Rifiuti e bonifiche dei siti inquinati

I molti fattori che determinano la produzione di rifiuti e la differente tipologia di questi ultimi hanno richiesto, negli ultimi anni, un intervento normativo molto dettagliato e articolato. Ciò al fine di perseguire l’obiettivo prioritario di prevenzione e riduzione della produzione di rifiuti, che, lasciata a sé, ha una naturale tendenza alla crescita.

Il 27 maggio 2003 la Commissione europea ha presentato la comunicazione Verso una strategia tematica di prevenzione e riciclo dei rifiuti[1], come primo passo per la definizione di una nuova strategia comunitaria per la riduzione della produzione di rifiuti, che è stata accompagnata dall’emanazione di numerose direttive volte a disciplinare molteplici aspetti della gestione dei rifiuti.

A tale imponente produzione normativa a livello comunitario ha fatto seguito un’intensa attività di recepimento. In tal modo, si è notevolmente arricchito il panorama legislativo in materia, stratificatosi nel corso degli anni, e costruito attorno al decreto legislativo n. 22 del 1997 (cd. decreto Ronchi) – anch’esso di derivazione comunitaria – che rappresenta una sorta di legge quadro del settore.

Agli interventi normativi di derivazione comunitaria si sono inoltre affiancati numerosi interventi di manutenzione normativa.

A fronte della molteplicità di disposizioni introdotte a seguito di tale intensa attività normativa, la legge n. 308/2004 conferisce delega al Governo per il riordino ed il coordinamento della normativa ambientale nella materia dei rifiuti e dei siti inquinati (v. capitolo II riordino del diritto ambientale).

Con l’emanazione del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, numerose disposizioni (ivi compreso il decreto Ronchi) sono state accorpate e raccolte in un unico testo, all’interno della Parte quarta del citato decreto.

La nozione di rifiuto

La definizione della nozione di “rifiuto”, su cui si dibatte da diversi anni[2], rappresenta il fulcro della legislazione comunitaria e nazionale in materia di rifiuti.

L’incertezza che caratterizza la definizione comunitaria recata dall’art. 1, lett. a), della direttiva 75/442/CEE[3], riprodotta dall’art. 6 del d.lgs. n. 22/1997, si è ripercossa anche a livello nazionale. Essa è stata quindi oggetto di numerosi interventi legislativi, in una prima fase finalizzati ad escludere tipologie determinate di residui dall’area giuridica del rifiuto[4] (come risulta dall’elenco, in continua mutazione, dell’art. 8 del decreto Ronchi, che reca appunto le esclusioni dal campo di applicazione del medesimo decreto); successivamente, attraverso una norma di interpretazione autentica della nozione di “rifiuto”, introdotta con l’art. 14 del decreto-legge n. 138 del 2002, che tuttavia ha aperto un contenzioso non ancora risolto con l’Unione europea e prodotto una fittissima giurisprudenza in materia (v. scheda La nozione di rifiuto).

Con l’emanazione del d.lgs. n. 152/2006, che nella Parte quarta ha provveduto a riscrivere interamente il decreto Ronchi, il Governo ha rimodulato le definizioni normative esistenti (art. 183) al fine del superamento del contenzioso e dei problemi applicativi.

Il recepimento delle direttive comunitarie

Negli ultimi anni l’Unione europea ha provveduto ad integrare i principi generali e i requisiti fissati dalla cd. legislazione orizzontale sui rifiuti[5] soprattutto mediante interventi normativi più dettagliati nei due campi seguenti:

§         trattamento e smaltimento dei rifiuti (attraverso in particolare le direttive sulle discariche e sull’incenerimento);

§         gestione di flussi specifici di rifiuti, in considerazione della crescita del loro volume e della relativa complessità di gestione (attraverso, in particolare, la nuova direttiva imballaggi e le direttive sui veicoli fuori uso e i rifiuti elettrici ed elettronici.

 

Nella tabella seguente viene fornito l’elenco delle principali direttive emanate e dei relativi provvedimenti nazionali di attuazione:

 

Materia

Direttiva

Recepimento

Discariche di rifiuti

1999/31

D.Lgs. 13 gennaio 2003, n. 36

Veicoli fuori uso

2000/53

D.Lgs. 24 giugno 2003, n. 209

Rifiuti prodotti da navi

2000/59

D.Lgs. 24 giugno 2003, n. 182

Incenerimento dei rifiuti

2000/76

D.Lgs. 11 maggio 2005, n. 133

Rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche (RAEE)

2002/95
2002/96

D.Lgs. 25 luglio 2005, n. 151

Imballaggi

2004/12

D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152

 

La finalità principale del decreto legislativo 13 gennaio 2003, n. 36 di recepimento della cd. direttiva discariche (1999/31/CE) è quella di garantire che l’ambiente non rimanga deturpato o inquinato da sostanze pericolose i cui effetti possono verificarsi sia durante l’intero ciclo di vita della discarica, sia nella fase successiva alla chiusura (fase post-operativa).

La disciplina introdotta (v. scheda Discariche di rifiuti) si articola sostanzialmente in una nuova classificazione delle varie tipologie di discarica (e nella definizione dei rifiuti ammessi in ciascuna delle categorie indicate), nelle prescrizioni relative al contenuto necessario della autorizzazione alla costruzione e gestione degli impianti, nella previsione di un regime sanzionatorio e, infine, nelle disposizioni transitorie (principalmente volte all’adeguamento degli impianti in esercizio al momento dell’entrata in vigore della nuova disciplina).

Con il decreto legislativo 11 maggio 2005, n. 133 sull’incenerimento dei rifiuti (sul quale v. scheda Incenerimento di rifiuti) è stata recepita la direttiva 2000/76. Le norme introdotte hanno l’obiettivo di stabilire le misure e le procedure finalizzate a prevenire e ridurre gli effetti negativi sull’ambiente e per la salute umana dell’incenerimento e del coincenerimento dei rifiuti. A tale scopo vengono disciplinati i valori limite di emissione degli impianti e i metodi di campionamento e valutazione degli inquinanti. Vengono inoltre fissate le condizioni di esercizio degli impianti e i criteri temporali di adeguamento di quelli esistenti, oltre alla previsione di nuove fattispecie sanzionatorie.

Per quanto riguarda le disposizioni introdotte relativamente ad alcune categorie particolari di rifiuti (v. scheda Particolari categorie di rifiuti), il filo conduttore – che deriva dalle priorità individuate in sede comunitaria – è quello della responsabilizzazione del produttore, in ossequio al principio “chi inquina paga”[6].

Ad esempio, in materia di veicoli fuori uso, il decreto legislativo 24 giugno 2003, n. 209, prevede l'instaurazione di un sistema di raccolta dei veicoli fuori uso alla fine del loro ciclo di vita a carico del produttore. Nella stessa ottica operano le disposizioni del decreto legislativo 25 luglio 2005, n. 151, in materia di rifiuti delle apparecchiature elettriche ed elettroniche. Tale ultimo decreto legislativo, oltre a vietare l’uso nelle apparecchiature elettriche ed elettroniche di determinate sostanze, prevede l’istituzione di un vero e proprio ciclo per il trattamento dei rifiuti elettrici ed elettronici, ponendo in capo ai produttori l’onere di organizzare e finanziare l’attività di trattamento e recupero di tali rifiuti.

Ancora, si ricorda il decreto legislativo 24 giugno 2003, n. 182, che, al fine di ridurre gli scarichi in mare dei rifiuti e dei residui del carico da parte delle navi, prevede - tra l’altro - la predisposizione di piani di raccolta e gestione dei rifiuti per ciascun porto, disciplina le modalità di conferimento dei rifiuti prodotti dalle navi e istituisce un regime tariffario applicabile alle navi, al fine di recuperare i costi degli impianti portuali di raccolta, trattamento e smaltimento dei rifiuti da esse prodotti.

Le emergenze-rifiuti

Nel corso della XIV legislatura sono stati emanati numerosi provvedimenti volti alla gestione delle situazioni emergenziali verificatesi soprattutto nelle regioni meridionali.

In particolare, con riferimento alle dimensioni dell’emergenza rifiuti in Calabria e in Campania, il Governo è intervenuto attraverso la decretazione d’urgenza, oltre che con le normali procedure emergenziali adottate con ordinanze della Presidenza del Consiglio.

In particolare, con il decreto-legge 17 febbraio 2005, n. 14[7], recante Misure urgenti per fronteggiare l'emergenza nel settore dei rifiuti nella regione Campania, il Governo ha previsto – tra l’altro - una procedura volta a permettere l’estinzione delle situazioni debitorie dei Comuni campani a seguito del mancato versamento al Commissario delegato per l’emergenza rifiuti nella Regione Campania delle somme connesse al conferimento dei rifiuti solidi urbani agli impianti per la produzione del combustibile derivato dai rifiuti (CDR).

Lo stesso decreto ha incaricato il Commissario delegato di dettare prescrizioni agli impianti citati al fine di superare i motivi che avevano causato il sequestro penale degli impianti stessi.

Il decreto-legge 31 maggio 2005, n. 90[8], recante Disposizioni urgenti in materia di protezione civile, ha invece esteso la procedura riguardante l’estinzione dei debiti dei Comuni campani prevista dal citato D.L. n. 14/2005 anche alla Regione Calabria.

Infine, il decreto-legge 30 novembre 2005, n. 245[9] ha introdotto ulteriori disposizioni per fronteggiare l’emergenza nel settore dei rifiuti in Campania, tra cui la risoluzione dei contratti stipulati dal Commissario delegato per l’emergenza rifiuti nella Regione Campania con le società affidatarie del servizio di smaltimento dei rifiuti e misure dirette a promuovere la raccolta riciclata; tale decreto inoltre ha disposto la proroga fino al 31 maggio 2006 dello stato di emergenza nel settore dei rifiuti e delle bonifiche nelle regioni Campania, Calabria, Lazio, Puglia e Sicilia[10] e l’istituzione della Consulta regionale per la gestione dei rifiuti nella Regione Campania.

Quest’ultima disposizione è stata giudicata favorevolmente da più parti. In particolare, la Commissione parlamentare d’inchiesta sul ciclo dei rifiuti e sulle attività illecite ad esso connesse – nel suo rapporto finale[11] – ha sottolineato come “l’istituzione di una Consulta regionale per la gestione dei rifiuti, presieduta dal Presidente della Regione, cui sono chiamati a far parte i presidente delle province nonché i rappresentanti dei comuni interessati ad una equilibrata localizzazione dei siti per le discariche e lo stoccaggio dei rifiuti trattati, costituisce indubbiamente tappa significativa di un’exit strategy dal Commissariamento" (che, invece, rappresenta, sempre secondo la Commissione d’inchiesta, un “incentivo alla de-responsabilizzazione, anche politica, degli enti ed organi che in base alla ripartizione di competenze debbono occuparsi della materia dei rifiuti”) “per il suo significato di istituzione-ponte, chiamata cioè a preparare la transizione verso la riespansione del regime ordinario, ed, in qualche modo, ad allenare gli enti locali a fronteggiare le proprie competenze e responsabilità”.

La bonifica dei siti inquinati

La produzione normativa registrata in materia nel corso della XIV legislatura è stata caratterizzata da due distinte fasi.

Nella prima fase, il Governo ha completato la definizione degli interventi di bonifica ritenuti di interesse prioritario, avviata nel corso della legislatura precedente, con l’approvazione del D.M. ambiente 18 settembre 2001, n. 468, con il quale, in attuazione della legge 9 dicembre 1998, n. 426, è stato emanato il Programma nazionale di bonifica e ripristino ambientale dei siti inquinati [12]. Con tale programma il Governo ha provveduto all’individuazione degli interventi giudicati, per le loro caratteristiche, di interesse nazionale e ammessi a beneficiare del concorso pubblico ai finanziamenti per la loro realizzazione.

 

Oltre agli interventi già previsti dalla legge n. 426 del 1998 (Allegati A e B) e dalla legge n. 388 del 2000 (Allegati C e D), il DM n. 468/2001 ha individuato ulteriori 23 nuovi interventi (Allegati E ed F)[13]. Lo stesso DM (Allegato G) ha disposto una prima assegnazione delle risorse disponibili (oltre 500 milioni di euro[14]) per gli interventi prioritari e la relativa ripartizione per regione.

Con l’articolo 14 della legge 31 luglio 2002, n. 179, l’elenco dei siti di interesse nazionale è stato ulteriormente integrato[15]. Tale elenco attualmente consta di un totale di 49 siti[16].

 

Si segnala, inoltre, che con il DM ambiente 31 luglio 2003, relativo al Piano di completamento della bonifica e del recupero dell’area ambientale di Bagnoli, è stato approvato un primo elenco di interventi di bonifica, a stralcio di un futuro Piano straordinario per la bonifica delle aree ex estrattive minerarie, in attuazione dell’art. 114 della legge n. 388 del 2000, che ha stanziato per tale finalità 30 miliardi di lire, da ripartire fra le varie aree distribuite nel territorio nazionale.

 

Con l’art. 18 della legge 31 luglio 2002, n. 179 si apre, nella legislazione nazionale in materia di bonifiche, una nuova fase in cui l’obiettivo – completato quello della definizione di un piano nazionale di bonifica - è rivolto a sostenere le esigenze finanziarie per la realizzazione del Programma nazionale di bonifica. Ciò attraverso l’introduzione di nuovi meccanismi finanziari che rendano meno onerosa, per la parte pubblica, l’effettuazione degli interventi di bonifica.

 

Con tale norma – che non ha tuttavia trovato ancora attuazione, non essendo intervenuti i previsti decreti attuativi – si prevede un nuovo meccanismo di finanziamento delle bonifiche dei siti inquinati, attraverso il ricorso ad una procedura alternativa (rispetto a quella ordinaria[17]) basata sull’affidamento con gara a soggetti privati delle attività di bonifica e riqualificazione delle aree inquinate, anche previo esproprio delle aree stesse (a spese, comunque, del soggetto privato affidatario della bonifica), e sulla previsione, quale corrispettivo, della disponibilità delle aree bonificate.

 

A tale disposizione si è poi recentemente aggiunta quella recata dai commi 434-437 dell’art. 1 della legge finanziaria 2006 (legge 23 dicembre 2005, n. 266) che hanno introdotto una disciplina speciale riguardante i siti di interesse nazionale sottoposti a procedure fallimentari.

 

Le disposizioni introdotte intervengono sulla specifica ipotesi di concorso fra procedura fallimentare dell’impresa responsabile dell’inquinamento e intervento di bonifica del sito e sono finalizzate ad accelerare la bonifica dei siti di interesse nazionale sottoposti a procedure fallimentari dotando l’amministrazione pubblica di strumenti più incisivi nell’effettuazione complessiva dell’intervento e nella programmazione del finanziamento, fino a riconoscere a quest’ultima la stessa proprietà del sito.

Viene infatti prevista la possibilità di stipulare accordi di programma tra il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio, le regioni, le province e i comuni interessati relativamente a tali siti con il passaggio di proprietà del sito stesso ad un ente pubblico, ferme restando le disposizioni vigenti che riguardano la responsabilità del soggetto che ha causato l’inquinamento.

Il trasferimento di proprietà avviene, subordinatamente all’inerzia dello stesso soggetto responsabile protratta oltre il previsto periodo di centottanta giorni, quale forma di adempimento dell’obbligo di risarcimento previsto dalla normativa vigente in materia di danno ambientale (art. 18, comma 1, della legge n. 349/1986).

Le novità introdotte dalla Parte quarta del d.lgs. n. 152/2006

Con l’emanazione del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, il Governo, sulla base della delega conferita dalla legge n. 308/2004 (v. capitolo Il riordino del diritto ambientale) ha provveduto ad una rilevante opera di manutenzione normativa della disciplina dei rifiuti e delle bonifiche, attraverso una riscrittura – operata nella Parte quarta del decreto (artt. 177-266) - del decreto Ronchi.

Si indicano di seguito le principali novità introdotte.

In primo luogo, il decreto procede a chiarire le definizioni previste dal decreto Ronchi ed utili ai fini dell’individuazione di ciò che è rifiuto e ciò che non lo è (artt. 183-186).

Esso contempla inoltre numerose disposizioni volte ad attuare una generale semplificazione amministrativa, rafforzando lo strumento degli accordi di programma, già previsti dalle norme vigenti e dalle norme comunitarie (art. 206).

Il decreto provvede, poi, a riorganizzare l'assetto degli ambiti territoriali ottimali e le procedure di affidamento dei servizi, introducendo norme che favoriscono la concorrenza e quindi l'industrializzazione del settore (artt. 200-204). Analoghe norme volte a favorire la concorrenza sono state introdotte nella disciplina dei consorzi (artt. 233-237).

Vengono quindi introdotte novità relativamente alla disciplina degli imballaggi (artt. 217-226), la maggior parte delle quali ha la finalità di adeguare la disciplina italiana alla nuova direttiva imballaggi (direttiva 2004/12/CE).

In materia di bonifica dei siti inquinati (artt. 239-253) la principale novità risiede nell’introduzione di una nuova procedura preventiva alla bonifica dei siti basata sull'analisi di rischio, sottraendo la normativa a meccanismi meramente tabellari che - per quanto formalmente severi - non hanno finora consentito di sviluppare in Italia un’efficace e diffusa politica di bonifica dei siti inquinati.

Per una lettura più approfondita degli aspetti innovativi della Parte quarta del d.lgs. n. 152/2006 si veda la scheda Il riordino del diritto ambientale - Novità in materia di rifiuti e bonifiche.



[1] COM (2003) 301 def. Tale documento può essere consultato all’indirizzo internet http://europa.eu.int/eur-lex/lex/LexUriServ/site/it/com/2003/com2003_0301it01.pdf.

[2] Nel corso della XIII legislatura, la Commissione ambiente della Camera ha approvato la risoluzione n. 7-00525, a firma Gerardini e altri, che impegnava il Governo ad elaborare una proposta del nostro Paese che contenesse chiari riferimenti per la definizione di "rifiuto" e del termine "disfarsi", nonché per la distinzione tra rifiuto e prodotto, attivandosi presso l'Unione europea perché fosse discussa tutta la materia.

[3] La necessità che sia precisata “la distinzione tra ciò che è rifiuto e ciò che non lo è” è stata segnalata nel I(cfr. http://europa.eu.int/eur-lex/it/com/pdf/2001/it_501PC0031.pdf), e ribadita dalla citata comunicazione della Commissione del 27 maggio 2003, secondo cui “la definizione di rifiuto è una costruzione giuridica certamente migliorabile”.

[4] Si vedano, in proposito, i box contenuti nel paragrafo “Definizioni e limiti al campo di applicazione“ della scheda Il riordino del diritto ambientale - Novità in materia di rifiuti e bonifiche.

[5] Formata dalla direttiva quadro sui rifiuti (75/442/CEE), dalla direttiva sui rifiuti pericolosi (91/689/CEE), nonché dal regolamento sulle spedizioni di rifiuti (Regolamento n. 259/1993).

[6] Cfr. articolo 174 del trattato CE.

[7] Convertito con modificazioni dalla legge 15 aprile 2005, n. 53.

[8] Convertito con modificazioni dalla legge 26 luglio 2005, n. 152.

[9] Convertito con modificazioni dalla legge 27 gennaio 2006, n. 21.

[10] Più precisamente, l’art. 1, comma 6, del decreto prevede la proroga degli stati di emergenza nel settore dello smaltimento dei rifiuti nelle regioni Campania, Calabria, Lazio, Puglia e Sicilia, mentre per il settore delle bonifiche la proroga riguarda solamente le regioni Calabria, Campania e Puglia.

Sulla situazione emergenziale nel territorio e sui commissariamenti la Commissione d’inchiesta sul ciclo dei rifiuti ha prodotto diversi documenti (Doc. XXIII, nn. 1, 4, 5, 15 e 17) disponibili sul sito internet della Camera all’indirizzo www.camera.it/_bicamerali/leg14/rifiuti/inddoc.htm.

[11] Tale relazione, approvata nella seduta del 15 febbraio 2006, è disponibile all’indirizzo internet www.camera.it/_dati/leg14/lavori/documentiparlamentari/indiceetesti/023/019/intero.pdf.

[12] Una breve panoramica sullo stato di attuazione del Programma viene fornita nel capitolo 4 della citata relazione finale della Commissione d’inchiesta sul ciclo dei rifiuti disponibile all’indirizzo internet www.camera.it/_dati/leg14/lavori/documentiparlamentari/indiceetesti/023/019/intero.pdf

[13] Gli interventi di interesse nazionale contemplati dall’art. 1 della legge n. 426 del 1998 – inclusi nell’Allegato A al D.M. n. 468 del 2001 – riguardano 14 siti: Porto Marghera (Veneto); Napoli Orientale e Litorale Domizio-Flegreo-Agro Aversano (Campania); Gela-Priolo (Sicilia); Manfredonia, Taranto e Brindisi (Puglia); Cengio-Saliceto (Liguria-Piemonte); Piombino e Massa-Carrara (Toscana); Casale Monferrato, Balangero e Pieve Vergonte (Piemonte); Pitelli (Liguria).

L’Allegato C al D.M. n. 468 del 2001 riporta i 3 siti di interesse nazionale individuati dalla legge n. 388 del 2000 (legge finanziaria per il 2001): Sesto San Giovanni e Pioltello-Rodano (Lombardia) e Napoli Bagnoli-Coroglio (Campania).

Il D.M. n. 468/2001 ha individuato – nell’Allegato E - altri 23 siti: Tito (Basilicata); Fiumi Saline e Alento (Abruzzo); Crotone-Cassano-Cerchiara (Calabria); Sassuolo-Scandiano e Fidenza (Emilia Romagna); Trieste e Laguna di Grado e Marano (Friuli Venezia Giulia); Frosinone (Lazio); Cogoleto-Stoppani (Liguria); Cerro al Lambro e Milano-Bovisa (Lombardia); Basso bacino del fiume Chienti (Marche); Campobasso-Guglionesi II (Molise); Basse di Stura (Piemonte); Bari-Fibronit (Puglia); Sulcis-Iglesiente-Guspinese (Sardegna); Biancavilla (Sicilia); Livorno (Toscana); Terni-Papigno (Umbria); Emarese (Valle d’Aosta); Mardimago-Ceregnano-Rovigo (Veneto); Bolzano e Trento nord.

[14] A tali risorse devono essere aggiunte quelle provenienti dall’applicazione del DM ambiente 14 ottobre 2003 recante la disciplina delle modalità di funzionamento ed accesso al fondo di rotazione istituito, per l’effettuazione di interventi di bonifica, dal comma 9-bis dell'art. 18 della legge n. 349/1986, e alimentato dalle “somme derivanti dalla riscossione dei crediti a favore dello Stato per risarcimento del danno ambientale, ivi comprese quelle derivanti dall'escussione di fidejussioni a favore dello Stato, assunte a garanzia del risarcimento medesimo” (art. 4, comma 1, del citato DM).

[15] L’art. 14 della legge n. 179 del 2002 ha modificato l’art. 1, comma 4, della legge n. 426 del 1998, individuando altri 9 siti di interesse nazionale: Brescia-Caffaro, Broni e Laghi di Mantova e polo chimico (Lombardia); Falconara Marittima (Marche); Serravalle Scrivia (Piemonte); Orbetello area ex Sitoco (Toscana); Aree del litorale vesuviano (Campania); Aree industriali di Porto Torres (Sardegna); Area industriale della Val Basento (Basilicata).

[16] Si fa notare che gli interventi da considerare sono in realtà 50, atteso che i siti di Gela e Priolo (sito unico nella legge n. 426 del 1998) rappresentano due realtà geografiche ben distinte.

[17] Delineata dalla legge n. 426 del 1998 e dal DM n. 468/2001.