata in vigore della riforma del Titolo V della parte II della Costituzione, la Regione Marche ha, con legge [6], vietato l’applicazione sul proprio territorio della terapia elettroconvulsivante (cd. elettrochoc), nonché della pratica della lobotomia prefrontale e transorbitale e di altri “interventi similari”; ciò fino a che il Ministero della salute non abbia definito le situazioni cliniche per le quali detti interventi siano efficaci e non dannosi.

La Corte costituzionale, con la sentenza n. 282 del 2002, sottolinea che il legislatore non può decidere dell’appropriatezza ed efficacia delle terapie mediche, in quanto tale compito spetta alla comunità scientifica e, nei casi concreti, al medico. Il legislatore può solo definire indirizzi basati sullo stato delle conoscenze di volta in volta acquisite, a questo scopo avvalendosi di organi tecnico-scientifici (di norma nazionali o sovranazionali). La Regione Marche, però, non ha fondato il proprio intervento precauzionale su acquisizioni scientifiche verificate e convalidate dagli organi deputati (statali). Per questo motivo la legge è incostituzionale.

La sentenza della Corte Costituzionale n. 338/2003 ha dichiarato illegittimi alcuni articoli di due leggi regionali del Piemonte e della Toscana  sull’applicazione della terapiaelettroconvulsivante, la lobotomia prefrontale e transorbitale ed altri simili interventi di psicochirurgia [7].

Nella sentenza la Corte, ribadendo la sua giurisprudenza al riguardo, precisa altresì che, nei limiti dei principi fondamentali, “nulla vieta invece che le Regioni, responsabili per il proprio territorio dei servizi sanitari, dettino norme di organizzazione e di procedura, o norme concernenti l'uso delle risorse pubbliche in questo campo: anche al fine di meglio garantire l'appropriatezza delle scelte terapeutiche e l'osservanza delle cautele necessarie per l'utilizzo di mezzi terapeutici rischiosi o destinati ad impieghi eccezionali e ben mirati, come è riconosciuto essere la terapia elettroconvulsivante”.

Sulla base di tali considerazioni, la Corte ha pertanto ritenuto illegittime le norme sul divieto di applicazione sul proprio territorio della terapia elettroconvulsivante (sia pure con qualche eccezione) e sulla previsione di linee guida della Giunta regionale sull’utilizzo della TEC “su conforme indicazione della comunità scientifica toscana”). Risultano invece legittime altre disposizioni della legge in oggetto riguardanti, ad esempio, il consenso informato e le procedure di monitoraggio, sorveglianza e valutazione, considerate estranee all'oggetto delle impugnazioni ritualmente proposte[8].

Per quanto riguarda la giurisprudenza costituzionale sul divieto di fumo cfr. il capitolo Dipendenza da stupefacenti e tabagismo; sul riordino degli IRCCS cfr il capitolo Gli enti del settore sociosanitario; sui requisiti per gli incarichi di direzione delle strutture sanitarie cfr il capitolo Il personale medico.

Professioni sanitarie

La sentenza della Corte Costituzionale n. 353/2003 ha dichiarato illegittima una legge regionale di regolamentazione delle pratiche terapeutiche e delle discipline non convenzionali [9]. Nel caso in esame, la disciplina in questione è ricondotta nell'ambito della competenza concorrente in materia di "professioni” di cui all'articolo 117, terzo comma, della Costituzione.

La Corte, ribadendo la sua giurisprudenza al riguardo[10], afferma che l’assenza di una puntuale disciplina a livello nazionale delle medicine non convenzionali non legittima di per sé un intervento della singola Regione, in quanto i relativi principi fondamentali sono comunque rinvenibili all’interno della legislazione statale già in vigore. La potestà legislativa regionale in materia di professioni sanitarie deve, quindi, rispettare il principio, già vigente nella legislazione statale, secondo cui l'individuazione delle figure professionali, con i relativi profili ed ordinamenti didattici, è riservata allo Stato.

E’ importante sottolineare che l’entrata in vigore del nuovo Titolo V ha comunque determinato una ridefinizione dell’ambito di intervento delle diverse fonti in materia di professioni sanitarie. Il d.lgs. n. 502/1992 stabiliva che le distinte professioni sanitarie e i relativi profili fossero individuati con decreti (a carattere regolamentare) del Ministro della salute. Come osservato anche dal Consiglio di Stato, la materia delle “professioni” è ora oggetto di legislazione concorrente, in cui lo Stato non può più ricorrere a norme regolamentari (art. 117, commi 3 e 6, della Costituzione). Le previsioni costituzionali, in definitiva, rendono necessario, per un verso, il concorso delle regioni nella disciplina delle professioni sanitarie; per un altro verso impongono allo Stato di intervenire con legge anche per definire aspetti (come l’istituzione e la definizione del profilo delle singole professioni) fin qui disciplinabili con regolamento governativo.

Le forme di concertazione istituzionale

In materia di tutela della salute, la via della concertazione interistituzionale è stata spesso percorsa, nell’ambito di quel modello di pluralismo istituzionale delineato dalla Costituzione, dopo la riforma del titolo V, e del principio di leale collaborazione, al quale gli enti che compongono la Repubblica hanno convenuto, dopo la riforma, di ispirare il proprio operato[11].

Se l’ordinamento sanitario, fortemente regionalizzato sin dal 1992, prevedeva già numerose procedure di collegamento, si deve registrare una notevole evoluzione delle forme di concertazione, a partire dal Piano sanitario nazionale, i cui contenuti sono profondamente ridefiniti dopo l’approvazione del titolo V. Il Piano non si caratterizza più come atto di programmazione dello Stato nei confronti delle Regioni ma come documento di indirizzo e di linea culturale, nel quale si sottolineano gli interventi di più stretta competenza statale, senza entrare nel dettaglio nelle scelte sulle modalità di organizzazione dei servizi (di più stretta competenza regionale e che potranno essere oggetto di eventuali documenti autonomi, definiti d’intesa tra Stato e Regioni).

Come già sottolineato, molti interventi per il contenimento della spesa sanitaria presuppongono il raggiungimento di specifiche intese in sede di Conferenza Stato regioni. Rilievo ha assunto l’attività di sottoposizione preventiva alla Conferenza Stato Regioni dei provvedimenti di legge di iniziativa governativa di interesse regionale, al fine di individuare il massimo del consenso possibile e recepire le indicazioni regionali[12].

Numerosi, inoltre, gli accordi definiti in sede di Conferenza Stato-Regioni per uniformare l’azione tra le diverse realtà territoriali (fattispecie che si va sempre più ampliando, anche per sostituire gli atti di indirizzo e coordinamento previsti dalle leggi statali)[13].



[1]     Cfr in particolare le sentenza n. 370 del 2003, nn. 50, 219 e 231 del 2005 e n. 133 del 2006.

[2]     Convertito con modificazioni dalla legge n. 405/2001.

[3]     Cfr la seduta della Conferenza Stato regioni

[4]     Cfr. il decreto legge n. 138 del 2002, convertito nella legge 8 agosto 2002, n. 178.

[5]     Cfr i ricorsi numero 28, 29, 30, 31, 33, 35, 36, 37, 38, 39, 40 e 41 del 2006.

[6]     Legge della Regione Marche n. 26/2002.

[7]     Vedi la legge della Regione Piemonte n. 14 del 2002 e la legge della Regione Toscana n. 39 del 2002.

[8]     Vedi artt. 3 e 6 della legge del Piemonte; art. 3, comma 1, e art. 4 della legge della Toscana.

[9]     Legge regionale del Piemonte n. 25/2002.

[10]    Cfr. sentenze n. 201 del 2003 e n. 282 del 2002.

[11]    Conferenza unificata, Accordo del 20 giugno 2002. Intesa inter-istituzionale tra Stato, regioni ed enti locali, ai sensi dell'art. 9, comma 2, lettera c), del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281. Tra l’altro, lo Stato e le Regioni si impegnano, al fine di scongiurare il contenzioso davanti alla Corte costituzionale, a verificare, nella fase di predisposizione dei rispettivi atti normativi, che questi rispettino gli ambiti costituzionali di competenza.

[12]    Cfr. ad es le osservazioni e proposte di emendamento predisposte in occasione della predisposizione dei decreti legge che sono intervenuti in materia sanitaria, tra i quali il decreto legge n. 63/2002  ed il decreto legge n. 138/2002.

[13]    Si ricordano, tra gli altri le linee guida per l’organizzazione di un sistema integrato di assistenza ai pazienti traumatizzati con mielolesioni e/o cerebrolesi; sugli indirizzi per la riduzione delle liste di attesa; sui criteri di individuazione dei centri interregionali di riferimento per le malattie rare; sulla gestione degli adempimenti in materia di indennizzi per danni da trasfusioni e da vaccinazioni; per l’organizzazione delle attività di day surgery; sulle cellule staminali emopoietiche; sulla sicurezza del donatore di organi; sulle unità spinali unipolari.