Menu di navigazione principale
Vai al menu di sezioneInizio contenuto
Informativa urgente del Governo sulla situazione in Myanmar.
PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca lo svolgimento di un'informativa urgente del Governo sulla situazione in Myanmar.
Avverto che, dopo l'intervento del rappresentante del Governo, interverranno i rappresentanti dei gruppi in ordine decrescente, secondo la rispettiva consistenza numerica, per cinque minuti ciascuno.
Un tempo aggiuntivo è attribuito al gruppo Misto.
(Intervento del Viceministro degli affari esteri)
PRESIDENTE. Ha facoltà di parlare il Viceministro degli affari esteri, Ugo Intini.
UGO INTINI, Viceministro degli affari esteri. Signor Presidente, onorevoli deputati, i drammatici sviluppi della situazione in Myanmar destano, nel Governo come in tutti voi, la più viva preoccupazione. Lo scenario è in continua evoluzione e ha catalizzato, nelle ultime ore, l'attenzione dell'intera comunità internazionale. Cercherò, dunque, di fornire un quadro quanto più completo e aggiornato.
Innanzitutto, vorrei ripercorrere brevemente i passaggi dei quaranta giorni di proteste popolari contro la giunta militare di Myanmar, che hanno portato agli eventi drammatici delle ultime ore.
Il 15 agosto: raddoppiato, senza preavviso, il prezzo del diesel e quintuplicato quello del gas naturale. Paralizzato il trasporto pubblico nell'ex capitale Yangon.
Il 23 agosto: arrestati tredici dissidenti, rischiano fino a vent'anni di carcere.
Il 28 agosto: dopo due settimane di proteste organizzate da attivisti e gruppi di opposizione al regime, per la prima volta si uniscono alle manifestazioni anche i monaci buddhisti, che si mettono alla testa di un corteo nella città nordoccidentale di Sittwe.
Il 5 settembre: militari sparano colpi di avvertimento per fermare cinquecento monaci che manifestavano a Pakokku, 600 chilometri a nordovest di Yangon.Pag. 60
Il 6 settembre: diverse centinaia di monaci tengono in ostaggio quattro funzionari governativi e bruciano la loro auto.
L'11 settembre: i monaci minacciano di continuare la protesta fino a quando la giunta non chiederà scusa per l'intervento di Pakokku.
Il 16 settembre: arrestati a Sittwe due monaci.
Il 23 settembre: i monaci in corteo sostano davanti alla casa del premio Nobel per la pace, Aung San Suu Kyi, icona del movimento democratico, che da anni agli arresti domiciliari si mostra in pubblico e prega con i buddhisti.
Il 20 settembre: dopo tre giorni di barricate, a circa cinquecento monaci è permesso di entrare a pregare nella pagoda di Shwedagon, a Yangon, il luogo dove sono custodite le reliquie più sacre del Myanmar.
Il 23 settembre: anche monache buddhiste aderiscono, per la prima volta, alla protesta dei confratelli nella pagoda di Shwedagon.
Il 24 settembre: in centomila manifestano nell'ex capitale. È la più grande dimostrazione dal 1988, quando la giunta militare prese il potere, stroncando nel sangue una rivolta studentesca.
Mentre sino a qualche giorno fa le autorità birmane avevano preferito mantenere un controllo a distanza delle proteste - limitandosi a filmare i cortei e a compiere arresti sporadici di dimostranti - negli ultimi tre-quattro giorni (e oggi) l'ampliarsi della protesta popolare, dopo l'introduzione del coprifuoco, ha portato a una degenerazione violenta delle repressioni, benché il movimento popolare stesso fosse dichiaratamente ispirato a una sostanziale adesione - anche per volere degli stessi monaci - ai principi della non violenza.
L'Italia ha adottato, fin dal mese di settembre, un atteggiamento coerente di rigore di fronte a questi eventi.
In sede bilaterale, già all'inizio di settembre, siamo stati tra i primi Paesi dell'Unione europea a effettuare un passo formale con l'ambasciata di Myanmar a Roma. Un passo in cui, anche sulla base di quanto comunicato da parte dei capi missione dell'Unione europea residenti a Yangon, abbiamo sottolineato il rammarico e la preoccupazione per il sostanziale fallimento della Convenzione nazionale in Myanmar, nata con l'obiettivo di dare avvio a un reale processo di riconciliazione nazionale e di apertura democratica nel Paese.
Nello stesso tempo, avevamo espresso la nostra condanna per le repressioni allora attuate dalla giunta militare al potere, deplorato gli arresti di cittadini birmani avvenuti nel corso delle dimostrazioni pacifiche e protestato per la perdurante detenzione del premio Nobel per la pace Aung San Suu Kyi, così come di altri dirigenti dell'opposizione e prigionieri politici.
Il 25 settembre il sottosegretario per gli affari esteri competente, Gianni Vernetti, ha convocato alla Farnesina l'incaricato di affari dell'ambasciata di Myanmar a Roma, titolare della stessa rappresentanza diplomatica in assenza dell'ambasciatore, al quale a nome del Governo ha chiesto dei trasmettere alla giunta militare al potere in Birmania la richiesta del Governo italiano di aprire un dialogo immediato con i monaci, con i membri della National League for Democracy e con tutta l'opposizione birmana e di non far corso ad alcuna forma di violenza nei confronti delle dimostrazioni pacifiche e non violente di questi giorni.
Il sottosegretario ha, inoltre, deplorato gli episodi di repressione che hanno portato all'arresto di decine di manifestanti e alle condanne arbitrarie di numerosi sindacalisti e oppositori del regime ripetendo la richiesta di libertà immediata del premio Nobel per la pace San Suu Kyi da anni segregata agli arresti domiciliari insieme a quella del rilascio dei prigionieri politici detenuti in modo arbitrario. All'incaricato d'affari birmano è stato anche fatto presente la grande attenzione con cui il Parlamento italiano segue le vicende del suo Paese. Un'attenzione confermata, fra le altre cose, dalle interrogazioni a risposta immediata presentate proprio in questi giorni dagli onorevoli Mattarella, Ranieri ePag. 61Mellano in Commissione affari esteri e dagli altri atti di sindacato ispettivo che sono stati rivolti al Governo.
Alla luce degli ultimi sviluppi abbiamo poi deciso di sospendere la partecipazione di due diplomatici birmani ad un corso di formazione in materia di institution building destinato a Paesi della regione che si terrà il mese di ottobre in Italia.
Il Presidente del Consiglio Prodi ed il Ministro degli esteri D'Alema, a New York per l'Assemblea generale dell'ONU, hanno espresso ripetutamente nei giorni scorsi la solidarietà del nostro Paese alle manifestazioni per la democrazia in corso a Myanmar e chiesto alla giunta militare di rispettare il diritto del suo popolo di esprimersi e di protestare.
Infine, nella giornata di ieri hanno esplicitamente ripetuto che il nostro Paese si impegnerà in tutti i fori multilaterali e all'interno dell'Unione europea affinché le violazioni dei diritti umani in atto in Myanmar cessino immediatamente.
In questo spirito il nostro Paese si sta muovendo per promuovere negli ambiti opportuni, dalle Nazioni Unite all'Unione europea, tutte le iniziative necessarie per sostenere il desiderio di libertà del popolo birmano e per indurre il regime di Yangon ad avviare finalmente un dialogo con l'opposizione democratica.
L'Italia ha sostenuto la dichiarazione della Presidenza dell'Unione europea che ha riaffermato nei giorni scorsi, a nome dell'Unione, l'intenzione di continuare ad esercitare ogni possibile pressione sul regime di Myanmar in stretto coordinamento tra i Paesi europei.
Tra le prossime tappe in sede di Unione europea vi è un piano di azione che dovrà contenere l'inasprimento delle sanzioni nei confronti della Birmania, un elenco di iniziative politiche da mettere in atto a livello dell'Unione europea, misure volte a spingere la giunta militare di Yangon ad attenersi alle esortazioni provenienti dall'Unione nonché un appello a Cina, India ed ASEAN (l'Unione degli stati asiatici), affinché cessino di sostenere Yangon ed esercitino sulla giunta birmana un'influenza moderatrice.
Sono di queste ore i nuovi sviluppi in sede ONU. L'Unione europea e gli Stati Uniti hanno concordato nella giornata di ieri una dichiarazione congiunta in cui si chiede una immediata iniziativa all'ONU e al Consiglio di sicurezza con il superamento delle resistenze che nel febbraio scorso avevano impedito l'adozione di un progetto di risoluzione su Myanmar.
Il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite è stato, quindi, convocato in una riunione straordinaria ieri notte (26 settembre) a New York per permettere all'inviato speciale del Segretario generale per Myanmar, Gambari, di riferire al Consiglio sugli ultimi sviluppi prima della sua prevista partenza alla volta di Yangon su richiesta di Ban Ki Moon.
Al termine della riunione, la Presidenza di turno francese, a nome del Consiglio di sicurezza, ha reso una dichiarazione in cui ha espresso grande preoccupazione per gli ultimi sviluppi, invocando una ripresa del dialogo politico, ha chiesto alle autorità birmane di dare prova di moderazione (show restraint) ed espresso pieno sostegno ai buoni uffici del Segretario generale e di Gambari.
La situazione è in continua evoluzione, anche in queste ore. È di oggi la riunione del Comitato dei rappresentanti permanenti dell'Unione europea, il cosiddetto COREPER, che su istruzione delle capitali, ha immediatamente affrontato il tema del rafforzamento delle sanzioni.
Lo stesso Parlamento europeo ha condannato quasi all'unanimità (563 voti a favore, 3 contrari e 4 astenuti) in queste ore la risposta brutale - così è stata definita - delle autorità birmane, esprimendo orrore per le uccisioni dei manifestanti pacifici, e sollecitando Cina e Russia a sostenere al Consiglio di sicurezza dell'ONU la condanna dell'uso della forza da parte della giunta a Myanmar.
L'intenzione del Governo è di seguire con la massima attenzione questi sviluppi, incoraggiando una presa di coscienza e un maggiore attivismo della comunità internazionale su una vicenda che potrebbe prendere i contorni di un vero e proprio dramma umanitario.Pag. 62
Nel far ciò il Governo non mancherà naturalmente di tenere costantemente aggiornato il Parlamento sugli sviluppi sul terreno e sui negoziati in corso nelle istanze internazionali.
(Interventi)
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Giachetti. Ne ha facoltà.
ROBERTO GIACHETTI. Signor Presidente, ringrazio sentitamente il Viceministro Intini per la sensibilità dimostrata. In questo momento non si tratta di un fatto marginale, avendo chiesto insieme ai colleghi di Forza Italia (anzi, di quasi tutta l'Assemblea, così come è avvenuto al Senato) un intervento immediato del Governo per informarci più direttamente sulla situazione (anche se le notizie che leggiamo sulle agenzie di stampa sono di per sé inquietanti). Credo che l'evoluzione e la ricostruzione che lei ha rappresentato ci aiuti anche a capire meglio quale sia lo stato dell'arte.
La ringrazio, signor Viceministro, anche perché sappiamo che in questa sede spesso e volentieri, soprattutto quando le convocazioni sono così immediate, non si danno concrete manifestazioni di qualcosa che si sta muovendo.
Credo che l'iniziativa italiana, la «coincidenza fortunata» della riunione delle Nazioni Unite (rispetto anche alle azioni intraprese in quella sede) ed anche quanto sta accadendo in seno all'Unione europea rappresentino indubbiamente fatti che vanno positivamente sottolineati. Sappiamo perfettamente, infatti, che spetta innanzitutto a noi dare ai nostri interlocutori l'esatta misura della nostra decisione di non tollerare una violazione dei diritti umani.
Mi permetto di dire, signor Viceministro, che certamente il problema immediato è che cessino le violenze e non si verifichi un'escalation di morte: ciò è quanto temiamo, se si proseguisse con l'atteggiamento in corso.
Dobbiamo anche far sì che in un Paese come l'ex Birmania sia possibile ottenere - magari utilizzando gli stessi mezzi della persuasione e della convinzione e ponendoli all'interno di questo contesto - la liberazione di centinaia e migliaia di persone detenute e represse nelle carceri semplicemente perché si oppongono al regime.
Si tratta di un fatto grave e rispetto ad esso dobbiamo fare di più; credo che ciò sia anche quanto dobbiamo chiedere al Governo italiano.
Sappiamo che le azioni di dissuasione, che comprendono anche le possibili sanzioni minacciate, sono un fatto importante nell'immediato. Tuttavia, la pregherei di considerare nelle prossime ore - tanto più se dovesse crescere la tensione - l'eventualità di fare qualcosa di più.
Sappiamo che probabilmente vi è qualche responsabilità anche da parte nostra, anche se indiretta; mi riferisco all'embargo da parte dell'Italia (e non solo) in merito alle forniture di armamenti in Birmania - magari attraverso Paesi amici come la Cina, l'India o la Russia - o riguardo anche solo alle loro componenti, che però servono a perpetrare la repressione nei confronti delle popolazioni che si ribellano al regime.
So perfettamente che è difficile, ma credo che lo sforzo che dovremmo compiere è anche quello di arginare in questo momento una possibile e indiretta compartecipazione da parte del nostro Paese in situazioni che contribuiscono a rafforzare un regime che si sta comportando così palesemente in violazione dei diritti umani.
Vi è una mobilitazione generale che si sta estendendo e sappiamo che ciò sta avvenendo anche in Italia. In queste ore si sta svolgendo una manifestazione di solidarietà sulla piazza del Campidoglio a Roma.
Vengono utilizzati anche gli strumenti più moderni: si sta, ad esempio, organizzando, via sms e attraverso Internet, di mettere domani tutti qualcosa di rosso per esprimere la nostra solidarietà nei confrontiPag. 63delle popolazioni che in questo momento si ribellano al regime autoritario birmano. Penso che sia importante...
FABIO RAMPELLI. Dillo: comunista!
UMBERTO RANIERI. Arancione!
ROBERTO GIACHETTI. Se c'è qualcuno che non ha questo problema, quello sono io! Penso che sia importante, signor Viceministro, cercare di mettere in campo tutte le azioni possibili. Il Governo ha ben iniziato. Credo che in sede europea sia possibile fare di più e passare dalla minaccia di sanzioni a qualcosa di più concreto. Allo stesso modo si può tentare, se è possibile, in via bilaterale un intervento anche più concreto......
PRESIDENTE. La prego di concludere, onorevole Giachetti.
ROBERTO GIACHETTI....... con l'individuazione anche di canali che sfuggono alla formale iniziativa del nostro Paese.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare la deputata Paoletti Tangheroni. Ne ha facoltà.
PATRIZIA PAOLETTI TANGHERONI. Signor Presidente, anch'io volevo unirmi ai ringraziamenti fatti dal collega Giachetti per la sensibilità che il Viceministro ha dimostrato rispondendo immediatamente alla richiesta rivolta lunedì scorso dai colleghi Baldelli, Della Vedova, Giachetti e Falomi.
Gli eventi effettivamente si stanno susseguendo in modo vorticoso. Lei ci ha sicuramente dimostrato come l'Italia sia sensibile alla storia di questo piccolo Paese che da sempre cerca di declinare la democrazia sulle note della mitezza e della rassegnazione della religione buddista. C'è un filo rosso che unisce questa lotta, che ritroviamo anche nei nomi di Aung San, l'eroe della liberazione della Birmania e di sua figlia, oggi costretta agli arresti domiciliari ma temiamo rinchiusa in un carcere di massima sicurezza.
È un Paese che ha sempre anelato alla libertà che è stata sempre terribilmente repressa, grazie anche alla connivenza di alcune potenze vicine. Il piccolo Paese della Birmania è stretto - signor Ministro, lei ha tralasciato questo aspetto ma sicuramente non le sfugge - nella morsa del cosiddetto impero di Cindia, Cina e India, Paesi che finora hanno avuto interesse a sostenere entrambi questa giunta militare.
Le immagini di quanto è successo - lei ci ha raccontato i fatti - le dobbiamo ad Internet, ai giovani bloggers, che non si sono fatti imbavagliare dal regime, che pare abbia ucciso un giornalista giapponese e che sta cercando in tutti gli alberghi di vedere se ci sono giornalisti sotto mentite spoglie per mettere il bavaglio alla stampa. Purtroppo, un giovane blogger americano, un tale David, sostiene che i militari stanno cercando di bloccare anche Internet, ma ormai le immagini anche del reporter giapponese sono in rete. Non potrà più esserci come avvenne nel 1988 - se mai questa violenta repressione continuerà, ma speriamo di no - indifferenza da parte della comunità internazionale: le immagini delle violenze perpetrate è in rete e tutti le possono vedere.
La comunità internazionale ha mostrato il suo sdegno che, però, è poca cosa, nel senso che bisogna andare oltre. Quando all'ONU si è parlato di sanzioni, l'ambasciatore della Cina ha fatto sapere che esse sono inutili. Forse saranno inutili, però il premio Nobel, Aung San Suu Kyi ha detto: «Le sanzioni sono utili perché colpiscono il Governo e non la popolazione». Quindi, Suu Kyi auspica che vengano comminate sanzioni.
La Cina, lo ripeto, ha fatto sapere che le riterrebbe inutili. Il motivo è che, in questo momento, la Repubblica cinese ha interessi fortissimi in quel Paese, in primo luogo commerciali: le relazioni commerciali tra i due i Paesi superano il miliardo di dollari all'anno. In secondo luogo, vi è un interesse di tipo strategico: la possibilità dell'accesso all'Oceano indiano, che consente alla Cina, in caso di urgenza, di aggirare lo stretto di Malacca e, grazie al controllo esercitato sulla giunta militarePag. 64birmana, di potere vedere da un punto di vista privilegiato quanto avviene nelle isole circostanti. Vi è poi anche un'altra questione da non trascurare, di cui noi tutti in questo Parlamento ci siamo fatti carico in maniera trasversale.
PRESIDENTE. La invito a concludere.
PATRIZIA PAOLETTI TANGHERONI. Si tratta della questione del Tibet: se in Birmania i avranno la meglio si potrebbe verificare una sorta di «effetto domino» che probabilmente coinvolgerebbe anche il Tibet.
Tralascio le considerazioni sull'India, perché non voglio prendere troppo tempo. Desidero solo ripetere con forza - per concludere - una frase del premio Nobel Suu Kyi: «Usate la vostra libertà per darci sostegno» (Applausi dei deputati dei gruppi Forza Italia, L'Ulivo e Rifondazione Comunista-Sinistra Europea).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Moffa. Ne ha facoltà.
SILVANO MOFFA. Signor Presidente, anch'io ringrazio il rappresentante del Governo per aver aderito al nostro invito che consente al Parlamento di avere un aggiornamento sulla drammatica situazione che sta sconvolgendo quella regione del mondo.
Oggi la giornata è diventata ancora più tetra, non solo per le notizie che arrivano incessanti e che danno la misura dell'entità della repressione che si sta ponendo in essere da parte del regime comunista della ex Birmania, ma anche per le difficoltà che incontra il Consiglio di sicurezza dell'ONU nel non potere assumere decisioni univoche al fine di arrestare quella che si annuncia come una violenta azione di repressione operata nei confronti di una protesta silenziosa, pacifica, motivata dal punto di vista politico e da quello religioso.
È indubitabile che quanto poco fa veniva affermato dalla collega - che ritroviamo in alcune analisi che oggi i quotidiani hanno portato all'attenzione dell'opinione pubblica italiana - risponda al vero. Noi ci domandiamo che cosa oggi il mondo occidentale, l'Europa, gli Stati Uniti possano davvero fare, in termini concreti, per arrestare questa escalation di violenza e per fare in modo che questo regime non continui nel perpetrare povertà e disperazione in quella parte del mondo.
È indubitabile che vi sia una convergenza di interessi - che sono stati in questa sede richiamati - che attraversano la Cina e l'India, che di natura commerciale (petrolio e gas), ma tutto quanto sta avvenendo lascia anche presagire ripercussioni sotto il profilo religioso. È evidente, infatti, che una marcia pacifica - così impetuosa e che trova solidarietà nel popolo - rappresenti davvero il grimaldello che può far cadere un regime così empio e così dittatoriale, ma è altrettanto vero che non bastano le sanzioni annunciate.
Ritengo sia necessario avere il coraggio - e forse di ciò l'Italia, in qualche misura, si può fare portavoce a livello europeo - di assumere decisamente posizione anche nei confronti di quei regimi che si apprestano, ormai, da qualche tempo, ad entrare nel consesso dei Paesi liberi, ma che continuano a tenere comportamenti assolutamente inaccettabili, in termini di mancata tutela dei diritti umani.
Penso, in particolare, alla Cina. A tale riguardo, desidero fare presente che in quel Paese l'anno prossimo si svolgeranno le olimpiadi. Perché allora non si ha il coraggio di dire che vanno rimesse in discussione anche queste scelte importanti, se si vuole davvero dare un segnale che vada nel senso della coerenza? Non c'è democrazia, dove non c'è libertà e tutela dei diritti umani!
Bisogna spezzare questa congiuntura che, sostanzialmente, sta devastando quel popolo proprio perché non lo mette in condizione di essere libero. I condizionamenti che vengono da parte del regime militare, per gli interessi incrociati che vi sono in quell'area, non consentiranno di raggiungere quell'obiettivo che, coralmente, oggi, anche nelle manifestazioniPag. 65che si stanno svolgendo in Italia, deve essere posto all'attenzione dell'opinione pubblica internazionale.
Pertanto, signor rappresentante del Governo, ritengo che non possiamo far terminare, oggi, in questa sede, la discussione su questa particolare situazione della ex Birmania. Oggi non basta, infatti, semplicemente alzare il grido della solidarietà e in qualche modo emozionarsi rispetto a quanto sta accadendo se, per esempio - e la invito ad intervenire in tal senso - non si ha il coraggio di chiamare le cose per nome e per come esse, effettivamente, si definiscono.
Infatti, incredibilmente - e ringrazio il collega Rampelli che, qualche ora fa, ha voluto denunciare questo aspetto - abbiamo assistito anche ad una RAI, la quale, in qualche misura, ha dato testimonianza di quello che sta succedendo con le immagini, ma non ha avuto il coraggio di dire che tutto ciò sta accadendo perché vi è un regime comunista che ha affamato un popolo...
SALVATORE CANNAVÒ. Ma che dici? Regime comunista? Ma dove, in Birmania? Ma che dici?
FABIO RAMPELLI. Sì, c'è scritto pure su la Repubblica!
SILVANO MOFFA. ...un regime che sta colpendo anche il sentimento religioso di quei monaci che stanno sfilando silenziosamente, per richiamare il mondo alle sue responsabilità e noi tutti ad intervenire con coraggio e decisione [Applausi dei deputati dei gruppi Alleanza Nazionale, Forza Italia e UDC (Unione dei Democratici Cristiani e dei Democratici di Centro)]!
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare la deputata Siniscalchi. Ne ha facoltà.
SABINA SINISCALCHI. Signor Presidente, Viceministro Intini, la Birmania è un Paese bellissimo e ricco, dove la popolazione soffre tremendamente. È un Paese ricco di risorse naturali e paesaggistiche, che lo rendono un'ambita meta turistica. È un Paese ricco di legname pregiato, gas naturali e pietre preziose, ma dove il 90 per cento della popolazione vive sotto la soglia della povertà e dove il reddito pro capite è pari a 225 dollari l'anno; per tale motivo, la Birmania è considerato uno dei Paesi meno avanzati del mondo.
La popolazione vive male a causa della prepotenza e dell'ottusità di un regime che spende il 40 per cento del prodotto interno lordo in armamenti e che investe in sanità solo lo 0,3 per cento; un regime che ha appena concluso - voglio ricordarlo - un processo illegittimo e non trasparente di revisione della Costituzione che ne rafforzerà il potere, escluderà i partiti democratici e consentirà la perpetuazione del regime militare; un regime che è sostenuto, foraggiato e tenuto in piedi da altre potenze asiatiche: l'India, la Cina e la Russia.
Da quasi vent'anni ormai, nel Paese si sta producendo una fortissima protesta e opposizione; oggi assistiamo alla straordinaria mobilitazione guidata dai monaci buddisti, ma voglio ricordare che, da tanti anni, in Birmania sono anche attivi movimenti di protesta cattolici, sindacali, politici e degli studenti. L'opposizione al Governo costa a tali oppositori persecuzione, carcere, tortura e morte. Recentemente, un sindacalista è stato condannato a ventotto anni di carcere a causa della sua attività sindacale. Abbiamo queste notizie grazie all'ufficio internazionale della CISL, voglio ricordarlo: ci arrivano notizie terribili circa le persecuzioni che subiscono i lavoratori costretti al lavoro forzato nella costruzione di opere pubbliche; lo stupro viene usato contro le lavoratrici donne per soggiogarle ed impedirne la protesta. I rapporti delle organizzazioni internazionali del lavoro e delle organizzazioni internazionali dei diritti umani - Amnesty International e Social Wacht - sono raccapriccianti.
Il mondo democratico ha fatto pochissimo per aiutare il popolo birmano. I membri del Consiglio di sicurezza dell'ONU che non vogliono approvare una risoluzione di condanna del regime militare,Pag. 66la Russia e la Cina, hanno dichiarato che la repressione della manifestazione è un affare interno al Paese. Tuttavia, sappiamo che nella globalizzazione non ci sono più affari interni ad un Paese nella misura in cui ogni Paese è strettamente legato agli altri da interessi economici e commerciali, dai canali di comunicazione, dal turismo e da Internet. Forse questo è l'unico vero vantaggio della globalizzazione.
Oggi non si può dire che non ne siamo a conoscenza. Inoltre, gli strumenti per indurre un Governo a rispettare i diritti umani sono molti ed efficaci e sono rappresentati dagli aiuti, dalla cooperazione, dai trattati commerciali, dagli accordi sugli investimenti e anche dalle sanzioni.
Troppo poco è stato fatto per aiutare la Birmania a liberarsi dalla dittatura militare. Sembra che i Paesi democratici sappiano solo ricorrere alla guerra, all'invasione come è successo in Iraq, per far vivere la democrazia e aiutare i popoli ad essere davvero liberi dalla paura e dal bisogno. Non dovrebbe essere così. La storia ha dimostrato e sta dimostrando che non si esporta la democrazia con le bombe, ma che altri strumenti, le sanzioni ad esempio, sono efficaci. Voglio ricordare l'esempio del Sudafrica, dove una mostruosità come l'apartheid è stata sconfitta anche grazie alle sanzioni.
Se il Consiglio di sicurezza non arriverà e impedirà una presa di posizione comune all'interno delle Nazioni Unite, credo che il nostro Paese debba fare qualcosa - questo è il mio appello al Governo - sospendendo, ad esempio, l'accordo bilaterale sulla fornitura di armi con l'India, perché, come ricordava l'onorevole Giachetti, pezzi di armamenti italiani stanno per essere usati dal regime birmano per reprimere il suo popolo.
PRESIDENTE. La invito a concludere.
SABINA SINISCALCHI. Concludo, signor Presidente. Inoltre, è necessario far prendere coscienza, perché migliaia di turisti italiani ogni anno si recano in Birmania e non possono attraversare questo Paese bellissimo senza rendersi conto della tragedia che vi si sta producendo. Dobbiamo aiutare a far capire. Come giustamente ha affermato il Viceministro, occorre una presa di coscienza. In Birmania la società civile è viva, il popolo sta lottando, ha solo bisogno del nostro aiuto: non neghiamoglielo (Applausi dei deputati dei gruppi Rifondazione Comunista-Sinistra Europea e Sinistra Democratica. Per il Socialismo europeo)!
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Volontè. Ne ha facoltà.
LUCA VOLONTÈ. Signor Presidente, onorevole Viceministro, onorevoli colleghi, desidero ringraziare il Viceministro Intini per la celerità con la quale il Governo ha accolto l'invito di venire in Parlamento a riferire in merito all'aggravarsi della situazione nella ex Birmania. La protesta ha radici, lo ricordo, nel rifiuto della giunta militare di accettare l'esito delle elezioni svoltesi il 27 maggio 1990. Non parliamo, quindi, di una vicenda i cui esiti sono esclusivamente legati alle drammatiche, tragiche e sanguinose immagini che abbiamo visto in queste ore e temiamo - come teme l'arcivescovo cattolico di Yangon, Charles Bo - che si prosegua in questo bagno di sangue.
Cattolici, buddisti, protestanti evangelici da almeno diciassette anni soffrono del potere assoluto esercitato della giunta militare. Come sa bene il Viceministro Intini, prima di quegli anni, la ex Birmania era un Paese che si annoverava tra quelli in cui la crescita economica e la produzione agricola facevano registrare andamenti positivi, non solo in termini di fabbisogno della popolazione, ma anche nei confronti degli altri Paesi di quell'area.
Una giunta militare - che non so se si basi su un'ideologia comunista o fascista, certamente sull'idea di un materialismo di Stato - ha portato il 90 per cento della popolazione alla povertà assoluta. È un dato di fatto straordinariamente paradossale, ma anche drammatico, come è drammatica la dimenticanza che per 17 anni vi è stata da parte dell'ONU, dell'Europa ePag. 67anche del nostro Paese, nei confronti di questa situazione.
Come giustamente è stato detto poc'anzi, molti turisti occidentali si recano in Myanmar. Allora, perché non iniziamo a prendere una posizione su questo aspetto, chiedendo ai turisti italiani di non recarsi in quel Paese?
Occorre evitare di comportarci come la Francia, che pur avendo proposto sanzioni anche importanti e boicottaggi economici, ha però giustificato la presenza e la permanenza della Total sul territorio della giunta birmana, il che francamente appare, come minimo, un'azione altrettanto paradossale.
Viceministro Intini, la invito ad agire con maggiore determinazione - mi rivolgo anche al Ministro degli affari esteri, seppure impegnato su molti fronti - nei confronti della Cina, come ha fatto la comunità internazionale; la stessa Cina che, dopo pressioni forti e determinate dell'Europa e dell'ONU, ha ceduto ed ha, a sua volta, fatto pressioni sul regime di Karthoum; la situazione in Darfur sembra sbloccarsi (sono cauto perché ci vuole prudenza, visti i 250 mila morti negli ultimi anni). Grazie, dunque, alle pressioni internazionali sulla Cina, la situazione del Darfur si è sbloccata e grazie alle pressioni sulla Cina si può pensare di modificare la situazione in Birmania, o meglio in Myanmar, come si dice oggi.
Mi limito a un'ultima considerazione, dopo averle rivolto questo nostro forte invito perché l'Italia si faccia promotrice, attivamente e pubblicamente, di un'azione nei confronti di tutti quei regimi, a partire da questo, che sono liberticidi - è il termine che è stato utilizzato - e certo non rispettano i diritti umani, a partire dalle libertà religiose. Tale ultima considerazione parte dalle immagini che vediamo oggi nelle televisioni: i morti, ma anche - lo abbiamo visto nelle scorse settimane - i monaci buddisti, cioè sacerdoti e religiosi, che camminano in silenzio difendendo i diritti umani e la possibilità di una democrazia. Ciò dovrebbe farci riflettere anche su molte polemiche interne, che a volte, di fronte a tali immagini, si riducono veramente ad una ridicolaggine da cortile, come spesso purtroppo accade in Italia. Invece nel resto del mondo tali immagini, efficaci più di molti discorsi, vengono considerate come una risorsa: la religione è una risorsa per la sfera pubblica delle libertà; agiamo in Birmania, perché tale risorsa e la risorsa della libertà possano essere difese anche attraverso questo strumento.
Viceministro Intini, lo faccia presente al Governo nel suo complesso....
PRESIDENTE. Deputato Volontè, concluda.
LUCA VOLONTÈ....e al Ministro degli affari esteri: applaudire un premio Nobel e non fare nulla per 17 anni è troppo per chiunque, troppo per l'Europa e penso che sia troppo anche per quello che possiamo fare noi, troppo anche per il destino di questo Paese [Applausi dei deputati del gruppo UDC (Unione dei Democratici Cristiani e dei Democratici di Centro)].
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Stucchi. Ne ha facoltà.
GIACOMO STUCCHI. Signor Presidente, ringrazio il Viceministro Intini per essersi presentato tempestivamente a rendere l'informativa all'ordine del giorno. Si tratta di uno scenario in continua evoluzione - cito le sue parole - e 40 giorni di protesta popolare guidata dai monaci - una protesta pacifica - nelle ultime ore hanno purtroppo avuto uno sbocco molto traumatico e tragico, sicuramente non per colpa dei monaci o della gente che si è unita loro nella protesta silenziosa e pacifica, ma perché il Governo ha attuato una repressione che ricorda quella del 1988.
Il nostro Governo naturalmente condanna tali repressioni, protesta per la detenzione del premio Nobel Aung San Suu Kyi e manifesta la solidarietà del nostro Paese. Forse non è sufficiente: è giusto farlo e comprendo che esistono limiti ad un'azione internazionale, perchéPag. 68ogni paese è sovrano, ma bisogna far sentire in modo determinato la voce del nostro Paese in tutte le sedi.
Il problema birmano, in parte per la censura interna, è rimasto nell'ombra per vent'anni, anche se quella censura, grazie alle nuove tecnologie, è stata scalfita ed aggirata ed alcune informazioni sono filtrate e sono giunte in Occidente. Sotto tale profilo dobbiamo fare mea culpa perché, nonostante le informazioni fornite dall'opposizione democratica, il mondo occidentale è rimasto con le mani in mano.
Abbiamo fatto poco, non abbiamo voluto vedere quello che invece avevamo di fronte chiaramente. Abbiamo girato la testa dall'altra parte, non ci siamo ricordati nemmeno della protesta del 1988, la cui repressione è costata la vita a circa tremila persone. La brutalità di quell'azione oggi sembra - ci auguriamo il contrario - riproporsi con l'azione di quel Governo (o meglio, di quella dittatura), che impedisce alla gente di manifestare liberamente il proprio pensiero.
È stata citata la possibilità di invitare i nostri connazionali a non recarsi nell'ex Birmania, in Myanmar, per turismo, anche perché i tour operator che organizzano e gestiscono i viaggi dei cittadini occidentali in quel Paese sono costretti a concludere accordi con i rappresentanti della dittatura, e le uniche persone che si arricchiscono non sono i cittadini, che possono essere utilizzati per fornire servizi ai turisti, ma gli esponenti militari della giunta e i membri della nomenklatura, dunque coloro che gestiscono questo Paese con metodi assolutamente non democratici.
Occorre anche, da parte del Governo, invitare i tour operator italiani a riflettere bene sull'opportunità di mantenere all'interno dei propri cataloghi queste mete. Naturalmente, si tratta di questioni delicate: ci possono essere ripercussioni positive, o limitatamente positive, anche sul singolo cittadino o su alcuni singoli cittadini, perché hanno un lavoro o un'attività da svolgere, ma di fronte a quello che è il vero business, che è in mano ai grandi tour operator e, soprattutto, ai rappresentanti del regime del Myanmar, è giusto intervenire con le maniere forti, in modo drastico.
Un'ulteriore questione riguarda i rapporti con la Cina: si tratta del supporto che essa fornisce e del veto che pone nel Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ogni volta che si parla di Birmania. C'è un forte rapporto commerciale e c'è l'interesse della Cina ad acquistare, a prezzi inferiori, addirittura, rispetto a quelli ai quali acquista in Nigeria, le materie prime, l'energia e tutto ciò che le serve per produrre e per essere quel mostro economico che oggi è; di conseguenza, non rispetta e non tiene in considerazione il contesto internazionale e non tiene conto di queste proteste di piazza.
Concludo, signor Presidente, osservando che, forse, stiamo perdendo un'occasione: il nostro Presidente del Consiglio e il Ministro degli affari esteri sono a New York, all'ONU, dove non si è riusciti a definire un'azione comune sulla situazione birmana.
PRESIDENTE. Onorevole Stucchi, concluda.
GIACOMO STUCCHI. Credo che si possa sfruttare questo momento, perché è proprio questo il momento di agire, per poter richiamare l'attenzione e mettere ognuno di fronte alle proprie responsabilità, anche la Cina.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare l'onorevole Pettinari. Ne ha facoltà.
LUCIANO PETTINARI. Signor Presidente, anch'io ringrazio il Viceministro Intini - lo ringrazio in modo non formale, ma sostanziale - per la sua informativa, che indubbiamente è utile, così come è utile che l'iniziativa che il Governo sta assumendo sulla questione sia a conoscenza del nostro Parlamento. Ho apprezzato quanto riferito dal Viceministro Intini sul passo formale presso l'ambasciata e sulle dichiarazioni di condanna, così come la dichiarazione del Ministro D'Alema, che esprimeva la più viva preoccupazione perPag. 69la crescente tensione in Birmania. Pur tuttavia, mi sento di dire al Governo che probabilmente dobbiamo fare di più in questo contesto.
Una mozione recentemente approvata dal Senato, prima dell'esplodere dei movimenti e della repressione, esprime sostegno ai movimenti democratici e chiede la liberazione dei prigionieri politici e sindacali. Sarebbe stato utile che il Governo le avesse a suo tempo dato seguito, intraprendendo azioni concrete per raggiungere questi obiettivi. Dico ciò, perché è il momento - e so benissimo che il Governo ne è consapevole, lo si evince dall'informativa del Viceministro - in cui bisogna fare di tutto per cercare di fermare la repressione. Occorre arrivare ad una risoluzione dell'ONU, e bisogna operare per vincere le resistenze di quei Paesi che hanno le più strette relazioni con il Governo dittatoriale. Per raggiungere questo obiettivo probabilmente è utile un'iniziativa in questa direzione dell'Unione Europea, prendendo peraltro spunto dalla mozione che è stata approvata oggi dal Parlamento europeo e che è stata ricordata dal Viceministro. Si tratta di un documento molto significativo, approvato con 563 voti favorevoli e 4 contrari; in esso si chiede non soltanto l'arresto della repressione ma anche la fine dell'attuale situazione istituzionale, giudicata illegittima, e si propone la costituzione di una Convenzione nazionale pienamente rappresentativa, che comprenda in particolare la Lega nazionale per la democrazia, la quale vede al suo interno tutte le forze democratiche e sindacali e anche una rappresentanza dei monaci.
Ma perché questi obiettivi siano effettivamente raggiungibili è probabilmente necessario agire non per le vie diplomatiche tradizionali, ma per vie diplomatiche molto forti (non so se può essere utilizzato questo termine) verso i governi di quei Paesi - e penso alla Cina, alla Russia e all'India - che hanno impedito nelle scorse ore all'ONU di assumere un'iniziativa. Si tratta di Paesi con i quali il nostro Governo ha solidi rapporti: questo è il momento in cui tali rapporti possono essere rimessi in discussione. Occorre un'iniziativa forte: non mi pare che con quel regime possa bastare la via diplomatica e inoltrare all'ambasciata birmana la nostra riprovazione.
Il gruppo che mi onoro di rappresentare, Sinistra Democratica. Per il Socialismo europeo, chiede inoltre che ci sia un'azione del Governo verso quelle imprese che hanno rapporti commerciali con la Birmania e verso quelle multinazionali - alcune delle quali agiscono anche nel nostro Paese - che lavorano con la Birmania, in particolare nei settori forestale, petrolifero, del gas e minerario e nei progetti di dighe ed altre infrastrutture. Si tratta di attività che comportano ingenti profitti per il regime, ma che sono anche il teatro delle condizioni disumane nelle quali lavorano i cittadini birmani e della violazione dei diritti umani, sindacali e anche aziendali. Sospendere i rapporti con quel Paese: questo dobbiamo chiedere a tali imprese.
Occorrono sanzioni; chi vi parla è molto scettico sull'uso delle sanzioni nei confronti dei Paesi: spesso ne paga il prezzo il popolo, e non il Governo.
PRESIDENTE. La invito a concludere.
LUCIANO PETTINARI. In questo caso, siamo di fronte a una situazione diversa: le sanzioni vengono chieste dall'opposizione, e bisogna agire in questa direzione.
Un'ultima considerazione riguarda la questione, che non è la meno importante, relativa alla sorte del premio Nobel Suu Kyi, la figura più rappresentativa dell'opposizione. Non si sa dove si trovi in queste ore: è stata deportata, qualcuno afferma che si trova in un carcere di massima sicurezza. È possibile adoperarsi perché si formi, si minacci una delegazione dell'Unione Europea per andare a vedere dove si trova il premio Nobel per la pace? Credo che tali iniziative debbano essere intraprese in un momento così drammatico, se non altro per non essere corresponsabili di una repressione e di un dramma umano che può essere atroce (Applausi dei deputati dei gruppi SinistraPag. 70Democratica. Per il Socialismo europeo e Rifondazione Comunista-Sinistra Europea).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Pedica. Ne ha facoltà.
STEFANO PEDICA. Signor Presidente, ringrazio il Viceministro Intini per l'informativa che ci ha fornito. Le notizie che da due giorni giungono dalla città di Rangoon non possono esimere l'Italia dei valori e l'intero Paese dal lanciare un messaggio forte, sia nel consesso internazionale dell'ONU sia in quello di Bruxelles. Oggi più che mai l'Unione Europea deve far sentire la sua voce, poiché lo sviluppo delle democrazia e dei principi liberali non può passare solo attraverso i trattati internazionali e gli scambi commerciali, e men che meno attraverso quell'errore, già commesso in passato dall'amministrazione statunitense, di considerare tali principi come un qualsiasi prodotto esportabile. Davanti a questi otto morti (uno dei quali proprio oggi), fra cui tre monaci buddisti e due giornalisti stranieri, davanti alle decine di migliaia di manifestanti caricati dalle forze armate birmane, di fronte ai duecento arrestati, e soprattutto di fronte alla forza di un popolo che in questi giorni chiede pacificamente il ritorno ad uno Stato di diritto, non possiamo e non vogliamo voltare la testa: hanno manifestato percorrendo le strade del Paese, soffermandosi di fronte all'abitazione nella quale, da cinque anni, il premio Nobel del 1991, Aung-San-Suu Kyi, è agli arresti domiciliari per il solo fatto di essere divenuta, con il suo impegno a favore della libertà e dei diritti umani, il simbolo dell'opposizione democratica, quella che vinse le libere e regolari elezioni del 1990, quella medesima forza politica che avrebbe potuto aiutare il Paese ad uscire dalla sua condizione di povertà e di sudditanza internazionale.
Dico sudditanza perché dietro la giunta militare birmana vi è ben altro che non la nuda crudeltà e cupidigia di potere dei generali che, attraverso un colpo di Stato, trasformarono il Paese in un regime autoritario dopo le elezioni del 1990. Dietro ai generali, infatti, si nascondono gli interessi delle superpotenze vicine, vale a dire della Cina come dell'India, colossi finanziari e commerciali con i quali l'Europa mantiene tanto ottimi rapporti economici quanto pessimi rapporti sociali. Perché allora non adottare nei confronti di queste nazioni il medesimo trattamento che si adotta nei confronti dei Paesi che aspirano a divenire membri dell'Unione Europea? Perché non punire, attraverso i limiti dei flussi import-export, i nostri partner economici qualora il benessere che insieme contribuiamo a sviluppare non sia comune e condiviso a tutti i loro cittadini? Perché non porre la questione dei diritti umani anche nei negoziati commerciali?
I due colossi asiatici che hanno sostenuto e sostengono più o meno apertamente la giunta militare di Naypyidaw hanno risposto: l'India, con un diplomatico e gattopardiano no comment; la Cina, con il voto contrario nel Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. Speculare a quello di questi Paesi, poi, è il comportamento di Putin, che, insieme a Pechino, ha impedito l'inasprimento delle sanzioni, per evitare che un discorso simile a quello indirizzato oggi alla giunta birmana possa nel futuro essere rivolto contro la stessa Mosca, per la questione cecena o quella georgiana.
Perché allora non riavviare il processo di riforma del Consiglio di sicurezza dell'ONU? Perché affrontare le problematiche che il nuovo assetto internazionale ci pone con una squadra costituita su principi e logiche vecchi di sessant'anni? Certo, non possiamo non salutare favorevolmente la notizia - sia pur ancora troppo poco rilevante per la sua portata - sull'apertura di Pechino nei confronti della situazione della crisi birmana. Pare infatti che anche il Governo cinese abbia rivolto un messaggio di monito a quello del Myanmar, esortandolo a moderare le reazioni contro i manifestanti. Allo stesso modo, trova la nostra piena soddisfazione la notizia, giunta nella mattinata, di una presa di posizione netta, e speriamo definitiva, da parte di Bruxelles, tesa al rafforzamento delle sanzioni economiche nei confronti del Myanmar.Pag. 71
Ma non possiamo non sentire come ancora pesanti le parole che oggi campeggiano sulle pagine del Corriere della sera a firma di Bill Emmott, un esperto analista di affari internazionali, che ritiene che i commenti degli estranei non faranno una grande differenza sulla vita e sul futuro dei birmani. Forse Emmott ha ragione, ma proprio per questo oggi è necessario dimostrare quanto certe ipotesi possano risultare errate.
Chiediamo un impegno chiaro e distintivo delle Nazioni Unite; chiediamo un intervento forte e mirato che non prenda in considerazione lo scellerato uso della forza armata, ma che adotti adeguati strumenti sanzionatori (da quelli economici a quelli finanziari e commerciali), che non colpisca la popolazione già vessata da circa vent'anni di dittatura, come spesso accade, ma punti a destituire la giunta militare attraverso una diplomazia accorta, veloce ed efficiente.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare il deputato Mellano. Ne ha facoltà.
BRUNO MELLANO. Signor Presidente, Viceministro Intini, non voglio usare parole di circostanza o fare anch'io il balletto dei ringraziamenti. Voglio citare un articolo che parla di Iraq e non di ex Birmania.
Oggi El Pais, il giornale di Madrid, pubblica gli stenografici dei colloqui tra Aznar e Bush prima dell'intervento militare in Iraq, nei quali viene registrata la volontà di Saddam Hussein di fuggire, se debitamente pagato, evitando lo scontro militare, la tragedia, l'invasione. Dico ciò perché sono anche - oltre che deputato radicale de La Rosa nel Pugno - militante del Partito radicale nonviolento transnazionale transpartito che ha come simbolo l'immagine stilizzata di Gandhi. Sono, pertanto, convinto e consapevole che la nonviolenza ha una forza incredibile nel cambiare le cose, costruire scenari altri, diversi dalla Realpolitik esistente. Ma tali scenari devono essere vissuti, animati e rafforzati dalle istituzioni democratiche occidentali se vogliono essere all'altezza dei propri principi, delle proprie dichiarazioni e delle proprie Costituzioni.
Quasi mai, nei nostri ragionamenti e nelle nostre azioni sulle crisi grandi ed importanti (anche degli ultimi anni), siamo riusciti ad essere all'altezza dei nostri principi e delle nostre dichiarazioni. Il Darfur, il Tibet, la ex Birmania (ma quanti altri casi noti o sconosciuti all'opinione pubblica sono stati trascurati da noi, dalla politica, dalle istituzioni democratiche occidentali e dimenticati dalle istituzioni internazionali). In questo momento è in corso la famosa 62a sessione dell'Assemblea generale dell'ONU, ma è in corso anche, a Ginevra, il Consiglio dei diritti umani dell'ONU, appena rinnovato e riformato.
Abbiamo assistito, l'altra sera, alla farsa dell'approvazione di un documento che non dice nulla e non ha il coraggio di indicare una strada e denunciare una connivenza rispetto al regime birmano, così come appare una farsa quanto succede quotidianamente al nuovo Consiglio dei diritti umani di Ginevra, che non è in grado di denunciare neanche le situazioni in corso. Allora, che cosa fare? Credo che il Governo italiano - all'interno dell'Europa, ma anche come posizione autonoma - possa e debba fare di più, non perché non prenda atto, con riconoscenza, delle cose elencate dal Viceministro, ma perché in questi casi, proprio per rendere onore alla politica e all'opinione pubblica che, a differenza del 1988, grazie alla globalizzazione e alle reti internazionali, ora vede quelle immagini e conosce ciò che capita a Rangoon, dobbiamo rendere conto della nostra capacità anche di intenzione e di fantasia rispetto alla situazione internazionale.
Dobbiamo parlare alla Cina, all'India, alla Russia, e parlare con convinzione, essendo convinti che questa non può essere una vicenda interna che viene risolta dal regime militare birmano in connivenza con i suoi alleati. Sappiamo che parlare di sanzioni per la Cina può essere, davvero, una cosa incredibile o non possibile, ma dobbiamo sapere che la Cina - che io ritengo, in gran parte, responsabile dellaPag. 72situazione attuale - ha un assoluto bisogno di essere accettata a livello internazionale ed ha timore delle «macchie» sulla giacca e sulla camicia dei propri rappresentanti. Dobbiamo dire agli amici indiani, ai responsabili cinesi ed alla Russia di Putin che certe cose non si possono fare: non si potevano fare prima, non si possono più fare ora che abbiamo la facoltà di vedere, di sapere, di denunciare.
Ho chiesto in un'interrogazione, che purtroppo a causa dell'informativa non ha avuto più esito, di sapere dal Governo se si sia potuto fare un passo ufficiale per capire come sta Aung-San-Suu Kyi. Anche già solo questo - una richiesta ufficiale al Governo birmano, e ai nostri amici o alleati della zona, di conoscere il destino di una donna, del premio Nobel - è un dato importante e concreto.
Tali passi importanti e concreti, possono essere compiuti: dobbiamo farli e avrà tutto il nostro sostegno il Viceministro e il ministero degli esteri per tali iniziative. Ricordo che la non violenza è anche sulle nostre spalle, altrimenti la tragedia dilaga in Birmania, in Tibet ed in altre parti di quell'area.
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare la deputata De Zulueta. Ne ha facoltà.
TANA DE ZULUETA. Signor Presidente, anche io ringrazio il Viceministro Intini, tra l'altro per la pazienza, dimostrata anche adesso; soprattutto, ringrazio il Governo per i passi, quelli già intrapresi e quelli che spero verranno intrapresi nei giorni a seguire.
Siamo rimasti tutti colpiti - commossi, credo - dallo spettacolo dei monaci che hanno posto in atto straordinarie manifestazioni non violente, dimostrando un coraggio, anche questo, straordinario. È rimasta molto colpita non solo l'opinione pubblica italiana ma credo quella del mondo intero, e ritengo che oggi i cittadini italiani, i cittadini di Roma, stanno mostrando la propria solidarietà al Campidoglio. Il timore, però, onorevoli colleghi, è che in queste stesse ore il silenzio sia tornato nelle strade di Yangoon e di tutta la Birmania e che sta, in qualche modo, ricalando l'oscurità su quel Paese.
Abbiamo avuto giornate di speranza in cui sembrava potesse avverarsi l'impossibile. Abbiamo visto lo spettacolo di militari che porgevano le loro scuse ai monaci - figure riverite in quel Paese - e l'immagine di un ministro in ginocchio di fronte agli anziani monaci; abbiamo anche percepito un linguaggio diverso da parte della Cina, che in una dichiarazione ufficiale a Pechino, rivolta al ministro degli esteri birmano, ha parlato di processo democratico da avviare in quel Paese. Ma gli eventi di oggi e di ieri hanno soffocato questa speranza. La stessa televisione ufficiale birmana, questa sera, parla di nove morti. Questa è la cifra ufficiale, ma forse sono anche di più. Non possiamo che ribadire il nostro orrore, come lei stesso ha affermato, signor Viceministro, di fronte a questa violenza e a centinaia di arresti. In particolare, sono stati compiuti arresti di monaci. Sono centinaia i monaci prelevati dentro i monasteri, fatto senza precedenti - credo - in quel Paese. La nostra gravissima preoccupazione ci spinge a chiedere, anche noi, al Governo di avere nei confronti di quello che è forse il regime più paranoico e più impermeabile del mondo un atteggiamento di grande attenzione e di grande fermezza.
Oggi il Parlamento europeo, e anche tale fatto è abbastanza inusuale, ha chiamato la Cina e la Russia, alla presenza di una delegazione cinese del Parlamento, a sostenere una risoluzione presso il Consiglio di sicurezza. Credo che sia necessario un passo in più. Esso, come è stato accennato dai colleghi, deve consistere in un atteggiamento diverso per quanto riguarda le sanzioni. Anch'io sono tra quelli che le ritiene, in generale, controproducenti, ma in questo caso la richiesta viene dalla stessa leadership del Movimento per la democrazia. E dobbiamo essere più conseguenti; ricordo che il Presidente Sarkozy ha chiesto alle aziende francesi di non fare affari in Birmania, ma nello stesso giorno la Total France ha affermato che non ha alcuna intenzione di smettere di farli. Questo non è un buon viatico. Noi,Pag. 73come ha ricordato l'onorevole Siniscalchi, abbiamo in piedi un accordo commerciale per il rifornimento di materiale militare all'India.
L'India è, dopo la Cina, il primo fornitore dell'esercito Birmano e credo che noi dovremmo anche esaminare con grande attenzione questi contratti e bloccarli, perché questo potrebbe essere un modo indiretto di sostenere la repressione in Birmania.
Il nostro obiettivo, come quello dei colleghi del Parlamento europeo, cioè del gruppo dei Verdi che ha sottoscritto la risoluzione in quella sede, è la liberazione di Aung San Suu-Syi, di tutti i prigionieri politici e delle persone arrestate nelle ultime ore e negli ultimi giorni in Myanmar e, soprattutto, l'impegno fermo ad agevolare una riconciliazione nazionale e un percorso verso la democrazia.
Spero che potremmo approfittare della Presidenza che...
PRESIDENTE. Onorevole De Zulueta, concluda.
TANA DE ZULUETA. ... avremo tra poco nel Consiglio di sicurezza per spingere con coerenza, anche nel momento in cui si spengono le luci, questi obiettivi in quella sede e in tutte le altre (Applausi dei deputati del gruppo Verdi).
PRESIDENTE. Ha chiesto di parlare la deputata Cioffi. Ne ha facoltà.
SANDRA CIOFFI. Signor Presidente, signor Viceministro, a nome del gruppo dei Popolari-Udeur la ringrazio per la tempestività e la chiarezza con cui è venuto ad informarci sulla situazione in Myanmar. Siamo pienamente soddisfatti dei passi che sta facendo il nostro Governo per cercare di mettere freno a questa orribile situazione che si protrae ormai da quarantacinque anni.
È sotto gli occhi di tutti che a sfilare - fatto che ci ha colpito - non sono solamente i tanti monaci presenti nella ex Birmania, ma tutta una popolazione che ha il coraggio di sfilare insieme a loro. Ciò ha grande significato.
Grazie alle immagini trasmesse dai media di tutto il mondo ci si può rendere conto che in quel Paese il popolo è stanco della povertà, della non democrazia, dell'oppressione e, conseguentemente, comincia a reagire. Si tratta di un grande segnale, che dovrebbe dare forza a tutti i Paesi al fine di intervenire per porre fine a questa nefandezza che si protrae da anni.
Ricordo che l'immagine di quel giovane in piazza Tienanmen ha prodotto grandissimi risultati in passato: è cambiato il vento che spirava in Cina, ed è cambiato il percorso del popolo cinese. Noi ci auguriamo che le immagini che oggi provengono da questo Paese - chiediamo che vi sia grande visibilità di ciò che sta succedendo nel Paese - aiutino i Paesi a tenere giusti rapporti - mi riferisco in modo particolare a Paesi determinanti come India, Cina e Russia - e a lavorare affinché finisca questa orribile non democrazia.
Ormai il Paese è veramente allo stremo; basta vedere i dati che provengono da tempo e non solamente da adesso. È giunto davvero il momento di portare avanti ciò che è già iniziato. Bisogna apprezzare anche l'impegno profuso dall'ONU in questi giorni, che sta mandando dei suoi delegati per cercare di sensibilizzare la giunta militare.
Le sanzioni colpiscono sempre i più deboli; occorre perciò bloccare le importazioni di materiali pregiati e i contratti con le nostre aziende. Per quel che riguarda il turismo, molte volte mi sono posta il problema se chiudere il Paese al turismo internazionale sia utile o meno. Certamente è utile dal punto di vista economico perché in questo modo non si aiuta la giunta militare; però, anche non far conoscere la reale situazione del Paese potrebbe anche alla fine rivelarsi non utile. Occorre, a tale riguardo, che i nostri tour operator prestino una maggiore attenzione in modo che vi sia un'esatta rappresentazione di ciò che il Paese è, in maniera tale che si abbia sempre maggiore coscienza del dramma che vive questa popolazione.Pag. 74
È auspicabile che in questi giorni - con l'impegno del nostro Governo, e di tutti a livello multilaterale, e con un'accorta politica anche con l'India e la Cina, che credo stiano dimostrando di voler collaborare affinché si possa porre fine allo scempio di questo Paese - si possa arrivare a chiudere un periodo veramente triste. È necessario impegnarsi - lo chiedo non solo al nostro Parlamento tutto, ma in particolare alle mie colleghe parlamentari, visto che si tratta di una donna - a chiedere notizie chiare e certe, anche ai rappresentanti della Birmania in Italia, sulla sorte del premio Nobel, che ha dimostrato ancora una volta che cosa significhi essere una donna coraggiosa in politica.
La ringrazio, signor Viceministro, e ringrazio, anche a nome del gruppo Popolari-Udeur, il nostro Governo per l'impegno che sta manifestando in tal senso. Auspichiamo che l'Italia - come senz'altro sarà - abbia un ruolo estremamente importante per la ricerca della democrazia, della pace e del rispetto dei diritti umani.
PRESIDENTE. È così esaurito lo svolgimento dell'informativa urgente.